PUBBLICITÁ

Falchi anti-Cina

Uno zar per l’Asia alla Casa Bianca

La prossima Amministrazione potrebbe nominarne uno, ma l’Asia non sa che farsene di un altro pivot

Giulia Pompili

Un nuovo ruolo da inserire all’interno del Consiglio per la sicurezza nazionale, che dimostra l’importanza che il team di Biden dà alla regione asiatica e soprattutto alla potenza cinese. Il nome che circola è quello di Jeffrey Prescott. Ma Giappone, Corea del sud, Australia potrebbero voler fare da soli

PUBBLICITÁ

Secondo il Financial Times il presidente eletto Joe Biden starebbe pensando di nominare uno zar per gli Affari asiatici alla Casa Bianca. Sarebbe un nuovo ruolo da inserire all’interno del Consiglio per la sicurezza nazionale, che dimostra l’importanza che la prossima Amministrazione Biden dà alla regione asiatica e soprattutto alla potenza cinese, un ritorno al pivot to Asia dell’èra obamiana. L’idea di un responsabile delle politiche americane sull’Asia sarebbe di Jake Sullivan, il prossimo consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden, che già da tempo parla ai media di un nuovo corso della politica estera americana, soprattutto per quanto riguarda la Cina e i tradizionali alleati americani a oriente. La decisione di creare un nuovo ruolo di così tanta importanza non è stata ancora presa, scrive il Financial Times, e secondo alcune fonti le altre proposte riguardano la creazione di un team asiatico – con un responsabile per la Cina, uno per Corea del sud, Giappone e Australia, e uno per il resto dell’Asia. Si fa anche uno nome per lo zar d’Asia, e sarebbe quello di Jeffrey Prescott, che è stato viceconsigliere per la politica estera di Biden dal 2013 al 2015 e ha già lavorato al Consiglio per la sicurezza nazionale durante l’Amministrazione Obama, ma si occupava di Iran, Iraq e Siria.  
 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Secondo il Financial Times il presidente eletto Joe Biden starebbe pensando di nominare uno zar per gli Affari asiatici alla Casa Bianca. Sarebbe un nuovo ruolo da inserire all’interno del Consiglio per la sicurezza nazionale, che dimostra l’importanza che la prossima Amministrazione Biden dà alla regione asiatica e soprattutto alla potenza cinese, un ritorno al pivot to Asia dell’èra obamiana. L’idea di un responsabile delle politiche americane sull’Asia sarebbe di Jake Sullivan, il prossimo consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden, che già da tempo parla ai media di un nuovo corso della politica estera americana, soprattutto per quanto riguarda la Cina e i tradizionali alleati americani a oriente. La decisione di creare un nuovo ruolo di così tanta importanza non è stata ancora presa, scrive il Financial Times, e secondo alcune fonti le altre proposte riguardano la creazione di un team asiatico – con un responsabile per la Cina, uno per Corea del sud, Giappone e Australia, e uno per il resto dell’Asia. Si fa anche uno nome per lo zar d’Asia, e sarebbe quello di Jeffrey Prescott, che è stato viceconsigliere per la politica estera di Biden dal 2013 al 2015 e ha già lavorato al Consiglio per la sicurezza nazionale durante l’Amministrazione Obama, ma si occupava di Iran, Iraq e Siria.  
 

Prescott, come Sullivan, non è un falco anticinese ma non è nemmeno un panda-hugger, un sostenitore di Pechino: a settembre, in un articolo firmato con Ely Ratner – altro viceconsigliere di Biden, lui sì, considerato a Washington un falco anticinese – ha scritto che Donald Trump è stato troppo tenero nelle sue posizioni con la Cina, soprattutto per quanto riguarda il commercio.  Prescott e Ratner sono molto duri contro l’accordo commerciale raggiunto da Trump a gennaio con il presidente Xi Jinping, la famosa “fase uno” di un’intesa più ampia che però non è mai stata implementata: “Invece di chiedere a Pechino di interrompere pratiche di mercato illegali e distorsive, Trump ha ceduto a un accordo pieno di promesse vaghe e riciclate. Non c’è niente che freni i dannosi sussidi che consentono alle aziende statali cinesi di competere ingiustamente con i lavoratori americani. Niente per fermare il furto di proprietà intellettuale da parte della Cina”. Non solo: per Prescott, Trump avrebbe favorito l’insabbiamento del coronavirus da parte di Pechino “lodando la leadership di Xi Jinping più di una dozzina di volte” pur di non mettere in pericolo il suo “pessimo accordo commerciale”.  E infatti ieri, in un’intervista a Thomas Friedman sul New York Times, Joe Biden ha detto che non toglierà subito i dazi contro la Cina imposti da Trump, ma ha detto di “voler prima revisionare l’accordo esistente con la Cina e consultare i nostri alleati tradizionali in Asia e Europa,  ‘in modo da poter sviluppare una strategia coerente’”. E il nodo degli alleati è fondamentale per capire se alla fine questo zar d’Asia si farà oppure no. 


Il pivot to Asia di Biden potrebbe non piacere a molti governi del Pacifico, specialmente perché negli ultimi quattro anni l’Asia è cambiata. Non solo la strategia asiatica di Obama non ha fermato l’assertività cinese, ma con l’Amministrazione  Trump gli alleati tradizionali – Corea del sud, Giappone e Australia – sono stati lasciati da soli a gestire la sempre più influente Cina. Il Nikkei Asian Review ha pubblicato ieri una lunghissima inchiesta proprio su questo problema: a oggi, costruire un fronte unito in Asia contro Pechino  sarà una missione  difficile per Biden. “Tanto per cominciare, la tradizionale dipendenza dalle istituzioni multilaterali è ostacolata dal peso crescente della Cina in quelle stesse organizzazioni”, si legge. “E anche il secondo pilastro, il sistema delle alleanze, è allo sbando”. Per fare un esempio: all’imprevedibilità di Trump, il Giappone  ha reagito ricucendo il suo rapporto con Pechino.  Il pericolo è che lo zar delle questioni asiatiche alla Casa Bianca finisca per occuparsi esclusivamente di Cina, marginalizzando il ruolo fondamentale degli alleati. Secondo le fonti del Financial Times, poi, in molti temono la burocratizzazione delle decisioni, in un momento in cui, al contrario, serve decisionismo. 
 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ