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Debellare il Sars-CoV-2

E i vaccini cinesi?

Ce ne sono cinque all’ultima fase di sperimentazione, sono già in uso, ma ne sappiamo pochissimo

Giulia Pompili

Attualmente sono 55 i vaccini sottoposti a test clinici sull’uomo contro la Covid-19. Ma in occidente si parla solo di Moderna, Pfizer e AstroZeneca. Il problema sono gli standard scientifici, la trasparenza e la fretta con cui Pechino ha trasformato il vaccino in un'arma politica 

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In questo momento ci sono 55 vaccini sottoposti a test clinici sull’uomo contro la Covid-19. I tre più promettenti sono quelli delle aziende americane Moderna e Pfizer, che hanno già chiesto l’autorizzazione per il loro uso emergenziale, e quello dell’anglosvedese AstraZeneca. Diciamo “promettenti” perché i tre vaccini di cui si sta parlando in queste settimane sono anche quelli di cui sappiamo di più: i risultati dei test clinici sono condivisi, per quanto possibile, all’interno della comunità scientifica internazionale; i protocolli sono stati modificati e accelerati data la situazione d’emergenza mondiale, ma comunque rispettano dei livelli di trasparenza irrinunciabili per gli standard sanitari internazionali. Una settimana fa il presidente dell’azienda farmaceutica cinese Sinopharm, che ha sviluppato due dei cinque vaccini cinesi contro la Covid-19 attualmente all’ultima fase di sperimentazione clinica, ha detto che “quasi un milione di persone” ha già ricevuto l’inoculazione dell’immunizzatore “per motivi d’emergenza”. In alcune province cinesi soldati, impiegati pubblici, studenti e uomini d’affari che devono studiare all’estero avrebbero già ricevuto le dosi, nonostante nessun vaccino cinese abbia ricevuto l’approvazione ufficiale alla commercializzazione. 

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In questo momento ci sono 55 vaccini sottoposti a test clinici sull’uomo contro la Covid-19. I tre più promettenti sono quelli delle aziende americane Moderna e Pfizer, che hanno già chiesto l’autorizzazione per il loro uso emergenziale, e quello dell’anglosvedese AstraZeneca. Diciamo “promettenti” perché i tre vaccini di cui si sta parlando in queste settimane sono anche quelli di cui sappiamo di più: i risultati dei test clinici sono condivisi, per quanto possibile, all’interno della comunità scientifica internazionale; i protocolli sono stati modificati e accelerati data la situazione d’emergenza mondiale, ma comunque rispettano dei livelli di trasparenza irrinunciabili per gli standard sanitari internazionali. Una settimana fa il presidente dell’azienda farmaceutica cinese Sinopharm, che ha sviluppato due dei cinque vaccini cinesi contro la Covid-19 attualmente all’ultima fase di sperimentazione clinica, ha detto che “quasi un milione di persone” ha già ricevuto l’inoculazione dell’immunizzatore “per motivi d’emergenza”. In alcune province cinesi soldati, impiegati pubblici, studenti e uomini d’affari che devono studiare all’estero avrebbero già ricevuto le dosi, nonostante nessun vaccino cinese abbia ricevuto l’approvazione ufficiale alla commercializzazione. 

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La cooperazione globale per arrivare al vaccino contro il virus Sars-CoV-2, che avrebbe dovuto avere come piattaforma il Covax, consorzio promosso e sostenuto dall’Organizzazione mondiale della sanità, si è trasformata come prevedibile in una competizione. Da una parte l’America, in piena transizione alla Casa Bianca, si è sfilata dalla cooperazione, lasciando fare al mercato. Dall’altra parte, però, la Cina di Xi Jinping, che aveva promesso di trasformare il vaccino in un “bene comune di prima necessità”, e aveva assicurato la distribuzione del vaccino cinese nei paesi in via di sviluppo, sembra stia fallendo la prova della credibilità.

 

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E il problema sono gli standard scientifici cinesi, la trasparenza e la fretta con cui Pechino ha trasformato il vaccino in un’arma politica. Il paese dove tutto è iniziato ha avuto anche più tempo per analizzare il virus Sars-CoV-2, ma allora perché parliamo solo dei tre vaccini “occidentali”? “E’ difficile confrontarli”, dice al Foglio Alex Berezow dell’American Council on Science and Health, un’organizzazione molto pro-industria, “perché i dati dei vaccini cinesi non sono stati sottoposti allo stesso tipo di esame da parte della comunità scientifica internazionale”. Abbiamo per esempio un articolo pubblicato su Lancet il 17 novembre scorso sulla fase 1 e fase 2 di sperimentazione del Covax dell’azienda cinese Sinovac, ma niente sulla fase tre dei cinque vaccini che arrivano da oriente. Se domandiamo quale sia il problema principale del cooperare nei settori scientifici con aziende cinesi,  Berezow dice: “Il furto di proprietà intellettuale e l’approssimazione quando si tratta di standard di sicurezza”. Sul lato politico, “i media occidentali sembrano aver accolto i vaccini Pfizer e Moderna come ‘primi’, ma diversi vaccini cinesi in realtà sono già in uso”, dice al Foglio Jacob Mardell, ricercatore del Merics. “Gli Emirati arabi hanno approvato l’uso del vaccino di Sinopharm a settembre, e Sinovac ha detto che avrebbe pubblicato i suoi dati sulla fase 3 di sperimentazione entro novembre, ma niente. Una spiegazione è che queste aziende siano estremamente caute con i risultati, sapendo di dover passare al controllo della comunità internazionale. Dall’altro lato, però, questa opacità non aiuta”. E poi c’è la strategia “del salvatore”, cioè la diplomazia dei vaccini nei paesi in via di sviluppo: “I vaccini occidentali sono già stati acquistati da una manciata di paesi ricchi, ma nel frattempo i vaccini inattivati ​​cinesi saranno probabilmente più economici e molto più facili da distribuire nei paesi con infrastrutture meno sofisticate. Prevedo che la diplomazia dei vaccini approfondirà le divisioni tra i paesi occidentali più ricchi e i paesi in via di sviluppo nel sud del mondo”, dice Mardell.

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