PUBBLICITÁ

Debate a Pechino

Cosa cambia con la Cina con Biden presidente

Lo scontro tra l’Amministrazione Trump e il Partito comunista cinese di Xi Jinping, accelerato ed estremizzato dalla pandemia. Le cose potrebbero cambiare tra un mese

Giulia Pompili

Biden, se diventasse presidente, potrebbe "spingere per un bilanciamento rafforzando le alleanze tradizionali, soprattutto nell’Asia-Pacifico, magari coordinandosi con il Giappone e l’Unione europea per delle contromisure al capitalismo di stato cinese, contromisure raffinate rispetto alla mannaia delle tariffe di Trump”. I membri del suo staff da tenere d'occhio

PUBBLICITÁ

L’anno appena trascorso ha avuto una caratterizzazione chiara: la competizione tra America e Cina, le prime due economie del mondo, che si è trasformata in uno scontro tra l’Amministrazione Trump e il Partito comunista cinese di Xi Jinping, accelerato ed estremizzato dalla pandemia. Nel resto del mondo si parla già di “nuova Guerra fredda”, spesso anche a sproposito, ma le cose potrebbero cambiare, e di molto, se alla Casa Bianca tra poco più di un mese dovesse arrivare il candidato democratico Joe Biden. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


L’anno appena trascorso ha avuto una caratterizzazione chiara: la competizione tra America e Cina, le prime due economie del mondo, che si è trasformata in uno scontro tra l’Amministrazione Trump e il Partito comunista cinese di Xi Jinping, accelerato ed estremizzato dalla pandemia. Nel resto del mondo si parla già di “nuova Guerra fredda”, spesso anche a sproposito, ma le cose potrebbero cambiare, e di molto, se alla Casa Bianca tra poco più di un mese dovesse arrivare il candidato democratico Joe Biden. 

PUBBLICITÁ


Nel primo dibattito tra i due candidati la Cina è stata menzionata solo tredici volte, e Trump e Biden si sono concentrati molto sulla politica interna. Donald Trump ha citato la Cina per accusare il figlio di Biden, Hunter, di essere stato agevolato dalla posizione di vicepresidente del padre per fare affari con Pechino (accuse mai dimostrate). Il presidente americano è poi tornato a dire che il suo blocco dei voli con la Cina ha salvato milioni di americani perché avrebbe fermato “la peste cinese”. Biden a sua volta ha accusato Trump di aver elogiato più volte il sistema di governo cinese (come riportato anche dall’ex consigliere di Trump,   John Bolton, nel suo libro “The Room Where It Happened”), e ha detto che la Cina negli anni ha perfezionato “l’arte del furto”, e lo ha fatto  soprattutto grazie alla guerra commerciale intrapresa dalla Casa Bianca, e nonostante questo il deficit commerciale tra Washington e Pechino “non è mai stato così ampio” (un’accusa che però non corrisponde ai dati reali). Molti media americani hanno criticato questa semplificazione del rapporto tra America e Cina a cui si è assistito durante il primo dibattito tra candidati alla presidenza. E se da un lato sappiamo quale sarà il percorso già intrapreso dall’Amministrazione Trump nei rapporti diplomatici con Pechino, il punto è soprattutto cercare di capire qual è la strategia che hanno in mente i democratici. 


Perché l’evoluzione della politica americana sulla Cina non riguarda solo Trump: c’è un crescente consenso anticinese a Washington accelerato dalla pandemia, dalla guerra commerciale, dai passi falsi americani, ma soprattutto da un’assertività sempre più percepibile di Pechino in varie aree del mondo, da Hong Kong al Mar cinese meridionale. “La vittoria di Biden porterà a drastici cambiamenti nella politica interna ed estera negli Stati Uniti”, scrive l’Intelligence Unit dell’Economist in un paper di agosto sulle relazioni tra America e Cina sotto la presidenza Biden, “ma ci sono poche prospettive di miglioramento delle relazioni bilaterali tra Pechino e Washington nei prossimi anni”. La rivalità tra i due paesi continuerà anche con un presidente democratico, ma è possibile che “si sposti sempre di più dal commercio verso altre questioni, tra cui la protezione della proprietà intellettuale e gli squilibri di mercato creati dal modello economico cinese”. Trump è un isolazionista, e ha ritirato di fatto l’influenza strategica americana dai tavoli multilaterali, mentre Biden potrebbe rilanciare il ruolo americano. “Biden probabilmente si concentrerà meno sulla guerra commerciale, visto che anche in America le tariffe non piacciono a nessuno, e sulle spese militari. Al contrario, è probabile che terrà il pugno duro su questioni come i diritti umani e la competizione tecnologica – sul 5G la linea sarà più o meno identica”, dice al Foglio Giulio Pugliese, lecturer in Politica giapponese e Relazioni internazionali  a Oxford, “E’ possibile che continuerà a spingere per un bilanciamento rafforzando le alleanze tradizionali, soprattutto nell’Asia-Pacifico, magari coordinandosi con il Giappone e l’Unione europea per delle contromisure al capitalismo di stato cinese, contromisure raffinate rispetto alla mannaia delle tariffe di Trump”. Ely Ratner, direttore degli studi al  Center for a New American Security, è uno dei consiglieri di Biden per le questioni cinesi, e la sua posizione è che la Cina è una sfida, ma non c’è nessuna “nuova Guerra fredda da combattere”, perché da una competizione del genere tutti rischieremmo di perdere qualcosa. E’ una strategia molto diversa da quella di Matthew Pottinger, viceconsigliere per la Sicurezza nazionale di Trump, ex marine che ama la Cina ma “contro il Partito comunista non vede che il fucile”, dice al Foglio una fonte che ha lavorato con lui a Pechino ai tempi della sua corrispondenza per il Wall Street Journal. Anche Jake Sullivan fa parte del team di politica estera di Biden sin dagli otto anni di vicepresidenza con Barack Obama, e qualche mese fa ha detto a Reuters che “è giusto che il presidente voglia spingere la Cina a cambiare, ma non vieni giudicato dalla spinta, ma dai cambiamenti”.

 

PUBBLICITÁ

Quindi l’approccio tornerebbe a essere quello di fare pressione attraverso la forza delle alleanze, “elevando la questione dei diritti umani a un livello più alto”, ha detto Sullivan. La terza figura chiave da osservare per capire la politica cinese di Biden è quella di Antony Blinken, consigliere di politica estera di Biden, che non ha mai negato la “sfida crescente, forse la sfida più importante che ci pone la Cina” – ha detto in un’intervista alla Cbs il 25 settembre scorso – “ma la domanda che dobbiamo porci è: ‘Qual è la strategia più efficace per proteggere e promuovere la nostra sicurezza, la nostra economia, i nostri valori quando si tratta di avere a che fare con la Cina?’. Credo che il vicepresidente direbbe che dobbiamo iniziare mettendoci in una posizione di forza, dalla quale gestire la Cina in modo che il rapporto vada avanti più alle nostre condizioni che alle loro”. Secondo diversi  analisti, per esempio Cheng Xiaohe, docente diRelazioni internazionali alla  Renmin University di Pechino, intervistato dal New York Times, la strategia isolazionista di Trump faceva comodo a Pechino, che poteva contare sul sostegno degli alleati delusi dell’America. Al contrario, il rafforzamento delle alleanze internazionali americane, cioè la strategia del democratico Biden, per Xi Jinping sarebbe un problema ancora  più serio.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ