PUBBLICITÁ

La guerra tech

Trump colpisce i microchip cinesi per frenare le ambizioni di Pechino

L'Amministrazione americana contro Pechino mira al cuore della tecnologia cinese

Giulia Pompili

Imposte restrizioni sulle esportazioni verso la Smic, la più grande azienda statale cinese di produzione di chipset. E' tra le più strategiche per la Cina di Xi Jinping: già da tempo la guerra tecnologica tra America e Cina ha mostrato il lato più vulnerabile della rincorsa cinese e le ambizioni di leadership nel campo tecnologico, che è proprio la produzione dei semiconduttori e dei chip

PUBBLICITÁ

L’ultima mossa in ordine di tempo dell’Amministrazione Trump contro Pechino mira al cuore della tecnologia cinese. Il governo americano ha imposto delle restrizioni sulle esportazioni verso la Semiconductor manufacturing international corporation, la più grande azienda statale cinese di produzione di chipset, cioè quell’insieme di circuiti elettronici che servono a trasmettere le informazioni dei computer e smartphone (e non solo). La Smic ha sede a Shanghai ed è una delle aziende produttrici più strategiche per la Cina di Xi Jinping: già da tempo la guerra tecnologica tra America e Cina ha mostrato il lato più vulnerabile della rincorsa cinese e le ambizioni di leadership nel campo tecnologico, che è proprio la produzione dei semiconduttori e dei chip. Il paese che produce più semiconduttori al mondo è Taiwan, che per anni ha lavorato contemporaneamente con aziende americane e cinesi, ma che ora si sta spostando, per ragioni geopolitiche, molto più verso una posizione comoda per Washington. Pechino era alla ricerca di una strategia per rendersi autosufficiente nella produzione, e in questo contesto la Smic avrebbe dovuto avere un ruolo centrale. 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


L’ultima mossa in ordine di tempo dell’Amministrazione Trump contro Pechino mira al cuore della tecnologia cinese. Il governo americano ha imposto delle restrizioni sulle esportazioni verso la Semiconductor manufacturing international corporation, la più grande azienda statale cinese di produzione di chipset, cioè quell’insieme di circuiti elettronici che servono a trasmettere le informazioni dei computer e smartphone (e non solo). La Smic ha sede a Shanghai ed è una delle aziende produttrici più strategiche per la Cina di Xi Jinping: già da tempo la guerra tecnologica tra America e Cina ha mostrato il lato più vulnerabile della rincorsa cinese e le ambizioni di leadership nel campo tecnologico, che è proprio la produzione dei semiconduttori e dei chip. Il paese che produce più semiconduttori al mondo è Taiwan, che per anni ha lavorato contemporaneamente con aziende americane e cinesi, ma che ora si sta spostando, per ragioni geopolitiche, molto più verso una posizione comoda per Washington. Pechino era alla ricerca di una strategia per rendersi autosufficiente nella produzione, e in questo contesto la Smic avrebbe dovuto avere un ruolo centrale. 


La notizia delle restrizioni all’export americano non è ancora ufficiale, perché ieri la società ha fatto sapere di non aver avuto ancora la comunicazione ufficiale dal dipartimento del Commercio, che ha invece inviato una lettera agli esportatori annunciando la misura. Secondo il governo americano il rischio è che le apparecchiature americane vendute alla Smic abbiano come uso finale quello militare. Nel frattempo il titolo Smic è crollato alla Borsa di Hong Kong. Come scrive Arjun Kharpal, che si occupa di tecnologia asiatica per la Cnbc, “i semiconduttori sono componenti fondamentali per tutta l’elettronica di consumo che usiamo”. Man mano che i dispositivi diventano intelligenti e connessi a internet, “ne useremo di più in altri settori, come quello automobilistico. Il problema però è che i semiconduttori hanno una catena di produzione estremamente complicata”. Non si tratta solo delle aziende che materialmente producono i chip, scrive Kharpal, “ma sono coinvolte anche società di progettazione e aziende che realizzano strumenti che consentono la loro produzione. In questo settore dominano le aziende americane, europee e asiatiche”. Per esempio la Tsmc taiwanese e la Samsung Electronics sudcoreana, che producono semiconduttori in grandi quantità. La Samsung, in particolare, rifornisce quasi l’intero mercato sudcoreano. E c’è anche un’azienda olandese come la Asml, che produce le attrezzature per l’elaborazione dei circuiti integrati (all’inizio dell’anno, secondo Reuters, a seguito di pressioni americane sul governo olandese la Asml ha smesso di vendere componenti alla Smic). Quando lo scorso anno il governo americano ha messo delle restrizioni sulle esportazioni verso il colosso delle telecomunicazioni Huawei, per rifornirsi di semiconduttori l’azienda di Shenzhen si è dovuta rivolgere altrove, ad aziende taiwanesi, sudcoreane ed europee. Ma progressivamente le restrizioni americane si sono ampliate anche ad aziende straniere (specialmente a Taiwan) rendendo molto difficile per un produttore come Huawei riuscire a rifornirsi. Secondo gli analisti, non ci vorrà molto tempo prima che altre aziende cinesi verranno riconvertite per fare in modo che il fabbisogno finora acquistato all’estero possa essere prodotto direttamente in Cina. 
La cinese Smic dal 2016 al 2019 è stata proprietaria della LFoundry, la prima azienda tech della provincia dell’Aquila che opera nel settore dei semiconduttori. Nella primavera dello scorso anno la Smic ha venduto tutto alla Jiangsu Technology, in una mossa poco comprensibile e considerata piuttosto audace (che aveva aperto numerose questioni sul lato sindacale). 
 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ