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Navalny vuole tornare in Russia

Micol Flammini

Ricordate lo chef di Putin? Ecco, è lui che si occupa della “accoglienza” all'attivista (levandogli pure la casa)

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Roma. Alexei Navalny è in piedi. Si è fatto fotografare mentre scende le scale, mentre siede in terrazza o su una panchina al parco, mentre abbraccia Yulia, sua moglie, con tanti chili in meno ma con l’aria di uno disposto a qualsiasi cosa pur di rimettersi e di tornare in Russia. 

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Roma. Alexei Navalny è in piedi. Si è fatto fotografare mentre scende le scale, mentre siede in terrazza o su una panchina al parco, mentre abbraccia Yulia, sua moglie, con tanti chili in meno ma con l’aria di uno disposto a qualsiasi cosa pur di rimettersi e di tornare in Russia. 

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Mosca intanto si sta preparando al rientro dell’avvocato anticorrizione e sembra aver affidato l’accoglienza a Evgenij Prigozhin, conosciuto come “lo chef di Putin”, l’uomo che cura tutti gli affari indicibili del Cremlino. Sembra ci sia lui dietro alla fabbrica dei troll di San Pietroburgo che ha orchestrato gran parte delle interferenze durante le elezioni americane del 2016. Prigozhin appare anche dietro alla Wagner, l’esercito di mercenari russi che combatte le guerre irregolari di Mosca, in Libia, in Ucraina orientale, in alcune zone della Siria e Repubblica Centrafricana. Dove la Russia, formalmente, non c’è, c’è Prigozhin, che si occupa, anche, di catering. Da qui il soprannome di “chef di Putin”. La Fondazione anticorruzione di Navalny aveva accusato una delle società legate a  Prigozhin, che prepara il cibo per le mense scolastiche, di non rispettare gli standard sanitari e di fornire cibo di scarsa qualità ad asili e scuole, in alcuni istituti  si erano sentiti male diversi bambini. La società di Prigozhin ha fatto causa alla Fondazione di Navalny e l’ha vinta: un tribunale di Mosca ha ordinato all’attivista e alla sua collega, Lyubov Sobol, di pagare 87,6 milioni di rubli, circa un milione di euro, alla società di Prigozhin. Alcuni asset della Fondazione sono stati congelati e mentre l’attivista era ancora in coma, ha raccontato giovedì la sua portavoce, il suo appartamento a Mosca è stato sequestrato, attualmente tutta la famiglia si trova con lui a Berlino,  e   i suoi conti sono stati bloccati. Anche questa volta, dietro c’è Prigozhin che, oltre a essere l’unico tra gli uomini vicini al Cremlino a parlare, quasi apertamente, di Navalny, in agosto ha rilevato il debito di 87,6 milioni di rubli della Fondazione. Dopo la notizia di quello che le autorità russe continuano a chiamare “malore”, Prigozhin aveva detto di aver sempre consigliato a Navalny di lasciar perdere con le sue inchieste, aveva annunciato di aver versato del denaro allo Charité (più di undicimila euro), l’istituto in Germania dove è stato ricoverato – “Che lo curino, mi deve dei soldi”, la clinica tedesca gli ha restituito la donazione  – e aveva avvisato che lo avrebbe rovinato una volta rimessosi. Mentre il Cremlino continua a trattare l’avvelenamento dell’attivista come un incidente, Prigozhin assume tutti altri toni: dopo tutto è lui che si occupa di fare l’indicibile per conto delle autorità, e quindi forse anche di dirlo. 


Dalla Germania  Navalny ha anche ripreso, a distanza, la sua attività. Almeno quella comunicativa, per quella politica aspetta ancora un po’, e ieri su Instagram ha ringraziato il pilota del volo Tomsk-Mosca che ha effettuato l’atterraggio di emergenza,  e i medici, tutti, i russi e i tedeschi, che lo hanno soccorso e curato. Navalny  si è sentito male  il venti agosto scorso, era di ritorno da una serie di appuntamenti elettorali in Siberia, e le analisi dell’istituto Charité di Berlino, dove è stato trasportato, poi comprovate dai test di laboratori francesi e svedesi, hanno confermato che l’attivista russo è stato avvelenato con un tipo di Novichok, un agente nervino creato nei laboratori dell’Unione sovietica. Potrebbe trattarsi di un tipo di Novichok di nuova lavorazione, come ha spiegato a Daniele Raineri in un’intervista al Foglio Hamish de Bretton-Gordon, esperto di armi chimiche. La Russia ha continuato a negare ogni possibile coinvolgimento, ha accusato la Germania di non voler condividere con Mosca le prove e il Cremlino continua a negare l’avvelenamento: in un recente articolo del Monde in cui si riportava il contenuto di una conversazione al telefono tra Vladimir Putin ed Emmanuel Macron, si legge che il presidente russo avrebbe insinuato che “il paziente di Berlino”, come viene chiamato dalle autorità l’attivista, potrebbe essersi avvelenato da solo. Navalny aspetta di riprendersi del tutto, i medici tedeschi hanno detto che ci sono buone possibilità che la guarigione sarà completa, intanto mercoledì è stato dimesso dallo Charité e ha detto che ha tutte le intenzioni di tornare a occuparsi di politica in Russia. Se l’intento di chi ha avvelenato l’oppositore era quello di ucciderlo, è fallito. Se l’intento era quello di spaventarlo, è fallito comunque.


L’accoglienza che Mosca  sta preparando ad Alexei Navalny  e le parole di   Evgenij Prigozhin sono un segnale preoccupante. A livello internazionale la figura dell’attivista  è diventata più visibile, si è fatta più grande. Le attenzioni rimarranno, ma questo non garantisce che una volta tornato in Russia, Navalny  potrà sentirsi più al sicuro. 

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