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Pechino e la strategia dell'intimidazione

L'arresto di Joshua Wong è la nuova normalità a Hong Kong

La Cina è sempre più intenzionata a silenziare "i ribelli", compresi i giornalisti. Finora le reazioni della comunità internazionale hanno portato a pochi risultati

Giulia Pompili

Fermato per poche ore uno degli attivisti più noti del movimento per l'autonomia. È sospettato di aver partecipato a una manifestazione non autorizzata e di aver violato la norma che vietava l'uso delle mascherine per permettere alle Forze dell'ordine di identificare i manifestanti. Il controllo sociale e l'accelerazione prima delle elezioni in America di novembre

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Uno degli attivisti più conosciuti ed esposti mediaticamente del movimento per l'autonomia di Hong Kong, il ventitreenne Joshua Wong, ex leader del gruppo ormai disciolto Demosisto, è stato arrestato e trattenuto dalle autorità per poche ore. Wong si trovava alla stazione della polizia per i controlli bisettimanali che deve fare essendo libero su cauzione per un'indagine precedente. Con lui è stato arrestato anche Koo Sze-yiu, attivista di 73 anni.

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Uno degli attivisti più conosciuti ed esposti mediaticamente del movimento per l'autonomia di Hong Kong, il ventitreenne Joshua Wong, ex leader del gruppo ormai disciolto Demosisto, è stato arrestato e trattenuto dalle autorità per poche ore. Wong si trovava alla stazione della polizia per i controlli bisettimanali che deve fare essendo libero su cauzione per un'indagine precedente. Con lui è stato arrestato anche Koo Sze-yiu, attivista di 73 anni.

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I due sono sospettati di aver partecipato a una manifestazione non autorizzata, nello specifico quella del 5 ottobre, il giorno dopo una norma imposta dal governo locale di Hong Kong che bandiva l'uso delle mascherine per permettere alle Forze dell'ordine l'identificazione dei manifestanti. La polizia accusa Wong anche di aver violato la legge sulle mascherine (a fine luglio a Hong Kong le mascherine sono diventate obbligatorie per via delle norme anti Covid).

 

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Appena uscito dalla stazione di polizia, Joshua Wong ha parlato brevemente con i giornalisti. “Da quando sono stato scarcerato, a giugno, è la terza volta che mi trovo in questa situazione”, ha detto, “ma continueremo a resistere”.

 

E' la nuova normalità a Hong Kong, dove le autorità da mesi cercano di controllare e intimidire gli attivisti e le figure di spicco del movimento per l'autonomia. La ventitreenne Agnes Chow è stata arrestata a metà agosto, come il tycoon dei media di Hong Kong Jimmy Lai (che è stato scagionato dalle accuse in quello che la Bbc ha definito un “processo intimidatorio” ). Nathan Law, un altro attivista molto noto – il Foglio lo aveva intervistato qui durante la sua protesta a Roma - è stato costretto alla fuga nel Regno Unito per evitare l'arresto.

 

L'applicazione della Legge sulla Sicurezza nazionale, imposta da Pechino ed entrata in vigore il primo luglio scorso, non solo è retroattiva ma funziona in modo quasi arbitrario, di sicuro intimidatorio. E' il metodo che Pechino sta usando per entrare definitivamente in controllo dell'ex colonia inglese, che secondo i trattati sarebbe dovuta rimanere autonoma fino al 2047. Arresti di poche ore, indagini, pressioni: tutto fa parte di un disegno per spaventare soprattutto i più giovani attivisti, che ormai hanno paura a esporsi.

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Il controllo sociale non è rivolto soltanto agli attivisti, ma anche ai giornalisti internazionali. Dopo l'introduzione della Legge sulla Sicurezza molti media internazionali hanno preferito trasferire le proprie sedi altrove, e ora la norma per l'accreditamento, cioè il lasciapassare che permette ai giornalisti di seguire le proteste, sarà modificata. E passerà direttamente dalle Forze dell'ordine. Le conseguenze, sul piano del controllo dell'informazione, sono facili da intuire

 

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Dopo aver revocato lo status speciale con Hong Kong nelle relazioni commerciali, all'inizio di agosto Washington ha imposto sanzioni contro undici persone, ritenute responsabili dell'erosione dei diritti civili e dell'autonomia di Hong Kong. Contemporaneamente molti paesi hanno sospeso i trattati di estradizione con l'ex colonia inglese. Ma sono mosse che sono servite a poco finora. Secondo diversi analisti, la propaganda anticinese di Donald Trump ha accelerato la modifica dello status quo da parte di Pechino: chiunque giurerà alla Casa Bianca dopo le elezioni di novembre, si troverà con una regione come quella di Hong Kong, importantissima anche per il business internazionale, ormai definitivamente cambiata.

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