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Quanto è dura per Conte prendere posizione contro Erdogan

Luca Gambardella

“Le sanzioni? Dipende da quanto ci costano”, dice Pinotti. Le risposte che Macron aspetta dall’Italia

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Roma. Al prossimo Consiglio europeo del 24 e 25 settembre, l’Italia sarà chiamata a prendere una posizione netta su due dossier su cui finora è rimasta defilata. Sul tavolo dei capi di stato e di governo potrebbero finire le sanzioni alla Bielorussia e quelle alla Turchia. Entro quel giorno, il premier Giuseppe Conte dovrà trovare un’alternativa credibile al tradizionale mantra della nostra diplomazia, quello del “noi dialoghiamo con tutti”. La Turchia rivendica la sovranità al largo delle sue coste – fino a Cipro – per lo sfruttamento delle materie prime. A complicare la questione giuridica è la geografia. Per fare un esempio, la più meridionale delle isole del Dodecaneso, Kastellorizo, è greca. Eppure dista 600 chilometri dalla Grecia e appena due dalle coste turche. Atene ha spostato sull’isola un contingente del suo esercito, mentre da mesi, più al al largo, le fregate turche provocano quelle greche e francesi e i caccia di Ankara violano ripetutamente lo spazio aereo greco. L’Alto rappresentante per la politica estera europea, Josep Borrell, in un raro momento di slancio per un diplomatico europeo, ha già dichiarato che – se chiamata a decidere – l’Ue non potrà che schierarsi dalla parte dei suoi paesi membri e sostenere le sanzioni. “La Turchia si astenga da azioni unilaterali”, è stato il monito rivolto a Ankara dal capo della diplomazia europea. Una comunione di intenti che è “un successo per la nostra famiglia europea”, ha esultato il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias.

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Roma. Al prossimo Consiglio europeo del 24 e 25 settembre, l’Italia sarà chiamata a prendere una posizione netta su due dossier su cui finora è rimasta defilata. Sul tavolo dei capi di stato e di governo potrebbero finire le sanzioni alla Bielorussia e quelle alla Turchia. Entro quel giorno, il premier Giuseppe Conte dovrà trovare un’alternativa credibile al tradizionale mantra della nostra diplomazia, quello del “noi dialoghiamo con tutti”. La Turchia rivendica la sovranità al largo delle sue coste – fino a Cipro – per lo sfruttamento delle materie prime. A complicare la questione giuridica è la geografia. Per fare un esempio, la più meridionale delle isole del Dodecaneso, Kastellorizo, è greca. Eppure dista 600 chilometri dalla Grecia e appena due dalle coste turche. Atene ha spostato sull’isola un contingente del suo esercito, mentre da mesi, più al al largo, le fregate turche provocano quelle greche e francesi e i caccia di Ankara violano ripetutamente lo spazio aereo greco. L’Alto rappresentante per la politica estera europea, Josep Borrell, in un raro momento di slancio per un diplomatico europeo, ha già dichiarato che – se chiamata a decidere – l’Ue non potrà che schierarsi dalla parte dei suoi paesi membri e sostenere le sanzioni. “La Turchia si astenga da azioni unilaterali”, è stato il monito rivolto a Ankara dal capo della diplomazia europea. Una comunione di intenti che è “un successo per la nostra famiglia europea”, ha esultato il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias.

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Emmanuel Macron è stato finora il più attivo nella regione e ha superato tutti, forse anche gli stessi greci e ciprioti, nel cercare lo scontro aperto con Ankara. Ebbene, a Bruxelles Macron potrebbe chiedere a Giuseppe Conte cosa intende fare: sostenere o no le sanzioni europee contro Recep Tayyip Erdogan? La risposta del nostro presidente del Consiglio non sarà così semplice, soprattutto potrebbe comportare un costo politico ed economico per il nostro paese.

Essere realisti in Libia

Roberta Pinotti, presidente della commissione Difesa del Senato, spiega al Foglio che il dibattito in Parlamento su cosa fare con Erdogan è già iniziato. “Due giorni fa abbiamo audito in commissione, su mia proposta approvata dall’ufficio di presidenza, l’ambasciatore alla Nato Francesco Talò per aggiornarci sulle problematiche in discussione alla Nato e sulla situazione nel Mediterraneo orientale. E’ stato un incontro molto interessante”. L’ex ministro della Difesa non si sbilancia: “L’Italia è stata protagonista nel portare avanti un’azione di deconflicting, per abbassare le tensioni. Siamo sempre stati un paese che ha fatto da cerniera, che dialoga con tutti”. E’ chiaro però che le fughe in avanti dei francesi – non ultima l’invio della portaerei Charles de Gaulle nell’area, infastidiscono il nostro paese, così come le continue minacce di Erdogan. Per Pinotti, “ora nel Mediterraneo c’è chi cerca di mettere tutti davanti a fatti compiuti, con una postura assertiva. Noi invece crediamo debba prevalere il diritto internazionale”. Giusto un paio di anni fa, proprio Pinotti aveva tracciato le direttive della nuova strategia italiana: via i militari da Iraq e Afghanistan, maggiore impegno nel Mediterraneo e nel Sahel. Oggi però quei “toni assertivi” di Francia e, soprattutto, Turchia mettono a repentaglio la posizione italiana nella nostra regione di riferimento. Basti pensare alla Libia. Parlando al Foglio, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha detto che l’Italia “deve essere realista e fare i conti con la presenza della Turchia nel paese”. Pinotti ci spiega cosa significhi, concretamente, essere realisti in Libia: “Nel momento in cui nel paese si è acuito il conflitto tra le parti, anche con numerosi scontri armati, la Turchia ha deciso di scendere in campo. Ora però lo scenario è cambiato e siamo in una fase i cui le parti hanno trovato un accordo e si deve lavorare per la stabilizzazione”. Ora la stabilizzazione sta arrivando, ma seguendo le condizioni dettate da Erdogan. In Libia, la tregua dai combattimenti corrisponde all’inizio della corsa alla ricostruzione della Tripolitania. Ai blocchi di partenza c’è la Turchia in testa, e dietro tutti gli altri. “Gli interessi italiani a Tripoli sono vulnerabili”, spiega Michaël Tanchum, senior fellow al think tank dell’Austria Institut für Europa und Sicherheitspolitik (Aies). “L’abilità di Ankara sta anche nell’avere il Qatar come partner strategico, capace di investire tanto in Libia. Lo stiamo già vedendo in Tunisia, dove Doha ha speso 3 miliardi di dollari diventando il secondo partner del paese, superando proprio l’Italia”.

Il cortocircuito tra atlantismo ed europeismo

“La politica estera italiana deve decidere con urgenza se dare la priorità alla sua partnership con la Turchia o se darla a quella con la Francia. Cercare di cavarsela provando a bilanciare tra le due probabilmente minerà la posizione internazionale dell’Italia”, dice al Foglio Tanchum. La scelta della nostra diplomazia è più difficile di quanto si creda. Il fatto che tutti e quattro i paesi coinvolti nelle schermaglie nel Mediterraneo orientale siano alleati dell’Italia, sia in seno all’Ue sia alla Nato, rende altissimo per il nostro paese il rischio di un cortocircuito tra atlantismo ed europeismo. “Per l’Italia il quadro è complicato anche dai grandi interessi economici che ha proprio nei paesi che sono avversari della Turchia, in particolare Cipro e Egitto”, dice Tanchum, che è anche professore di Relazioni internazionali del Mediterraneo e del medio oriente all’Università di Navarra. Eni è la principale società coinvolta nell’estrazione di gas naturale al largo di Cipro e nel bacino di Zohr, in Egitto dove investe anche in due stabilimenti di liquefazione del gas e nel più grande campo fotovoltaico dell’Africa, quello di Benban.

I turchi a Taranto

Eppure, le sanzioni alla Turchia sarebbero un costo pesante per il nostro paese. Lo fa intuire anche l’ex ministro Pinotti: “Sanzioni? Si esprimerà il governo nelle sedi multilaterali. E’ chiaro che bisognerà vedere quali interessi si andranno a colpire”. Basta guardare a cosa sta succedendo in Puglia, a Taranto per l’esattezza, dove una società turca ha investito – e tanto – per rilanciare il porto della città. La Yilport ha preso in concessione lo scalo per i prossimi 49 anni. Il proprietario è la Yildirim Holding Inc., che fa capo a Robert Yuksel Yildirim, un imprenditore turco vicino a Erdogan che ha investito dall’Africa al Sudamerica nella costruzione di terminal portuali. “L’import/export via mare fra Italia e Turchia è cresciuto costantemente negli ultimi cinque anni e oggi vale 12,5 miliardi di euro”, spiega Alessandro Panaro, responsabile del servizio Maritime & Energy dell’Srm, il centro studi per il Mezzogiorno di Intesa Sanpaolo. L’investimento turco si sposa con un progetto molto più ampio, che prevede la creazione di un corridoio che dalle coste turche va fino all’Italia e poi a Malta (dove Yilport controlla già lo scalo di Marsaxlokk) e in Tunisia. Nonostante i rallentamenti a causa della pandemia, “Taranto ha avviato da luglio una rotta che la collegherà a Turchia, Malta e Tunisia con frequenza settimanale e scali nei porti di Aliaga, Gemlik, Izmit, Istanbul Ambarli, Malta, Bizerte, Sfax con 4 navi da 1.100 teu – dice Panaro – E’ un risultato ottimo per la Puglia e per tutte quelle imprese del sud Italia che vorranno collegarsi al resto del Mediterraneo tramite il porto di Taranto”. Dal gas alle infrastrutture, nella crisi del Mediterraneo orientale ci sono in ballo tanti soldi, oltre a una grande fetta di influenza nella regione. Chissà allora cosa risponderà Conte, quando Macron gli chiederà da che parte sta.

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