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L’Europa idealista contro gli avvelenatori

Paola Peduzzi

Ma quale belligeranza verso la Russia, qui si difendono principi validi per tutti

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Aljaksandr Lukashenka, dittatore della Bielorussia, ha fatto sapere ieri che i suoi servizi segreti hanno intercettato una conversazione tra Berlino e Varsavia che dimostra che le dichiarazioni tedesche sull’avvelenamento di Alexei Navalny sono “manipolate”. L’intercettazione, secondo Lukashenka “molto interessante”, è avvenuta nell’ovest della Bielorussia, che è in stato d’allerta perché il regime si aspetta da quel confine un’imminente invasione polacco-lituana, con la regia della Nato. Mosca è stata subito avvertita perché, nella rappresentazione dei fatti cara ai russofili, la falsificazione tedesca e i piani della Nato sono l’ennesimo affronto belligerante dell’Europa contro la Russia e perché così Lukashenka restituisce il favore a Vladimir Putin, per il quale le elezioni bielorusse sono corrette e valide. Questa rappresentazione non tiene conto di due fatti essenziali che dimostrano una cosa: l’Europa non c’entra, Angela Merkel non c’entra, la Nato non c’entra (manca George Soros per citare i protagonisti cari alla versione russofila di tutti i fatti, ma comunque non c’entra nemmeno lui). Se l’Europa, la Merkel e la Nato si muovono è per difendere dei valori e dei princìpi che dovrebbero essere cari a tutti. Due in particolare: se imbrogli alle elezioni non puoi essere eletto (caso bielorusso); i capi dell’opposizione, per quanto fastidiosi o famosi, non devono essere avvelenati (caso Navalny).

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Aljaksandr Lukashenka, dittatore della Bielorussia, ha fatto sapere ieri che i suoi servizi segreti hanno intercettato una conversazione tra Berlino e Varsavia che dimostra che le dichiarazioni tedesche sull’avvelenamento di Alexei Navalny sono “manipolate”. L’intercettazione, secondo Lukashenka “molto interessante”, è avvenuta nell’ovest della Bielorussia, che è in stato d’allerta perché il regime si aspetta da quel confine un’imminente invasione polacco-lituana, con la regia della Nato. Mosca è stata subito avvertita perché, nella rappresentazione dei fatti cara ai russofili, la falsificazione tedesca e i piani della Nato sono l’ennesimo affronto belligerante dell’Europa contro la Russia e perché così Lukashenka restituisce il favore a Vladimir Putin, per il quale le elezioni bielorusse sono corrette e valide. Questa rappresentazione non tiene conto di due fatti essenziali che dimostrano una cosa: l’Europa non c’entra, Angela Merkel non c’entra, la Nato non c’entra (manca George Soros per citare i protagonisti cari alla versione russofila di tutti i fatti, ma comunque non c’entra nemmeno lui). Se l’Europa, la Merkel e la Nato si muovono è per difendere dei valori e dei princìpi che dovrebbero essere cari a tutti. Due in particolare: se imbrogli alle elezioni non puoi essere eletto (caso bielorusso); i capi dell’opposizione, per quanto fastidiosi o famosi, non devono essere avvelenati (caso Navalny).

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A dimostrazione del fatto che il desiderio di stabilità in Bielorussia e la decisione di accogliere e curare Navalny non sono delle iniziative belligeranti europee, ci sono anche elementi fattuali. Nelle piazze bielorusse, a Minsk e altrove, non ci sono bandiere europee: nessuno, nemmeno le leader dell’opposizione a Lukashenka, chiedono di aderire all’Ue o alla Nato. Svjatlana Tikhanovskaya, che guida la lotta al regime in Bielorussia, ha parlato al Parlamento di Strasburgo della “cultura europea” cui fa riferimento la Bielorussia per indicare l’appartenenza a valori democratici e di libertà ma ha evitato di alimentare la dialettica filorussi-antirussi. La sua è “una rivoluzione democratica”, in piazza si scandisce uno slogan di autonomia e di presenza molto preciso: “Il potere qui siamo noi”. Questo tra l’altro è uno slogan di Alexei Navalny, il leader dell’anticorruzione in Russia e della lotta al putinismo che tutto è tranne che un europeista. Al contrario, Navalny è un nazionalista russo, che negli anni della crisi in Georgia sosteneva i filorussi e che dice che, se un giorno dovesse diventare presidente della Russia, non restituirebbe la Crimea all’Ucraina. Quando Navalny si è espresso contro le politiche espansionistiche russe in Ucraina o in Siria lo ha fatto per ragioni economiche: i soldi spesi in quei conflitti andrebbero usati per migliorare la vita dei russi – che è il più ricorrente degli argomenti nazionalisti non soltanto in Russia.

 

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Navalny si definisce “un nazionalista democratico” e non ama affatto che alcuni stati dell’ex Unione sovietica ammicchino all’Europa: per questo persino la propaganda russa – quella che sostiene che i sintomi di Navalny non sono tipici dell’avvelenamento da Novichok, quella che aveva spiegato “il malore” di Navalny con “una crisi ipoglicemica” – ha rinunciato a definirlo come un agente dell’occidente come invece fa con altri oppositori. Questo significa che se l’Europa chiede che in Bielorussia vengano rispettate le regole democratiche – no ai brogli, no alla repressione – non lo fa per ottenere in cambio un nuovo stato partner (a giudicare quanto è cauta l’Ue sull’allargamento, non saprebbe nemmeno come gestirlo, un altro partner). E se Angela Merkel dice che l’attentato a Navalny è “un tentato omicidio” non lo fa perché spera che Navalny scalzi Vladimir Putin e così la Russia diventi alleato leale dell’occidente. In entrambi i casi, non c’entra l’Europa, non c’entra la Nato, non c’entra la Merkel, c’entrano i valori – liberali, certo, ma non solo, non bisogna essere liberali per comprendere che non si ammazzano i rivali politici.

 

Ci siamo disabituati alle battaglie per i diritti e per i valori, il realismo ha avuto il sopravvento nella gestione degli affari del mondo e così per ogni azione o intervento ci siamo ridotti a valutare, analizzare e soppesare soltanto il tornaconto di tutti gli attori coinvolti. Così se la cancelliera Merkel dice che la Russia deve dare “urgentemente” delle risposte per l’attentato con l’agente nervino Novichok a Navalny perché “soltanto il governo russo può e deve rispondere”, molti pensano che ci sia un calcolo geopolitico alle spalle, e non un ragionamento semplice: queste cose non si fanno, se le fai dovrai pagarne le conseguenze. Questo non significa naturalmente che i calcoli non ci siano, stiamo comunque parlando della gestione e dei rapporti di un paese come la Russia, ma semplicemente che alcune battaglie – sempre meno – non si fanno per opportunismo o tornaconto ma in difesa di alcune regole globali e basilari di convivenza. E’ anche per questo che il silenzio americano in questo contesto pesa più del solito. Donald Trump ha smesso di essere il custode e il garante di regole e valori di base, non spende nemmeno una parola su Navalny e tantomeno sulla Bielorussia, e anzi pensa che gli interventi merkeliani siano la dimostrazione di un protagonismo europeo che lo infastidisce. Che poi è quello che pensa la Russia: la voce grossa sui valori è espansionismo liberale. Solo che da Putin te l’aspetti, dall’America (anche quella di Trump) fa male.

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