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Il volo per Navalny

Micol Flammini

L’attivista, oppositore di Putin, verso Berlino. Storia di una giornata di bugie in cui il Cremlino ha mostrato tutte le sue fragilità

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Alexei Navalny è ancora in coma in seguito a un presunto avvelenamento, ma la famiglia ha ottenuto il trasferimento a Berlino, all’ospedale Charite. Ieri a Omsk, dove era stato ricoverato subito dopo il malore in aereo, le voci continuavano a rincorrersi, le notizie anche, ma le verità che cercavano i parenti e gli amici dell’attivista sembravano non arrivare mai.

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Alexei Navalny è ancora in coma in seguito a un presunto avvelenamento, ma la famiglia ha ottenuto il trasferimento a Berlino, all’ospedale Charite. Ieri a Omsk, dove era stato ricoverato subito dopo il malore in aereo, le voci continuavano a rincorrersi, le notizie anche, ma le verità che cercavano i parenti e gli amici dell’attivista sembravano non arrivare mai.

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I medici raccontavano che Navalny aveva ingerito una sostanza pericolosa non soltanto per se stesso, ma anche per chi gli sta attorno e quindi non poteva essere trasferito come chiedeva la famiglia, fonti del Cremlino suggerivano che invece si trattasse di un calo di zuccheri. All’ospedale di Omsk, che la portavoce di Navalny Kira Yarmysh ha definito più un deposito per ambulanze che un vero ospedale, la polizia era più numerosa dei medici e l’ufficio del primario del reparto di terapia intensiva era stato occupato da tre uomini in giacca e cravatta che non rispondevano alle domande di chi chiedeva novità sulla salute di Alexei Navalny.

 

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Neppure alla moglie Yulia che ieri ha anche inviato una lettera a Vladimir Putin per chiedergli di intervenire e permettere il trasferimento. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, giovedì aveva detto che il governo e il presidente erano pronti ad aiutare Navalny, a fare in modo che avesse tutte le cure necessarie, ma che spettava ai medici di Omsk decidere cosa fare. Ieri la questione sembrava essere diventata una faccenda burocratica: non era più responsabilità dei dottori, o almeno non soltanto, ma il Cremlino non poteva intervenire perché nessuno aveva formulato una richiesta scritta.

 

Alexei Navalny è uno dei maggiori oppositori del presidente russo, sicuramente il più organizzato, il più ascoltato, il più forte, il brand più seguito. Molti sostenitori dell’attivista hanno accusato apertamente il presidente di aver avvelenato Navalny. Per questo il Cremlino pretendeva una richiesta formale, una lettera pubblica da parte della moglie Yulia. Voleva mostrare che neppure il maggior attivista, l’organizzatore del dissenso russo, poteva fare a meno del suo consenso, del suo aiuto. “Mi rivolgo ufficialmente a lei (Putin) per chiedere di consentire il trasporto di Alexei Anatolevich Navalny”.

 

Ha avuto anche l’occasione di mostrarsi magnanimo il presidente russo, perché dopo due giornate di bugie mal costruite, dopo l’arrivo dei medici tedeschi favorevoli al trasporto di Navalny, dopo l’intervento anche di Yevgeny Prigozhin – conosciuto come il cuoco di Putin e responsabile di molte delle attività illecite del Cremlino – che si è offerto di pagare le cure di Navalny qualora fosse rimasto in Russia (“Forse”, ha detto Prigozhin, “se avesse accettato il milione di rubli che gli ho offerto l’ultima volta, non avrebbe avuto bisogno di mescolare la vodka con i barbiturici, come viene riportato ora”) la famiglia dell’attivista ha ottenuto il permesso di portare Navalny in Germania.

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Dietro al trasferimento dell’avvocato anticorruzione c’è stata anche una grande spinta internazionale. Angela Merkel ed Emmanuel Macron giovedì dal Forte di Brégançon hanno lanciato un segnale politico chiaro, hanno dato la loro disponibilità ad accogliere e curare l’attivista nei loro paesi e hanno chiesto un’indagine seria e trasparente. La parola Russia è stata ripetuta più e più volte a Brégançon, il presidente francese, che lo scorso anno al suo Forte, residenza estiva dei capi dell’Eliseo, aveva invitato proprio l’omologo russo, crede sia necessario riavvicinarsi a Mosca. O almeno riportarla dalla parte dell’occidente. Dice che la Russia rientra in tanti dossier occidentali, non si può fare come se non esistesse. La Merkel è più cauta, abituata da anni a trattare con Putin, non è ancora disposta a riammettere la sua presenza nel G7. Alla notizia del presunto avvelenamento ha risposto subito: noi ci siamo. E così è stato.

 

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A Brégançon, Merkel e Macron si sono incontrati per parlare soprattutto di politica estera europea e l’attenzione non poteva che rivolgersi a Mosca. I due leader europei hanno cercato di coinvolgere Putin in una risoluzione pacifica della situazione in Bielorussia, ma finora sembra che il capo del Cremlino abbia fatto il contrario e abbia invece deciso di sostenere il dittatore Lukashenka, che ora si sente più forte e ordina di arrestare i manifestanti che chiedono nuove elezioni trasparenti.

 

Ogni volta che i leader europei decidono di fidarsi di Vladimir Putin, scoprono di avere buone motivazioni per non farlo e la notizia dell’attivista in coma ha scoraggiato ogni ulteriore passo verso Mosca. L’Unione però ha fatto sentire la sua voce, ha fatto vedere che è in grado di contare, di parlare, di essere l’alternativa. La Merkel sta mettendo la Germania di fronte al risveglio della propria politica estera e alle proprie responsabilità internazionali, in una prospettiva europea.

 

A Omsk si è mostrata tutta la fragilità di un regime, la paranoia di un governo. La Russia è ancora distratta, non è pronta per il suo momento di protesta come sta succedendo a Minsk, a questo sta lavorando Navalny. L’opposizione è timida, lo dimostrano anche le poche manifestazioni di solidarietà che ci sono state in giro per la nazione dopo la notizia dell’avvelenamento, ma l’attivista ha un piano per farla crescere, è diventato un simbolo. L’opposizione oggi è convinta che sia stato Putin a ordinare di avvelenare Navalny.

 

Non c’è la certezza, l’avvocato con la sua Fondazione anticorruzione aveva vari bersagli. Ma se non è stato il Cremlino a scrivere questo nuovo capitolo della “repressione del tè” – così viene chiamata la strategia di avvelenare gli oppositori sciogliendo il veleno nella bevanda – e se in Russia è possibile sentirsi liberi di uccidere importanti personaggi politici, ex spie, imprenditori, allora forse sono troppe le cose che sfuggono al Cremlino. Poche le cose che comanda. Putin potrebbe essere un po’ più piccolo di quello che sembra.

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