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Il patto di carta

Uniti per il pluralismo

Micol Flammini

La solidarietà dei giornali di opposizione tra Varsavia e Budapest s’oppone ai governi autoritari

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Quando, venerdì scorso, molti dei giornalisti del sito ungherese Index hanno rassegnato le loro dimissioni dopo il licenziamento del direttore Szabolcs Dull, le immagini delle loro lacrime e dei loro abbracci sono arrivate in tutta Europa.

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Quando, venerdì scorso, molti dei giornalisti del sito ungherese Index hanno rassegnato le loro dimissioni dopo il licenziamento del direttore Szabolcs Dull, le immagini delle loro lacrime e dei loro abbracci sono arrivate in tutta Europa.

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Quei giornalisti stretti tra di loro e increduli, che salutano il loro collega, sono diventati il simbolo di una nazione sempre più piccola, sempre meno liberale e sempre più sola. In Ungheria i media sono sottoposti a pressioni continue da alcuni anni, molti miliardari amici del primo ministro Viktor Orbán hanno acquistato diverse testate e così un pezzo alla volta, la libertà di stampa e il pluralismo sono crollati.

 

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Venendo giù non hanno fatto neppure troppo rumore, e l’Ungheria all’improvviso si è ritrovata senza voce, con molti giornali che raccontano tutti la stessa cosa: il mondo è come dice il premier Orbán, credete soltanto a lui. Le voci dei giornalisti di Index che dicono di voler ricominciare qualcosa di nuovo e di voler farlo tutti insieme sono state ascoltate in tanti paesi, ma in nessuno, come in Polonia, sono sembrate così reali e vicine.

 

Sono sembrate un monito, un grido di guerra per una nazione divisa a metà, in cui l’anima liberale teme di vedere un giorno accadere a Varsavia quel che è accaduto a Budapest.

 

L’anima liberale in Polonia è ancora viva, sa organizzarsi, è battagliera e vuole muoversi in tempo per evitare di rimanere senza voce, o di diventare troppo piccola proprio come è successo in Ungheria. Per questo ieri sulla prima pagina del maggior quotidiano di opposizione Gazeta Wyborcza, la redazione ha pubblicato una lettera ai colleghi di Budapest. Lo ha fatto in polacco e in ungherese, con delle parole piene di ammirazione per la forza della redazione di Index: “Cari amici ungheresi! (...) In Polonia siamo vicini a minacce simili da parte di un governo autoritario che limita la libertà di parola. Proprio come è accaduto molte volte nella storia, anche adesso è arrivato il momento della solidarietà tra polacchi e ungheresi in difesa della libertà e della democrazia. Restiamo uniti”.

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Una chiamata alla solidarietà e alle armi da parte del giornale che in Polonia è espressione di una società civile vivace, europeista e che non è disposta a lasciare che il partito di governo, il PiS, cancelli la democrazia come in Ungheria.

 

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In questi anni di governo Viktor Orbán è riuscito a togliere aria al pluralismo, i media che esprimevano una posizione diversa dal primo ministro sono diventati sempre meno e sempre più piccoli. Index era, tra queste testate rimaste a combattere, una delle più importanti, adesso rimane ancora qualche voce che riesce a esprimersi, soprattutto online.

 

Sono i siti 444hu, Atlaszo, direkt36, che si occupano di inchieste e indagini contro la corruzione. Sono meno letti di Index e per questo sono meno considerati dal governo e non ci sono miliardari vicini a Orbán a corteggiarli. Gábor Liszkay, molto amico del primo ministro, due anni fa ha costituito la Kesma (Fondazione stampa e media dell’Europa centrale) in cui era riuscito ad aggregare in un unico gruppo circa cinquecento testate tra emittenti, giornali, siti, radio, per un valore di 88 milioni di euro.

 

A Index era invece arrivato Miklós Vaszily, colonna dell’illiberalismo che il mese scorso ha acquistato il 50 per cento di Indamedia, la società che vende la pubblicità alla testata, che oltre a essere una voce dell’opposizione è stata accusata dal primo ministro di aver favorito la vittoria del sindaco di Budapest contro il candidato di Fidesz.

 

Dalla Polonia osservano, si mobilitano e cercano di muoversi il prima possibile. Il PiS, il partito nazionalista che governa dal 2015, ha lasciato capire che presto, ancora non sa come, cercherà di prendersela con i media di opposizione, che sono ancora molti e agguerriti. L’anima liberale sa che se scompare il pluralismo, la società civile che in Polonia si batte ovunque – radio, televisioni, teatri, giornali, libri – perderà la voce e la nazione perderà la sua storia, la sua democrazia, la sua vitalità. Che è ancora forte, è attiva e non vuole che Varsavia assomigli a Budapest.

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