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Oltre la sfida solidali vs frugali, c'è una nuova Ue con equilibri tutti diversi

David Carretta

Tabù violati, nuovi equilibri, coalizioni e contrappesi. Dal negoziato sul Recovery fund è nata un’Ue tutta diversa

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Il vertice dei capi di stato e di governo sul Recovery fund segna una profonda mutazione genetica dell’Unione europea, destinata a definire un nuovo paradigma per gli anni a venire. Malgrado le difficoltà, dopo quattro giorni di negoziati, i 27 questa sera erano vicini a un accordo storico. Quello che era impensabile prima del Covid-19 – debito comune per trasferimenti nord-sud, piccoli paesi che tengono testa al motore franco-tedesco – sta diventando realtà. L’ultima bozza presentata dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, potrebbe apparire come un risultato modesto agli occhi degli europeisti. 

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Il vertice dei capi di stato e di governo sul Recovery fund segna una profonda mutazione genetica dell’Unione europea, destinata a definire un nuovo paradigma per gli anni a venire. Malgrado le difficoltà, dopo quattro giorni di negoziati, i 27 questa sera erano vicini a un accordo storico. Quello che era impensabile prima del Covid-19 – debito comune per trasferimenti nord-sud, piccoli paesi che tengono testa al motore franco-tedesco – sta diventando realtà. L’ultima bozza presentata dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, potrebbe apparire come un risultato modesto agli occhi degli europeisti. 

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Il Recovery fund sarà di 750 miliardi, ma i sussidi a fondo perduto sono stati ridotti a 390 miliardi contro i 500 che avevano proposto Angela Merkel, Emmanuel Macron e la Commissione di Ursula von der Leyen. I prestiti – che responsabilizzano i governi – sono saliti a 360 miliardi. Per l’Italia cambierà poco (semmai aumentano i prestiti che salgono oltre 100 miliardi), perché a essere tagliate sono le risorse che dovevano andare al bilancio europeo (sanità, ricerca, investimenti a livello europeo), mentre sono stati preservati gli aiuti che saranno gestiti dagli stati membri.

 

Il premier olandese, Mark Rutte, ha ottenuto una specie di veto sui programmi nazionali di riforma e sull’esborso degli aiuti, anche se non c’è formalmente unanimità. Un “super freno di emergenza” consentirà a un solo stato membro che ha dubbi sul rispetto delle riforme di portare la questione al Consiglio europeo dove si decide per consenso (la prassi insegna che questi meccanismi non vengono mai usati).

 

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Quando i leader si sono riuniti per cena, il principale ostacolo a un’intesa sul Recovery fund era la condizionalità sullo stato di diritto, con un gruppo di paesi determinati a imporre a Ungheria e Polonia una scelta: correzione democratica oppure niente soldi. Ma Michel ha fatto concessioni a Viktor Orbán. In serata restano da negoziare anche i dettagli del bilancio 2021-27, con Macron che all’ultimo minuto ha chiesto una condizionalità climatica.

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La tentazione dell’Europarlamento – e di molti commentatori – sarà di denunciare l’accordo al ribasso. Ma non va dimenticato da dove è partita l’Ue, che fino a quattro mesi fa si lacerava su condizionalità del Mes e Coronabond. Per la prima volta la Commissione sarà autorizzata a creare debito europeo per finanziare ingenti trasferimenti dai paesi più ricchi a quelli più poveri. Il tabù degli Eurobond – a condizione di non chiamarli così – è caduto non solo per la Germania, ma anche per Paesi Bassi, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia, che solo una settimana giuravano che non avrebbero mai accettato una “Unione del debito”.

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Anche l’ammontare del Recovery fund è senza precedenti: nel 2010-12 la zona euro aveva messo insieme 700 miliardi per preservare la moneta unica con i due fondi salva-stati Efsf e Mes, che però operano attraverso dei prestiti e non con sussidi a fondo perduto. Oggi ci sono anche i 540 miliardi già disponibili con la linea di credito pandemica del Mes, di Sure e della Bei.

 

La mutazione genetica riguarda anche gli equilibri politici interni all’Ue. Contrariamente al passato, non sono più Germania e Francia a dettare i compromessi a tutti. Dopo la Brexit, i Paesi Bassi hanno sostituito il Regno Unito come paese guida di coalizioni che si battono per preservare un mercato interno aperto e concorrenziale o mantenere finanze pubbliche sane. L’uscita britannica dall’Ue e l’ingresso dei populisti eurofobi hanno accelerato la marginalizzazione delle istituzioni comunitarie a favore di un approccio intergovernativo, in cui i governi tengono saldamente in mano il timore delle decisioni che hanno implicazioni politiche e finanziarie nazionali.

 

La Commissione, che negli ultimi anni ha abdicato al ruolo di guardiano dei Trattati preferendo giocare a fare politica, rischia di essere sempre più insignificante. Il Parlamento europeo alza la voce senza riuscire ancora a farsi sentire, ma è destinato a diventare il contrappeso del Consiglio europeo. Leader nazionali contro eurodeputati, tutti eletti dai cittadini: nella comunità sovranazionale di democrazie che è l’Ue è la prossima frontiera dell’equilibrio di potere.

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