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“Serve un 5G europeo”

Giulia Pompili

Perfino i Cinque stelle sarebbero convinti: le aziende cinesi vanno tenute fuori. Parla Enrico Borghi (Copasir)

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Roma. Prima la convocazione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio all’ambasciata americana, poi delle indiscrezioni, trapelate su Repubblica e confermate ieri da Reuters, secondo le quali il governo italiano sarebbe pronto a escludere il colosso delle telecomunicazioni Huawei dalla costruzione dell’infrastruttura del futuro, il 5G. Una decisione simile a quella già presa da Grecia e Regno Unito, preoccupati delle possibili criticità sulla sicurezza se un’azienda cinese dovesse entrare nel progetto strategico. E infatti il governo ha chiesto al Copasir, il comitato parlamentare sulla sicurezza nazionale, una seconda relazione, dopo quella che già a dicembre 2019 suggeriva all’esecutivo di “valutare l’esclusione delle aziende cinesi” dall’infrastruttura. Enrico Borghi, deputato del Partito democratico e membro del Copasir, conferma al Foglio che “a fine estate completeremo il lavoro di approfondimento e lo consegneremo al governo, che tirerà le conclusioni. Sin qui c’è stata corrispondenza: basti pensare al tema del Golden power e della cybersicurezza, il lavoro del Copasir è stato sempre tradotto in atti legislativi”.

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Roma. Prima la convocazione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio all’ambasciata americana, poi delle indiscrezioni, trapelate su Repubblica e confermate ieri da Reuters, secondo le quali il governo italiano sarebbe pronto a escludere il colosso delle telecomunicazioni Huawei dalla costruzione dell’infrastruttura del futuro, il 5G. Una decisione simile a quella già presa da Grecia e Regno Unito, preoccupati delle possibili criticità sulla sicurezza se un’azienda cinese dovesse entrare nel progetto strategico. E infatti il governo ha chiesto al Copasir, il comitato parlamentare sulla sicurezza nazionale, una seconda relazione, dopo quella che già a dicembre 2019 suggeriva all’esecutivo di “valutare l’esclusione delle aziende cinesi” dall’infrastruttura. Enrico Borghi, deputato del Partito democratico e membro del Copasir, conferma al Foglio che “a fine estate completeremo il lavoro di approfondimento e lo consegneremo al governo, che tirerà le conclusioni. Sin qui c’è stata corrispondenza: basti pensare al tema del Golden power e della cybersicurezza, il lavoro del Copasir è stato sempre tradotto in atti legislativi”.

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Però l’Italia è confusa sul tema, siamo considerati i migliori amici della Cina nel G7, i Cinque stelle per anni hanno promosso e difeso le aziende cinesi della tecnologia sperando in grandi investimenti: “Guardi, il 5G non è un’infrastruttura ordinaria. E’ strategica”, spiega al Foglio Borghi. “C’entra con lo sviluppo e la sicurezza di un paese. E quindi le decisioni che devono essere prese su quell’infrastruttura non possono essere legate solo al mercato”. E’ la politica che deve assumere le sue responsabilità e decidere, spiega Borghi: “Il tema del 5G condizionerà i prossimi anni della nostra vita, servirà a far passare una tale mole di informazioni, elaborazione e scambio di dati che facciamo fatica a immaginare”. 

  

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“E’ una nuova fase della rivoluzione digitale, i sistemi intelligenti porranno anche una serie di nuove questioni legate alla sicurezza. Il modo in cui si costruisce la rete e si erogano servizi è decisivo. Non vi è dubbio che questo aspetto è intimamente connesso con il posizionamento geopolitico del paese. E non vi possono essere ambiguità”. Il deputato del Pd, però, rifiuta l’idea di una contrapposizione da stadio: “Il punto non è tifare per la Cina o per l’America, ma sapere dove siamo noi all’interno di una partita che si sta aprendo. Avere un’idea, e quest’idea calarla nella riorganizzazione del modello industriale italiano”. L’America però preme, non vuole che gli alleati tradizionali si aprano ai cinesi. Walter Lohman, direttore degli Studi asiatici della Heritage Foundation, il think tank più vicino alla Casa Bianca di Trump, dice al Foglio: “L’Italia ha creato un ampio e sofisticato quadro giuridico per rivedere il coinvolgimento straniero nella sua rete 5G. Sarà un vantaggio per la nostra alleanza se così si impedirà a Huawei di svilupparsi. Non possiamo permetterci di compromettere le nostre comunicazioni”. E poi c’è una questione pratica: chi la costruisce la rete? I cinesi fanno i prezzi più bassi. L’alternativa c’è, dice Borghi, ed è quella di un 5G terzo, un 5G europeo. “Non ci serve né la tecnologia americana né quella cinese. Siamo in condizioni di sviluppare tranquillamente un’infrastruttura strategica in grado di riflettere la nostra identità”. E’ un’idea già lanciata in Europa con il piano degli interventi strategici, ed è stata proposta recentemente anche da Manfred Weber, capogruppo del Partito popolare europeo: usare la crisi della pandemia per investire sul futuro e rendere più unita l’Unione, come è stato fatto in passato con il sistema di posizionamento satellitare Galileo. In Italia però siamo molto indietro: il dibattito sullo sviluppo del 5G è fermo ancora alle fake news sulla sua nocività, e anche i rapporti con la Cina e con le aziende cinesi, rispetto ad altri paesi europei, non è stato affrontato in modo sistematico, forse soprattutto perché al governo c’è, da due anni, il partito più filocinese d’Europa: “Guardi, discuto coi Cinque stelle tutti i giorni, ma non su questo argomento. Le discussioni che abbiamo avuto con i ministri competenti sono stati molto serie e nel merito”.

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