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L’era del pangolino

Giulia Pompili

E’ il mammifero più contrabbandato al mondo per via delle squame. Potrebbe aver avuto un ruolo nell’epidemia, ma il virus lo ha salvato

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In principio era il pipistrello. L’unico mammifero capace di volare, animale notturno con una brutta fama a dispetto del suo docile temperamento, è uno straordinario incubatore di virus e batteri. Poi però è arrivato un altro animale. Lo spillover, il salto di specie di un virus, non sempre si compie dall’incubatore direttamente fino all’uomo. Spesso c’è bisogno di un animale intermedio, che dia “un passaggio” al virus per infettare l’uomo. E a un certo punto della pandemia è venuto fuori il nome di un animale pressoché sconosciuto da queste parti. Un altro mammifero unico, con il corpo ricoperto di squame, che si nutre per lo più di formiche: il pangolino.

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In principio era il pipistrello. L’unico mammifero capace di volare, animale notturno con una brutta fama a dispetto del suo docile temperamento, è uno straordinario incubatore di virus e batteri. Poi però è arrivato un altro animale. Lo spillover, il salto di specie di un virus, non sempre si compie dall’incubatore direttamente fino all’uomo. Spesso c’è bisogno di un animale intermedio, che dia “un passaggio” al virus per infettare l’uomo. E a un certo punto della pandemia è venuto fuori il nome di un animale pressoché sconosciuto da queste parti. Un altro mammifero unico, con il corpo ricoperto di squame, che si nutre per lo più di formiche: il pangolino.

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Non a caso lo chiamano il formichiere squamoso, ma è un soprannome sbagliato: di recente, infatti, è stato escluso dal gruppo degli sdentati, del quale fanno parte i formichieri ma anche gli armadilli e i bradipi. In realtà le otto specie conosciute di pangolino sono gli unici rappresentanti dell’ordine dei folidoti, insomma è un mammifero speciale, e la sua caratteristica è proprio la corazza di scaglie, una corazza flessibile, perché in caso di pericolo il pangolino è capace di appallottolarsi come un riccio. In comune con i bradipi, i pangolini hanno artigli anche molto lunghi, che gli rendono difficoltoso e buffo il movimento a terra. La lunghissima e sottilissima lingua serve a penetrare i formicai. La coda è diversa per lunghezza e funzione a seconda della specie. E va bene, descritto così sembra un animale raccapricciante, ma in realtà l’aspetto del pangolino è tutt’altro che spaventoso. Nell’immaginario collettivo, a differenza del pipistrello, il pangolino potrebbe essere benissimo il protagonista di un film della Disney, non certo il principale vettore di una pandemia. Gli zoologi potrebbero non perdonarci questa presa di posizione basata puramente sull’aspetto, ma la psicologia parla chiaro: gli animali all’apparenza più teneri per l’essere umano – e quindi usabili facilmente in film per bambini – sono quelli che rispondono a determinate caratteristiche, occhi grandi, zampe antropomorfe, comportamenti buffi e poco minacciosi. E senza denti (i denti fanno il loro lavoro: spaventano, azzannano). Il pangolino è tenero, il pipistrello fa paura.

 

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Nel 2014 scoprimmo che il virus ebola, nell’Africa occidentale, era saltato all’essere umano dai pipistrelli, e probabilmente una delle cause era l’abitudine dell’uomo di frequentare le caverne dove abitano i rossetti egiziani – una specie di pipistrello tra le più diffuse in Africa e medio oriente, responsabile anche dello spillover del virus che provoca la febbre emorragica di Marburg, una malattia molto simile all’ebola, ma generata da un virus diverso. E poi il lyssavirus del pipistrello australiano, che provoca la rabbia. Ma i pipistrelli sono anche straordinari serbatoi di molti coronavirus: quello della Mers, quello della Sars, e infine, il più recente, quello della Covid. I virus sopravvivono nel pipistrello perché è uno dei pochi animali con un sistema immunitario mutevole e versatile. E che c’entrassero i pipistrelli in questa pandemia lo abbiamo scoperto quasi subito: l’istituto di virologia di Wuhan, quello che ospita l’unico laboratorio di sicurezza di livello 4 in Cina, è diretto dalla scienziata Shi Zhengli, una delle virologhe più famose del mondo, esperta proprio di pipistrelli e per questo soprannominata bat woman. E’ stata lei una delle prime ad aver isolato il nuovo coronavirus e ad aver scoperto, grazie a un gigantesco database di coronavirus dei pipistrelli, che circa l’88 per cento della sequenza genica del virus dei mammiferi alati è uguale a quella del Sars-CoV2, il virus che infetta l’uomo e che ha provocato la peggiore emergenza mondiale dal Dopoguerra. Protagonista di leggende inquietanti, per l’uomo occidentale il pipistrello è legato alla sfortuna, al maligno, a Dracula – quando nel 1982 Ozzy Osbourne staccò a morsi la testa di un pipistrello durante un concerto sembrò quasi la sublimazione di tutto il male possibile veicolato dall’animale. In Asia invece il pipistrello porta fortuna.


Nell’immaginario collettivo, a differenza del pipistrello, il pangolino potrebbe essere benissimo il protagonista di un film della Disney


 

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La pronuncia cinese di “pipistrello” è uguale a quella di “fortuna”, e in numerose culture asiatiche cinque pipistrelli rappresentano le cinque benedizioni: una vita lunga, la salute, la ricchezza, l’amore per le virtù e una morte pacifica. All’inizio di questa pandemia era chiaro che il pipistrello sarebbe tornato a essere il principale accusato: non tanto per ragioni scientifiche, piuttosto per il tentativo di dare un senso, e quindi un colpevole, alla sofferenza. E allora tutti abbiamo guardato con orrore e condanna i video che circolano su internet di zuppe di pipistrello mangiate in Vietnam, a Guam, in Thailandia, in Indonesia, credendo di aver trovato la vera causa dell’epidemia: eccoli, gli standard sanitari che ci contraddistinguono (peccato che della tradizione di mangiare i pipistrelli a Costozza, in provincia di Vicenza, non esistano registrazioni online). Il punto è che un’epidemia non funziona così. Non c’entra ciò che mangiamo, specialmente se è cotto. In tutta questa storia di pregiudizi sanitari però, mentre il pipistrello restava al suo posto, nell’immaginario collettivo, come l’animale che porta le malattie, quell’altro, il pangolino, ci guadagnava.

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A oggi la scienza non ha ancora confermato il ruolo esatto dello sdentato e squamoso formichiere nel salto di specie del coronavirus, perché il virus trovato nel pangolino è meno compatibile con il Sars-CoV2 rispetto a quello trovato nel pipistrello. Per gli scienziati, però, il pangolino potrebbe essere il vettore. L’ipotesi è stata sostenuta soprattutto per una ragione: il mercato di Wuhan, il luogo dove tutto è cominciato, secondo la comunità internazionale, era anche il luogo dove si presume si commerciassero i pangolini. Ma anche qui parliamo di una notizia mai confermata – anzi a volte anche smentita, in molti hanno detto di non aver mai visto l’animale sui banchi tra polli e maiali. Quel chiacchiericcio però ha fatto tornare, anche e non solo in Cina, il dibattito sui wet market, i mercati tradizionali asiatici (non solo cinesi) dove gli animali e l’uomo vivono a stretto contatto, ma soprattutto sul commercio delle specie protette. E’ così che il ritorno nelle cronache di questo puccioso animale ha in qualche modo aiutato la sua conservazione.

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Da quest’anno il mammifero non è più un ingrediente fondamentale della medicina tradizionale cinese. Una svolta per la conservazione


 

Perché il pangolino, oltre a essere un animale molto tenero, è anche il mammifero più trafficato al mondo. Sin dal 2016 protette dalla Cites, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, le otto specie di pangolino riconosciute dalla classificazione scientifica sono equamente distribuite in due continenti: quattro gruppi vivono in Africa, altri quattro in Asia, tra India, Cina e Indonesia. Sia in Africa sia in Asia la carne di pangolino si mangia, o meglio: si mangiava. Non sempre, ma in occasioni speciali e per tradizione, come quella di pipistrello. Ma c’è un’altra questione ad averlo reso un importante pezzo della catena del bracconaggio: le squame del pangolino sono uno degli ingredienti più rari, costosi, e quindi assolutamente indispensabili, della medicina tradizionale cinese. Come per l’avorio delle zanne degli elefanti, il commercio illegale di pangolino ha subìto un’accelerazione con la presenza cinese in Africa, e soprattutto dopo che è stato dichiarato animale protetto perché a rischio estinzione. Siamo abituati a pensare alla Cina come a un monolite incapace di riflettere sulle questioni ambientali, ma è un’idea totalmente sbagliata. La maggior parte delle manifestazioni popolari che pure esistono in Cina hanno, come obiettivi, temi ecologici e green. La medicina tradizionale è un pezzo importante dell’intera tradizione cinese, ma lo è soprattutto per un fattore identitario. E’ il governo a promuoverla, facendo leva sul sentimento tradizionalista e nazionalista. Secondo uno studio del 2017 della Hong Kong Baptist University, la Tcm (traditional chinese medicine) è usata dai cinesi per i disturbi quotidiani (il raffreddore, il mal di pancia), ma la maggioranza dei cittadini cinesi, se sta male, per prima cosa pensa alla medicina occidentale.

 

Il presidente Xi Jinping ha un obiettivo piuttosto difficile e ambizioso: da una parte – e già da anni – sta cercando di “civilizzare” la seconda economia del mondo; con l’aiuto dei governi locali vorrebbe minimizzare le pratiche considerate arretrate (lo sputacchiare, oppure il “Beijing bikini”, cioè la pratica di circolare in pubblico con la pancia scoperta per far prendere aria al Qi, l’energia vitale), quando non pericolose (macellare certi animali nei wet market). Dall’altra parte però, uno dei punti fermi della politica di Pechino è la promozione della Tcm, un pezzo importantissimo del soft power cinese. Per dare l’idea della priorità, la scorsa settimana si è diffusa la notizia di una proposta di legge, presentata dalla Commissione sulla Tcm di Pechino, che potrebbe trasformare in un crimine la critica alla medicina tradizionale, accusata soprattutto da occidente di essere non molto diversa dalla stregoneria, e di promuovere il maltrattamento sugli animali.


Mentre il pipistrello restava al suo posto, nell’immaginario collettivo, come l’animale che porta le malattie, il pangolino ci guadagnava


 

Nel 2017 il programma tv “Life Tips” della Guangdong Radio e tv aveva mandato in onda un episodio in cui una mamma preparava del pollo con scaglie di pangolino. Secondo la Tcm, la cheratina contenuta nelle scaglie di pangolino avrebbe aiutato all’allattamento sua figlia. Ne era nata una polemica notevole online, con molti cinesi indignati per la pratica.

 

Qualche anno fa, quando il tema del commercio illegale del pangolino ha iniziato a sollevarsi anche nelle organizzazioni internazionali, il governo di Pechino ha dichiarato illegale il commercio della sua carne. Ma ha lasciato un ampio limite sul commercio delle scaglie di pangolino (con un massimo di 26 mila chilogrammi l’anno). Per anni i sequestri di chili di scaglie contrabbandate sono finiti sulle pagine dei media cinesi – ma anche di quelli africani e del resto d’Asia. La scorsa settimana però è successo qualcosa che potrebbe cambiare definitivamente la sorte del pangolino. Nell’ultima versione della farmacopea della Repubblica popolare cinese, il compendio annuale redatto dal ministero della Salute di Pechino per l’uso corretto della medicina tradizionale, non ci sono le scaglie di pangolino. Vuol dire che il mammifero non è più un ingrediente fondamentale della Tcm. “E’ un segnale positivo, e mostra la volontà e l’azione del governo per migliorare la conservazione della fauna selvatica, in particolare delle specie in pericolo e minacciate”, dice al Foglio Jinfeng Zhou, segretario generale della China Biodiversity Conservation and Green Development Foundation, una delle ong cinesi più attive sulla conservazione della biodiversità e che da anni si occupa di pangolini. “Non è ancora chiaro se i preparati elencati contengano qualche ingrediente derivato dal mammifero: dobbiamo aspettare i dettagli e vedere. Nel complesso, però, questo cambiamento è fondamentale. Ci saranno alcune scappatoie, ma ce ne occuperemo”.


La medicina tradizionale è un pezzo importante dell’intera tradizione cinese, ma lo è soprattutto per un fattore identitario 


La fondazione di Jinfeng Zhou si batte proprio per veder sparire, dagli ingredienti della medicina tradizionale, tutti gli animali che sono in pericolo estinzione, minacciati dal commercio illegale. E lui stesso spiega che negli ultimi anni anche l’opinione pubblica cinese si è trasformata, così come si è trasformato il modo in cui vengono discussi certi temi: “Di certo l’epidemia di Covid ha accresciuto la consapevolezza da parte del pubblico che c’è bisogno di mantenere una distanza con la fauna selvatica per prevenire le malattie zoonotiche”, dice Zhou. Negli ultimi anni, inoltre, “c’è stato sicuramente un cambiamento nella percezione dei cittadini sulla conservazione della fauna selvatica e dell’ambiente. L’aumento del livello d’istruzione ha cambiato la mentalità di molte persone sull’importanza della biodiversità. E poi i social media ci hanno fornito un altro canale per dare visibilità e sensibilizzazione. Ma è un processo ancora in corso, e che richiede molti anni e campagne mediatiche prima che un cambiamento diventi significativo”.

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