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“Siamo stanchi di non contare niente”. La versione degli attivisti di Hong Kong

Giulia Pompili

Dopo la nuova stretta di Pechino sull’autonomia molti hanno più paura di avere una segnalazione sulla fedina penale che di finire in carcere

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Roma. La proposta di applicare la legge sulla sicurezza di Pechino anche all’amministrazione speciale di Hong Kong, cioè l’ennesimo colpo all’autonomia dell’ex colonia inglese minacciato dalla Cina, ieri ha avuto la prima diretta conseguenza sui mercati: la Borsa di Hong Kong ha avuto il peggior risultato dal 2015, chiudendo a meno 5,6 per cento, e ha influenzato negativamente le borse globali. A spaventare gli osservatori è il possibile ritorno di manifestazioni di massa e disordini a Hong Kong, simili a quelli dello scorso anno, ora che l’epidemia nella regione è quasi del tutto contenuta. Ma già da qualche mese molti manifestanti avevano iniziato a mollare la presa, spaventati dall’aggressività delle autorità di Hong Kong, e dalla possibilità di avere la fedina penale sporca (vuol dire, per una società iper competitiva come quella cinese, non poter andare all’estero a studiare, giocarsi il futuro). Una fonte del Foglio, una delle menti delle proteste di Hong Kong che per ragioni di sicurezza preferisce restare anonima e farsi chiamare con il nickname Blackfish, ha superato da un pezzo l’età degli studenti che abbiamo visto per le strade dell’ex colonia inglese. Al Foglio spiega che la situazione è dura, a livello psicologico, sotto molti punti di vista: “Sarà difficile organizzare qualunque tipo di protesta. L’assedio alle Università è stato uno choc per molti. E tantissimi hanno più paura di avere una segnalazione sulla fedina penale che di finire in carcere”. Il governo locale di Hong Kong ha detto di apprezzare la decisione di Pechino: “Prima di tutto non è ancora passata la legge. Non sarà difficile, ovviamente, ma bisogna guardare i dettagli, che sono più importanti. Penso che applicheranno una legge più simile a quella di Macao. Parliamo della possibilità di mandare gli imputati in tribunale in Cina e di far operare gli agenti della Sicurezza nazionale cinese sul territorio di Hong Kong. Per questo gli attivisti anonimi continueranno a nascondersi, mentre i guai arriveranno per quelli più in vista”. Blackfish dice che l’annuncio dell’altro ieri è stato una sorpresa anche per loro, “ma sembra più un’ammissione di debolezza per il Partito comunista cinese, se ci pensi. Se Hong Kong non sarà più come prima non è per la legge in sé, ma per le reazioni degli investitori internazionali e i rapporti economici con l’America”. Blackfish ci mostra una vignetta che sta girando tra gli attivisti più aggressivi, e che spiega proprio questo: “Perché avere paura adesso? Tanto avrai paura per tutta la vita”, recita: “Non c’è niente che non abbiamo visto quest’anno: manifestazioni legali finite con il gas lacrimogeno e condanne, persone arrestate con accuse false, condanne fino a 10 anni, gente aggredita, censurata, morta. Sono tutte cose terrificanti. E quindi, perché hai paura adesso?”.

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Roma. La proposta di applicare la legge sulla sicurezza di Pechino anche all’amministrazione speciale di Hong Kong, cioè l’ennesimo colpo all’autonomia dell’ex colonia inglese minacciato dalla Cina, ieri ha avuto la prima diretta conseguenza sui mercati: la Borsa di Hong Kong ha avuto il peggior risultato dal 2015, chiudendo a meno 5,6 per cento, e ha influenzato negativamente le borse globali. A spaventare gli osservatori è il possibile ritorno di manifestazioni di massa e disordini a Hong Kong, simili a quelli dello scorso anno, ora che l’epidemia nella regione è quasi del tutto contenuta. Ma già da qualche mese molti manifestanti avevano iniziato a mollare la presa, spaventati dall’aggressività delle autorità di Hong Kong, e dalla possibilità di avere la fedina penale sporca (vuol dire, per una società iper competitiva come quella cinese, non poter andare all’estero a studiare, giocarsi il futuro). Una fonte del Foglio, una delle menti delle proteste di Hong Kong che per ragioni di sicurezza preferisce restare anonima e farsi chiamare con il nickname Blackfish, ha superato da un pezzo l’età degli studenti che abbiamo visto per le strade dell’ex colonia inglese. Al Foglio spiega che la situazione è dura, a livello psicologico, sotto molti punti di vista: “Sarà difficile organizzare qualunque tipo di protesta. L’assedio alle Università è stato uno choc per molti. E tantissimi hanno più paura di avere una segnalazione sulla fedina penale che di finire in carcere”. Il governo locale di Hong Kong ha detto di apprezzare la decisione di Pechino: “Prima di tutto non è ancora passata la legge. Non sarà difficile, ovviamente, ma bisogna guardare i dettagli, che sono più importanti. Penso che applicheranno una legge più simile a quella di Macao. Parliamo della possibilità di mandare gli imputati in tribunale in Cina e di far operare gli agenti della Sicurezza nazionale cinese sul territorio di Hong Kong. Per questo gli attivisti anonimi continueranno a nascondersi, mentre i guai arriveranno per quelli più in vista”. Blackfish dice che l’annuncio dell’altro ieri è stato una sorpresa anche per loro, “ma sembra più un’ammissione di debolezza per il Partito comunista cinese, se ci pensi. Se Hong Kong non sarà più come prima non è per la legge in sé, ma per le reazioni degli investitori internazionali e i rapporti economici con l’America”. Blackfish ci mostra una vignetta che sta girando tra gli attivisti più aggressivi, e che spiega proprio questo: “Perché avere paura adesso? Tanto avrai paura per tutta la vita”, recita: “Non c’è niente che non abbiamo visto quest’anno: manifestazioni legali finite con il gas lacrimogeno e condanne, persone arrestate con accuse false, condanne fino a 10 anni, gente aggredita, censurata, morta. Sono tutte cose terrificanti. E quindi, perché hai paura adesso?”.

 

Frustrazione è la parola più adatta per descrivere la situazione: “Alcune proteste sono state emotive, certo, ma a questo punto non servono più niente. Non abbiamo nessuna soluzione politica da discutere. Abbiamo più di 400 membri dei consigli distrettuali eletti, le loro risoluzioni sono costantemente boicottate, i parlamentari buttati fuori dall’assemblea”. Ormai tutte le istituzioni sono pro-Pechino, dice Blackfish, “e la legge sulla sicurezza non farà che rendere più nebuloso il processo decisionale e porterà a sentenze più dure. Sulla libertà di pensiero, sulla censura, eccetera”. E quindi, è una resa? “La soluzione è un’azione internazionale. Soprattutto da parte dell’Ue, in coordinamento con l’America. Una specie di legge Magnisky porterebbe il Partito comunista a più miti consigli. Poi stiamo chiedendo il riconoscimento formale del nostro Consiglio distrettuale come rappresentativo di Hong Kong. E poi c’è la pressione commerciale, e il boicottaggio dei prodotti cinesi”. Nel frattempo, ieri il dipartimento di stato americano ha condannato la decisione di Pechino, e anche l’Ue ha richiamato al principio del “un paese, due sistemi”, insistendo sull’autonomia di Hong Kong. In Italia, il Partito democratico ha presentato in Commissione esteri della Camera un’interrogazione al ministro degli Esteri Luigi Di Maio per sapere qual è la nostra posizione sull’autonomia e sulla salvaguardia dei diritti civili nell’area.

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