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L’isola dei sovranisti

Luca Gambardella

Migranti respinti, odio sociale, provocazioni contro l’Ue, attacchi alla Germania e al Vaticano. Malta voleva recuperare la fiducia europea ma ancora non ce l’ha fatta

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Lo scorso 13 gennaio, mentre Robert Abela baciava il crocefisso e firmava il suo giuramento da primo ministro di Malta come richiesto dal cerimoniale dell’insediamento, a pochi passi da lui tra gli invitati in sala c’era anche il sorridente Neville Gafà, uno degli uomini più discussi di tutta l’isola. Per anni Gafà aveva prestato servizio come funzionario del governo guidato dal predecessore di Abela, Joseph Muscat, che era stato costretto a dimettersi nel dicembre 2019 per il presunto coinvolgimento di alcuni suoi ministri nell’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia. La donna era stata uccisa due anni prima, mentre indagava su alcuni membri dell’esecutivo finiti nello scandalo dei Panama Papers. Tra questi c’era anche il capo di gabinetto del governo, Keith Schembri, e all’epoca Gafà, che lavorava già per l’esecutivo, era un suo stretto confidente. Il giorno prima che l’auto di Caruana Galizia saltasse in aria, Gafà l’aveva stalkerata sui social, pubblicando una foto che le aveva scattato di nascosto mentre era seduta sulla panchina di un parco con il marito. “Che romantici, mancano solo i biscottini”, aveva scritto con tragico sarcasmo. L’omicidio di Caruana Galizia, che ancora oggi resta senza esecutori materiali, e il sospetto coinvolgimento di uomini dello stato avevano infangato la reputazione internazionale di Malta: un paese membro dell’Unione europea che aveva calpestato la libertà di informazione. Il 1° dicembre 2019, Muscat annunciò le sue dimissioni dopo che migliaia di persone, ciascuna con una candela, erano scese per le strade della Valletta chiedendo giustizia per la giornalista uccisa. Per la piccola isola il giuramento di Abela doveva essere l’anno zero, il riscatto: Malta era in grado di rispettare le leggi basilari di uno stato di diritto. Ma fin da subito le cose sono andate diversamente e a suonare il primo campanello di allarme, il giorno stesso della vittoria di Abela alle elezioni, fu proprio il nostro Gafà, che tanto si era speso per la vittoria del giovane laburista, nonché suo ex avvocato: “Continuità”, c’era scritto in un suo post su Facebook.

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Lo scorso 13 gennaio, mentre Robert Abela baciava il crocefisso e firmava il suo giuramento da primo ministro di Malta come richiesto dal cerimoniale dell’insediamento, a pochi passi da lui tra gli invitati in sala c’era anche il sorridente Neville Gafà, uno degli uomini più discussi di tutta l’isola. Per anni Gafà aveva prestato servizio come funzionario del governo guidato dal predecessore di Abela, Joseph Muscat, che era stato costretto a dimettersi nel dicembre 2019 per il presunto coinvolgimento di alcuni suoi ministri nell’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia. La donna era stata uccisa due anni prima, mentre indagava su alcuni membri dell’esecutivo finiti nello scandalo dei Panama Papers. Tra questi c’era anche il capo di gabinetto del governo, Keith Schembri, e all’epoca Gafà, che lavorava già per l’esecutivo, era un suo stretto confidente. Il giorno prima che l’auto di Caruana Galizia saltasse in aria, Gafà l’aveva stalkerata sui social, pubblicando una foto che le aveva scattato di nascosto mentre era seduta sulla panchina di un parco con il marito. “Che romantici, mancano solo i biscottini”, aveva scritto con tragico sarcasmo. L’omicidio di Caruana Galizia, che ancora oggi resta senza esecutori materiali, e il sospetto coinvolgimento di uomini dello stato avevano infangato la reputazione internazionale di Malta: un paese membro dell’Unione europea che aveva calpestato la libertà di informazione. Il 1° dicembre 2019, Muscat annunciò le sue dimissioni dopo che migliaia di persone, ciascuna con una candela, erano scese per le strade della Valletta chiedendo giustizia per la giornalista uccisa. Per la piccola isola il giuramento di Abela doveva essere l’anno zero, il riscatto: Malta era in grado di rispettare le leggi basilari di uno stato di diritto. Ma fin da subito le cose sono andate diversamente e a suonare il primo campanello di allarme, il giorno stesso della vittoria di Abela alle elezioni, fu proprio il nostro Gafà, che tanto si era speso per la vittoria del giovane laburista, nonché suo ex avvocato: “Continuità”, c’era scritto in un suo post su Facebook.

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Il giuramento di Abela doveva essere l’anno zero, il riscatto di un paese. Ma fin da subito le cose sono andate diversamente

“Alla fine però, quando si è insediato, Abela ha detto che non voleva Gafà tra i funzionari del suo governo”, racconta al Foglio Emanuel Delia che è un giornalista e blogger maltese che in questi anni ha portato avanti il lavoro di inchiesta di Caruana Galizia. Dice che il funzionario tuttofare del governo Muscat avrebbe rappresentato un legame pericoloso con il passato. Un danno per l’immagine che Abela, almeno ufficialmente, non voleva correre. Ma quale era il passato di Gafà? Fino al 2013, quando viene chiamato da Muscat nello staff del suo governo, era un semplice addetto alle vendite di un negozio di ottica. L’anno dopo finisce coinvolto in un giro di racket per la compravendita di visti venduti a decine di libici per farli arrivare a Malta. Si apre un procedimento contro di lui e allora Gafà, nel novembre 2018, vola a Tripoli e secondo l’accusa di un processo ancora in corso avrebbe corrotto i testimoni libici perché restassero in silenzio. Durante quel viaggio non è solo: assieme a lui ci sono anche il premier Muscat e un membro della sua scorta, Kenneth Camillieri, tutti con passaporto diplomatico. Gafà compare in foto con l’allora ministro dell’Interno di Tripoli, Fathia Pasha, e incontra capi delle milizie libiche. E’ di fede musulmana e dimostra di avere agganci notevoli con l’entourage del governo di unità nazionale. Durante la sua testimonianza resa al processo per l’omicidio di Caruana Galizia, il tuttofare di Muscat si difende: dichiara che a Tripoli ha avuto solo riunioni informali per risolvere la crisi dei migranti e nega il suo coinvolgimento nel giro di racket e corruzione. Ma quando i fatti vengono resi pubblici con tanto di intercettazioni ambientali riportate dalla stampa maltese, il danno di immagine per il Partito laburista è enorme. Nel frattempo arriva anche lo scandalo per l’omicidio di Caruana Galizia e per il governo Muscat il tempo a disposizione ormai è finito. Non per Gafà.

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Neville Gafà a Tripoli con Ahmed Maiteeq nel 2018. Oggi Maiteeq è il vice-presidente libico


 

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Il nuovo corso inaugurato da Abela finisce per peggiorare la gestione degli sbarchi. Lo scorso 9 aprile, Malta aveva chiuso i porti ai migranti a causa dell’epidemia di coronavirus. Dopo circa tre settimane, il comandante di una imbarcazione privata, un membro della Guardia costiera libica e Gafà rivelano al New York Times che il governo di Malta ha escogitato un sistema di respingimenti dei migranti affinché nessuno sbarchi sull’isola. Si tratta di una piccola flotta di tre imbarcazioni private che, su ordine diretto delle Forze armate maltesi, intercettano i naufraghi in mare e li riportano a Tripoli. E’ una pratica illegale – la Libia non è un porto sicuro secondo le Nazioni Unite – che Malta ha sperimentato lo scorso 13 aprile, a Pasquetta. Come ricostruito dalla piattaforma AlarmPhone, che raccoglie le richieste di aiuto dei migranti nel Mediterraneo, le tre imbarcazioni salpate dalla Valletta – la Dar Al Salam 1, la Salve Regina e la Tremar – spengono il transponder per non farsi rintracciare e recuperano i migranti nella zona di salvataggio maltese (la cosiddetta area sar, acronimo di search and rescue) dopo averli lasciati alla deriva per cinque giorni senza che Malta né l’Italia, né l’Ue intervenissero. Alla fine dell’operazione di recupero muoiono cinque migranti, sette sono dispersi, gli altri 51 sono riportati a Tripoli dalla flotta fantasma e rinchiusi nel centro di detenzione di Tarik al Sikka. “Le barche erano maltesi, i comandanti maltesi, il loro porto abituale era maltese”, dice Delia.

 

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“A Malta piaceva molto il modo in cui Salvini gestiva i migranti. E così si è arrivati a dire: ‘Se lo ha fatto lui, possiamo farlo anche noi’”

Ma se aveva lasciato lo staff del governo a gennaio, cosa c’entrava Gafà con questo respingimento? Lo spiega lui stesso al New York Times. La notte dell’intervento era stato richiamato direttamente dal capo di gabinetto del primo ministro Abela affinché sfruttasse i suoi contatti a Tripoli e coordinasse in prima persona l’operazione di recupero dei migranti. Per capire che tipo di contatti Gafà avesse in Libia occorre fare un passo indietro di appena un paio di mesi. A febbraio 2020, quando il tuttofare è già fuori dal governo, Gafà rilascia un’intervista a Malta Today e racconta di essere stato l’architetto di un sistema di respingimenti che funzionava sin dal 2018 grazie ai legami che aveva coltivato con il governo di Tripoli, alle milizie che lo sostengono e alla Guardia costiera libica. “Ricevevo notizie sulle barche che partivano dalla Libia e davo le loro coordinate alle Forze armate maltesi che le intercettavano e le consegnavano direttamente ai libici”, dice Gafà. Di questo sistema illegale, afferma il funzionario maltese, era a conoscenza anche l’allora primo ministro Muscat che spesso emanava ordini diretti. Ma secondo Federico Soda, capo della sede di Tripoli dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’agenzia dell’Onu che monitora i flussi di migranti, la vicenda di Pasquetta è un caso ancora più grave dei soliti respingimenti compiuti in acque libiche: “In questo caso i migranti sono stati intercettati direttamente nelle zone di intervento maltesi e poi riportati indietro, in Libia. Una simile esternalizzazione dei salvataggi con navi private agli ordini del governo, tanto palese poi, è assolutamente nuova”, spiega al Foglio il funzionario dell’Onu. “E’ la dimostrazione che ad alcuni stati europei non interessa se i migranti partano o no dalla Libia: interessa invece se i migranti arrivino o no sulle loro coste”.

 


Robert Abela con la moglie cammina verso il palazzo presidenziale della Valletta dopo il suo giuramento (foto LaPresse)


 

Le notizie sui respingimenti vengono rese pubbliche quasi da subito e per il premier Abela è uno scandalo che lo coinvolge in prima persona. Finisce sotto indagine dopo una denuncia dell’ong Republika, antagonista del Partito laburista e a capo delle proteste contro Muscat per il caso Caruana Galizia. Il premier è costretto a rivolgersi alla nazione con messaggi televisivi in cui difende la chiusura dei porti ai migranti per il coronavirus e in cui ribadisce la latitanza dell’Ue. Intanto Gafà continua a parlare ai giornali, scaricando sul premier ogni responsabilità per la gestione caotica degli sbarchi: “Quando c’ero io al governo viaggiavo spesso in Libia e la situazione era sotto controllo. Ho salvato Malta dall’invasione dei migranti. Ora c’è il caos”, dice a Malta Today. “Il sistema dei respingimenti durava da anni e i governi hanno sempre sperato che tutto restasse nascosto. Con la strage di Pasquetta però si è scoperto tutto”, dice al Foglio Delia.

 

“Purtroppo qui non si esagera quando si parla di xenofobia e razzismo”, spiega l’arcivescovo di Malta, Charles Scicluna

Ma attorno alla gestione degli sbarchi c’è un contesto sociale che, con l’arrivo di Abela al governo, si è polarizzato sempre di più, incentivando un risentimento più accentuato nei confronti dei migranti. “Purtroppo non si sta esagerando quando si parla di xenofobia e razzismo qui”, ci spiega l’arcivescovo di Malta, Charles Scicluna. “Il motivo è l’esasperazione. Qui sull’isola ci sono sempre più poveri e disoccupati e questa esasperazione porta alla mancanza di solidarietà”, dice. Anche il coronavirus ha avuto i suoi effetti. “Il turismo è fermo, e per la nostra economia è molto importante”. Poi c’è l’Europa che ha le sue responsabilità: “Sulla gestione dei migranti Malta non può essere lasciata da sola. Non bastano interventi sporadici, servono misure strutturate”.

 


Un gruppo di migranti a Khoms, in Libia, intercettati dalla Guardia costiera libica (foto LaPresse)


  

Secondo Delia, il governo specula su questo odio generalizzato: “Talvolta vicino ai centri di accoglienza si è arrivati anche a episodi di violenza, ma basta dare un’occhiata ai social per vedere come stanno cambiando i toni”. A Malta il dibattito politico è costretto tra due sole alternative politiche: laburisti da una parte e nazionalisti dall’altra. “Le campagne elettorali sono fatte per ottenere il 50 per cento più uno dei voti e ogni mezzo è ammesso”. La carta dei migranti, dice il blogger, è una di questi. “Gli esecutivi laburisti si sono rivelati dei veri movimenti populisti. Qui non c’è la sinistra come si intende altrove, non c’è ideologia. Anche per questo il partito è stato affascinato dai metodi di Matteo Salvini quando era ministro in Italia. A Malta piaceva molto la sua gestione dei migranti, il fatto di lasciare le navi delle ong al largo. E così si è arrivati a dire: ‘Se lo ha fatto lui, possiamo farlo anche noi’”. Ma il polso fermo del governo e il silenzio dell’Europa davanti alle difficoltà dell’isola non possono diventare un alibi, secondo l’arcivescovo Scicluna: “Serve accoglienza, bisogna rispettare il principio della legalità e adempiere agli obblighi internazionali”, dice al Foglio. Ma dopo l’ennesimo appello rivolto da Papa Francesco per accogliere e salvare vite in mare, il governo di Malta ha risposto con una lettera inviata direttamente al Vaticano: “Accogliete voi una famiglia di migranti”, c’era scritto. “Una richiesta di aiuto, ma la chiesa sta già facendo la sua parte”, ci dice Scicluna. “Una provocazione, ovviamente”, affermano invece altre fonti che preferiscono restare anonime.

 

Tre fonti svelano il sistema escogitato da Malta per compiere respingimenti dei migranti affinché nessuno sbarchi sull’isola

Sin dal giorno dell’insediamento, Abela ha fatto della criminalizzazione delle ong uno dei suoi punti fermi, sulla scia dei sovranisti italiani. Il suo predecessore Muscat e l’ex ministro dell’Interno, Michael Farrugia, avevano sempre avuto toni dialoganti con Bruxelles, fino ad arrivare nel settembre 2019 all’accordo sui migranti della Valletta, siglato con Italia, Francia e Germania. Un primo, timido passo verso un sistema di ripartizione dei migranti a cui, nei piani iniziali, avrebbero dovuto aderire altri stati membri. Oggi quello spirito di cooperazione sembra già tramontato. Il governo di Abela, che lamenta l’assenza di solidarietà tra gli stati membri, adotta una strategia molto salviniana: battere i pugni sul tavolo, chiudere a ogni forma di dialogo e insistere sul tasto dell’antieuropeismo, che è un sentimento sempre più diffuso nell’isola. “Non possiamo gestire tutto da soli”, ha ripetuto il ministro degli Esteri Evarist Bartolo in un video pubblicato su Facebook in cui invocava un nuovo sistema di ripartizione dei migranti. “Condividiamo la stessa frustrazione dell’Italia. Siamo uno stato che vuole la pace, non causiamo guerre, non vendiamo armi. Di certo non siamo stati noi a dare vita a questa confusione”, ha aggiunto. Ma i toni pacati di Bartolo non sono condivisi da tutti. Lo scorso 10 maggio, l’ambasciatore maltese in Finlandia, Michael Zammit Tabona, si è dimesso dopo che aveva paragonato la cancelliera tedesca Angela Merkel ad Adolf Hitler. “Settantacinque anni fa abbiamo fermato Hitler. Ora chi fermerà Angela Merkel?”, ha scritto su Facebook. Bartolo si è scusato con Berlino, ma per il Partito laburista si è trattato di un’altra figuraccia, dato che Tabona fu nominato ambasciatore nel 2014 direttamente da Muscat. Ciliegina sulla torta, l’ormai ex diplomatico è anche l’armatore di Captain Cook, la compagnia di battelli turistici affittati dal governo per mettere in quarantena i migranti lontano dalla costa. Un metodo usato anche dall’Italia, ma che a Malta ha suscitato grande indignazione, perché è visto come un’aberrazione, peraltro con costi esagerati.

 

A testimoniare che il tanto atteso riscatto di Malta sulla scena internazionale con il nuovo premier Abela sia stato solamente un’illusione ci sono anche le scelte di politica estera prese nelle ultime settimane. I toni antieuropei del governo sono sfociati in voltafaccia politici che hanno innervosito anche le altre capitali dell’Unione. Lo scorso 31 marzo l’Ue ha lanciato Irini, una missione aeronavale comandata dall’Italia che deve sorvegliare l’embargo delle armi in Libia e ostacolare il traffico di esseri umani. Il governo maltese aveva offerto una squadra d’assalto, uomini che avrebbero dovuto abbordare le navi sospettate di compiere traffici illeciti. Ma proprio il giorno successivo all’annuncio dell’intesa tra gli stati membri sulle forze da impiegare, dopo oltre un mese di trattative, La Valletta ha detto di averci ripensato e ha ritirato la sua disponibilità. “Non c’è stata alcuna comunicazione formale né a Bruxelles né al comando di Roma”, dicono al Foglio fonti vicine alla missione. Si è trattato insomma di un semplice mal di pancia, che però ha innervosito sia Josep Borrell, Alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue, sia Angela Merkel ed Emmanuel Macron, che hanno chiesto chiarimenti al premier Abela. C’è chi ha interpretato il passo indietro di Malta come uno sgarbo all’Ue e un favore alla Turchia, la prima a essere penalizzata dalla missione europea dati i suoi traffici di armi via mare con Tripoli. Per altri invece si tratta solamente di provocazioni con cui Malta prova a dimostrare a Bruxelles che l’ora delle politiche estemporanee è finita: “Irini non è Sophia (la missione gemella che l’ha preceduta, ndr) e ha compiti ancora minori – dice al Foglio una fonte maltese che preferisce restare anonima – Con l’Ue devi fare così, devi ricattare, altrimenti non capiscono”.

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