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La politica del vaccino inizia già ora e riguarda i criteri di distribuzione

Paola Peduzzi

Iniziano i test sugli umani dei vaccini europei. La solidarietà di oggi e il pericolo nazionalista

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Milano. Ieri un team di ricercatori dell’Università di Oxford ha iniziato a testare su un gruppo di 500 volontari il vaccino che ha sviluppato e che inserisce in un virus innocuo parte del materiale genetico del Covid-19. Sarah Gilbert, virologa di Oxford, ha detto: abbiamo compresso in pochi mesi un lavoro che avrebbe richiesto cinque anni di tempo. Il ministro della Salute, Matt Hancock, ha stanziato 20 milioni di sterline per accelerare i test sugli umani, e 22,5 milioni per un vaccino che è allo studio presso l’Imperial College di Londra. Hancock ha precisato: “Lo sviluppo di un vaccino è un processo che prevede prove, errori, prove ed errori”. Che è anche la sintesi della fase due, per tutti, non solo per gli inglesi: si prova, se si sbaglia si torna indietro. La competenza più richiesta è proprio: accorgersi dell’errore. 

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Milano. Ieri un team di ricercatori dell’Università di Oxford ha iniziato a testare su un gruppo di 500 volontari il vaccino che ha sviluppato e che inserisce in un virus innocuo parte del materiale genetico del Covid-19. Sarah Gilbert, virologa di Oxford, ha detto: abbiamo compresso in pochi mesi un lavoro che avrebbe richiesto cinque anni di tempo. Il ministro della Salute, Matt Hancock, ha stanziato 20 milioni di sterline per accelerare i test sugli umani, e 22,5 milioni per un vaccino che è allo studio presso l’Imperial College di Londra. Hancock ha precisato: “Lo sviluppo di un vaccino è un processo che prevede prove, errori, prove ed errori”. Che è anche la sintesi della fase due, per tutti, non solo per gli inglesi: si prova, se si sbaglia si torna indietro. La competenza più richiesta è proprio: accorgersi dell’errore. 

 

Oltre al vaccino di Oxford, cui partecipa la società italiana di biotecnologia Advent-IRBM, anche l’azienda tedesca BioNTech ha ricevuto l’autorizzazione per accelerare il test umano per il vaccino cui lavora da gennaio. La società biotech con sede a Magonza inizierà a testare il prototipo su duecento volontari tra i 18 e i 55 anni, e come l’Università di Oxford è andata e andrà di fretta: sarebbe il primo “vaccino europeo”. L’importante è, come con tutto quel che riguarda la pandemia, la solidarietà: “Stiamo correndo contro il tempo non uno contro l’altro”, ha detto il fondatore di BioNTech, Ugur Sahin. A Tubinga, la CureVac ha sviluppato un vaccino che ha ottenuto 80 milioni di euro di finanziamento dalla Commissione europea ma non ha ancora ricevuto l’approvazione per il test. Entrambe le società tedesche sono sostenute dalla Fondazione di Bill e Melinda Gates, e proprio il fondatore di Microsoft ha messo in luce aspetti finora poco discussi della questione vaccino: hanno tutti a che fare con la preparazione. Se oggi stiamo prendendo coscienza degli errori che molti paesi hanno fatto tra gennaio e marzo sottovalutando la pandemia, dovremmo badare che la stessa leggerezza non alteri anche il percorso legato ai vaccini. Gates dice: i governi non soltanto devono stanziare i fondi per acquisire e distribuire i vaccini, ma nella fase intermedia, quando ci saranno i test umani con vaccini differenti, dovranno prepararsi alla produzione di prodotti differenti, e questi investimenti con tutta probabilità saranno a fondo perduto. Più coordinamento tra stati c’è più i costi possono essere distribuiti, e non riguardano soltanto i governi ma anche molte aziende private indispensabili per rendere più fluido ogni passaggio. E questo porta alla politica del vaccino che ha molto a che fare con gli equilibri internazionali e il continuo scontro tra interessi nazionali. Il direttore della Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi), Richard Hatchett, ha spiegato all’Economist molto bene com’è la questione. Se la capacità di produzione dei vaccini è limitata, la politica di distribuzione del vaccino può diventare feroce. Se si adotta un approccio globale, l’opzione ottimale è quella di distribuire i vaccini alle persone più a rischio, ma se un paese ha un vantaggio nella produzione del vaccino allora potrebbe preferire distribuirlo prima alla propria popolazione, a svantaggio degli altri paesi. Hatchett parla di “dilemma del prigioniero” e vedendo il problema arrivare ha unito le forze con Seth Berkley di Gavi, un consorzio pubblico-privato che sostiene la diffusione dei vaccini nel mondo, per fare pressioni sul G20 in modo che si raggiunga un consenso internazionale per il finanziamento, la produzione e la distribuzione del vaccino. Il G20 si è rivolto all’Organizzazione mondiale della sanità che deve ancora annunciare una nuova iniziativa per distribuire tutto quel che serve alla lotta al coronavirus. Finché c’è incertezza su quale sarà la composizione del vaccino, l’incentivo alla solidarietà e a una politica condivisa è alto: nessuno perde, tutti possono avere benefici. Ma più si comprende quale vaccino funziona – cosa che tutti speriamo succeda presto – più ogni stato vorrà conquistare qualche vantaggio sugli altri, in nome dell’interesse nazionale. E’ per questo che la politica del vaccino andrebbe coordinata fin da subito, per sostenere insieme la ricerca e per organizzare la distribuzione, che deve essere, come scrive la Harvard Business Review, “solidale”. Non solo per ragioni umanitarie, ma per ragioni sanitarie: se non c’è una distribuzione solidale, nemmeno l’introduzione del vaccino metterà fine alla pandemia.

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