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Il virus chiude i porti ma rilancia la solidarietà: due lezioni per l’Italia

Luca Gambardella

Il premier maltese indagato per la morte di 12 migranti mentre tornano di moda i ricollocamenti. Idee per superare Dublino

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Roma. Tra porti chiusi e caccia alla solidarietà europea, la pandemia porta con sé due lezioni per l’Italia sul fronte dell’immigrazione. La prima arriva da Malta, dove il premier laburista Robert Abela è indagato insieme a 12 membri delle forze armate per la morte di 12 migranti, rimasti per sei giorni a bordo di un gommone nella zona sar maltese. Da un paio di settimane Malta, così come l’Italia, ha chiuso i suoi porti per via della crisi sanitaria causata dal Covid-19. Per questo motivo dal 9 al 15 aprile un gommone con a bordo 63 persone è rimasto alla deriva senza potere attraccare a Malta, nonostante la Valletta, Roma, Tripoli e Frontex, l’agenzia europea per la sicurezza dei confini esterni, fossero a conoscenza dell’allarme lanciato dall’imbarcazione. Non solo: dopo sei giorni senza concedere un porto, il governo maltese avrebbe orchestrato un respingimento in piena regola, caricando i naufraghi su un motopesca fantasma (senza bandiera né codice identificativo Imo) e rispedendoli in Libia, che è un porto non sicuro. A citare in giudizio il premier è stata l’ong maltese Republika, che ha accusato il governo di usare la pandemia come espediente per chiudere i porti violando le convenzioni internazionali e di essere il responsabile della morte dei 12 migranti. L’ong ha presentato un ricorso anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo che però ha rigettato la richiesta, dato che i fatti contestati al governo si erano già consumati e non mettevano più a repentaglio la vita dei migranti. Ma per Abela le indagini sono solamente l’ultimo colpo assestato alla sua gestione della pandemia, giudicata inadeguata da media e opposizione. Messo sotto pressione, il premier è andato in tv e ha rivolto un messaggio alla nazione: “La mia coscienza è pulita”, ha detto, ribadendo l’impossibilità di accogliere i migranti per via del Covid-19.

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Roma. Tra porti chiusi e caccia alla solidarietà europea, la pandemia porta con sé due lezioni per l’Italia sul fronte dell’immigrazione. La prima arriva da Malta, dove il premier laburista Robert Abela è indagato insieme a 12 membri delle forze armate per la morte di 12 migranti, rimasti per sei giorni a bordo di un gommone nella zona sar maltese. Da un paio di settimane Malta, così come l’Italia, ha chiuso i suoi porti per via della crisi sanitaria causata dal Covid-19. Per questo motivo dal 9 al 15 aprile un gommone con a bordo 63 persone è rimasto alla deriva senza potere attraccare a Malta, nonostante la Valletta, Roma, Tripoli e Frontex, l’agenzia europea per la sicurezza dei confini esterni, fossero a conoscenza dell’allarme lanciato dall’imbarcazione. Non solo: dopo sei giorni senza concedere un porto, il governo maltese avrebbe orchestrato un respingimento in piena regola, caricando i naufraghi su un motopesca fantasma (senza bandiera né codice identificativo Imo) e rispedendoli in Libia, che è un porto non sicuro. A citare in giudizio il premier è stata l’ong maltese Republika, che ha accusato il governo di usare la pandemia come espediente per chiudere i porti violando le convenzioni internazionali e di essere il responsabile della morte dei 12 migranti. L’ong ha presentato un ricorso anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo che però ha rigettato la richiesta, dato che i fatti contestati al governo si erano già consumati e non mettevano più a repentaglio la vita dei migranti. Ma per Abela le indagini sono solamente l’ultimo colpo assestato alla sua gestione della pandemia, giudicata inadeguata da media e opposizione. Messo sotto pressione, il premier è andato in tv e ha rivolto un messaggio alla nazione: “La mia coscienza è pulita”, ha detto, ribadendo l’impossibilità di accogliere i migranti per via del Covid-19.

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Pur avendo preso un’iniziativa analoga a quella di Malta, per ora il governo di Giuseppe Conte è riuscito a tenersi alla larga da episodi tanto eclatanti, ma il precedente maltese dimostra che la chiusura dei porti in nome dell’epidemia rischia di portare con sé conseguenze politiche, oltre a quelle etiche e giuridiche. Nel frattempo dalla Grecia arriva un’altra lezione per il nostro paese. Il coronavirus sembra avere accelerato la solidarietà europea sul fronte della redistribuzione dei migranti. Sulle isole greche la situazione sanitaria resta critica, con 35 mila persone ammassate in campi che potrebbero ospitarne al massimo 6 mila. Per aiutare Atene a risolvere la crisi, il mese scorso Germania, Francia, Lussemburgo, Portogallo e Finlandia hanno deciso di formare una coalizione di volenterosi per redistribuire parte di questi migranti. Sabato scorso, 50 minori sono stati trasferiti dalla Grecia a Hannover, in Germania, ed entro l’estate si dovrebbe arrivare a 2.000 persone ridistribuite in Europa. “In tempo di epidemia questi gesti di solidarietà sono ancora più apprezzati”, ha detto il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis.

 

Si tratta di un modello virtuoso, a maggior ragione perché il costo dei ricollocamenti è finanziato dall’Ue tramite il Fondo per l’asilo, l’immigrazione e l’integrazione che, per il periodo 2014-2020, ammonta a oltre 3 miliardi di euro. E il nostro paese sembra avere colto l’opportunità offerta dalla pandemia: la settimana scorsa i ministri dell’Interno di Italia, Francia, Germania e Spagna hanno scritto una lettera alla Commissione Ue rilanciando il progetto di un sistema obbligatorio e permanente per ricollocare i migranti tra i paesi membri dell’Ue. L’idea è di sviluppare l’accordo di Malta del settembre 2019 creando un “meccanismo europeo di solidarietà per la ricerca e il salvataggio”. Si tratta di recuperare una vecchia proposta tedesca che era stata fatta decadere lo scorso anno per superare gli accordi di Dublino effettuando screening sanitari e di sicurezza offshore tramite un’agenzia europea, per poi procedere al ricollocamento. La proposta è ancora in una fase più che embrionale. Ma il virus potrebbe avere generato il clima di solidarietà che l’Italia cercava da tempo.

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