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L’hackeraggio russo in Ucraina ricorda molto i server democratici del 2016

Micol Flammini

L'attacco informatico alla società Burisma, al centro del processo di impeachment contro Trump, un risultato lo ha già ottenuto: azionare le accuse tra il presidente repubblicano e i democratici

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Roma. La storia dell’attacco informatico russo a Burisma, la società energetica della quale Hunter Biden è stato direttore fino allo scorso anno, è un ritorno al 2016, quando non soltanto abbiamo scoperto che la campagna elettorale americana era stata colpita da interferenze straniere (russe), ma avevamo capito soprattutto che avremmo dovuto alzare il livello di attenzione e di sicurezza su internet per difendere le nostre democrazie. Tutto quello che non sarebbe dovuto succedere più sta succedendo di nuovo a ridosso di una nuova campagna presidenziale negli Stati Uniti, e non è una buona notizia.

 

Una società di sicurezza informatica californiana ha detto che l’intelligence militare russa lo scorso novembre ha tentato di hackerare Burisma, la società ucraina al centro del processo di impeachment di Donald Trump, con l’intenzione di sottrarre delle email. Il New York Times ha analizzato la notizia assieme ad altre agenzie di stampa internazionali e ha fatto sapere che è affidabile e che, come sostiene la società californiana, l’attacco ricorda quello subìto dal Partito democratico e dal comitato di Hillary Clinton durante la campagna elettorale. Fu l’hackeraggio delle mail della candidata democratica che diede inizio al Russiagate, l’inchiesta sulle interferenze russe nella campagna elettorale americana e in seguito alla quale furono incriminati dodici agenti dell’intelligence militare russa. L’inchiesta di due anni e di cinquecento pagine si concluse con uno slogan perfetto – il “No collusion!” a caratteri alti che Donald Trump scrisse su Twitter – ed escluse una cospirazione tra il presidente americano e i russi, ma confermò che il governo russo ordinò due operazioni segrete per manipolare le elezioni americane. L’inchiesta non scalfì il trumpismo, ma indicò che qualcosa di cui preoccuparsi c’era: la democrazia degli Stati Uniti era stata oggetto di un attacco da parte di un paese straniero.

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Quattro anni dopo ecco un nuovo attacco informatico che sembra una riedizione di Wikileaks e che colpisce l’azienda dalla quale è partita la procedura di impeachment contro Donald Trump che in una telefonata al presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, minacciò di bloccare gli aiuti militari se Kiev non avesse indagato Hunter Biden e suo padre Joe per corruzione. Hunter aveva ottenuto l’incarico di direttore di Burisma nel 2014 e la sua nomina aveva suscitato cospirazioni varie, usate per colpire suo padre, attuale candidato alle primarie del Partito democratico ed ex vicepresidente degli Stati Uniti. Nella telefonata a Zelensky, Trump aveva fatto pressione per ottenere un vantaggio politico, “do me a favor” aveva detto all’omologo ucraino chiedendogli di indagare per presunta corruzione i Biden e la storia ha spinto i democratici ad avviare una procedura di impeachment contro di lui di scarso successo e che, con ogni probabilità, verrà bocciata in Senato. Che il nome di Burisma torni nella vicenda dell’hackeraggio russo di novembre non fornisce di certo nuove prove contro il presidente americano. Non si sa cosa cercassero gli hacker, secondo il New York Times cercavano materiale compromettente su Biden oppure erano soltanto interessati ad aumentare l’attenzione sull’Ucraina, e non è chiaro neppure cosa siano riusciti a sottrarre. Probabilmente nulla, ma la storia sembra riportarci indietro di cinque anni a parlare di Russia, di interferenze e della sicurezza delle nostre democrazie.

 

I russi invece a modo loro hanno già vinto. Il caos e la confusione, qualsiasi cosa siano riusciti a ottenere, sono assicurati. Se fossero riusciti ad avere materiale compromettente contro i Biden e avessero deciso di diffonderlo mediante un proxy, come accadde con Wikileaks e le mail di Hillary, avrebbero vinto e ancora non è detto che non ci siano documenti pronti per essere pubblicati. Ma a un risultato lo hanno ottenuto comunque: azionare la confusione delle polemiche, il caos dei tweet e le accuse tra il presidente repubblicano e i democratici.

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