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Contro i deliri della cartomanzia geopolitica

Giuliano Ferrara

Un venticello di follia pervade i commenti ostili alla deterrenza militare di Trump. Frivole farneticazioni degli apocalittici senza pezze d’appoggio

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Una sensazione di leggera follia accompagna le notizie sul mancato inizio (per ora, o for now come scrive il Financial Times) della Terza guerra mondiale. Ne vedremo delle belle, e cercherò alla fine di affibbiare a questa banale predizione un banale perché. Intanto assistiamo a un curioso balletto. L’Arciduca Francesco Ferdinando è morto in un attentato. Non è arrivata una dichiarazione di guerra, e la dichiarazione di lutto nazionale iraniano ha portato a una carneficina di oltre cinquanta morti nel corso dei funerali. La rappresaglia è stata più che controllata, con il danneggiamento di una pista aerea e poco più in una base irachena che ospita soldati americani e della coalizione. Molti comizi, molti slogan, furbe distrazioni di immense folle, evocazione di un martirio, morte all’America, morte all’entità sionista, ma niente di più. Cose già viste. Logico, nella scala e nella natura dell’illogico, che Trump si affretti a dire “tutto bene” e che dalle due parti si moltiplichino affermazioni ridondanti di belligeranza accompagnate da sortite diplomatiche normalizzanti. In sostanza non è cambiato molto, a parte movimenti destabilizzanti in Iraq e un’attesa infida di nuove mosse di là da venire. Di sicuro c’è solo che un atto di deterrenza a forte caratura, duramente conflittuale, ha per ora, for now, avuto il suo effetto.

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Una sensazione di leggera follia accompagna le notizie sul mancato inizio (per ora, o for now come scrive il Financial Times) della Terza guerra mondiale. Ne vedremo delle belle, e cercherò alla fine di affibbiare a questa banale predizione un banale perché. Intanto assistiamo a un curioso balletto. L’Arciduca Francesco Ferdinando è morto in un attentato. Non è arrivata una dichiarazione di guerra, e la dichiarazione di lutto nazionale iraniano ha portato a una carneficina di oltre cinquanta morti nel corso dei funerali. La rappresaglia è stata più che controllata, con il danneggiamento di una pista aerea e poco più in una base irachena che ospita soldati americani e della coalizione. Molti comizi, molti slogan, furbe distrazioni di immense folle, evocazione di un martirio, morte all’America, morte all’entità sionista, ma niente di più. Cose già viste. Logico, nella scala e nella natura dell’illogico, che Trump si affretti a dire “tutto bene” e che dalle due parti si moltiplichino affermazioni ridondanti di belligeranza accompagnate da sortite diplomatiche normalizzanti. In sostanza non è cambiato molto, a parte movimenti destabilizzanti in Iraq e un’attesa infida di nuove mosse di là da venire. Di sicuro c’è solo che un atto di deterrenza a forte caratura, duramente conflittuale, ha per ora, for now, avuto il suo effetto.

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Siccome però l’opinione internazionale multilateralista e antitrumpiana, i liberal, ha bisogno di argomenti per esercitare una sua deterrenza verbale contro la deterrenza militare che a sorpresa ha avuto un suo modo di manifestarsi, ecco un venticello grottesco di follia che pervade i commenti prevalenti. Ora ci arrivo, ma devo premettere che Trump è con il suo America First! e Me First! il principe dei multilateralisti, il suo è un multilateralismo egocentrico fondato sull’arte del deal, laddove l’unilateralismo di George W. Bush e dei neoconservatori era una strategia occidentalista a solida guida americana, e “imperiale” o geopolitica, aperta a coalizioni di volenterosi. E fino alla eliminazione di Suleimani, e oltre, suppongo, Trump aveva rotto con la strategia di un contrasto occidentale al radicalismo islamista post 11 settembre. Era il comiziante, e lo è, che si preoccupa di ignorare o vuole terminare le endless war, le guerre interminabili che sono lontane in apparenza dall’America. Per un momento, il momento del drone fatale, i trumpiani ortodossi si sono dissociati, richiamando l’isolazionismo come dovere e promessa, e i neoconservatori hanno applaudito a un atto di responsabilità internazionalista foriero di coinvolgimento degli Stati Uniti nel teatro di azione per anni abbandonato con la famosa ritirata obamiana, e con il raddoppio trumpiano.

    

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Premesso questo, ecco virgolettati i commenti del paradossale e dell’assurdo. “L’affermazione della deterrenza è solo apparente e temporanea. Il regime di Teheran si è rafforzato e ha imposto al mondo la sua sfilata luttuosa come una grande e terribile risposta. I radicali iraniani sono più forti oggi di ieri, anche se hanno perso uno dei loro capi storici e non lo hanno vendicato se non simbolicamente. Non c’è dubbio che triplicheranno l’aggressività e gli sforzi del grande esercito dei proxy warrior, i miliziani, privati del loro ideatore e monumentale leader martirizzato ma sempre più capaci di agire in Libano, in Yemen, in Siria e in Iraq. La dottrina Suleimani ha il suo trionfo dopo la morte del suo ideatore. Gli americani non avevano calcolato che avrebbero perso l’Iraq e che avrebbero rilanciato la strategia iraniana di espellerli dal medio oriente”. E poi: “La rilegittimazione del regime a furor di popolo è un fattore decisivo, senza quella non sarebbero stati mandati i missili sulle basi irachene. Le conseguenze disastrose della Sarajevo del XXI secolo si faranno sentire, la guerra continua eccetera”.

   

È un delirio frivolo, come si vede. Non hanno voluto twittare la bandiera e approvare una decisione politica opportuna e tardiva di deterrenza forte, alcuni di loro hanno paragonato Suleimani a Cheney, cioè un generale nemico e terrorista a un uomo di stato patriota e internazionalista, ecco che devono giustificare in questo modo penoso, e con argomenti così ridicoli, la dissociazione e il suo gigantesco flop. Il mancato innesco della Terza guerra mondiale, e il minimo ristabilimento di un equilibrio nei rapporti di dissuasione e di forza, diventano il pretesto per argomentazioni sofistiche, e per una previsione di tipo cartomantico su un futuro oscuramente apocalittico. Senza la minima pezza d’appoggio. Ne vedremo invece delle belle, questo è certo, non perché l’America è imperialista e avventurista, tutt’altro, perché semmai la deterrenza Suleimani è stata esercitata all’interno di una guerra vera alla quale ciascuno è rassegnato ma che nessuno ha voglia di combattere con una strategia decisiva, nemmeno Trump e forse nemmeno il Pentagono, malgrado sia chiaro come il sole, e da un paio di decenni, che questa guerra di civiltà finirà (provvisoriamente, ma per generazioni) solo con una Waterloo degli eserciti rivoluzionari islamisti, il giorno in cui cadranno gli ayatollah a Teheran e a Qom.

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