La Spagna può reggere il distacco della Catalogna?
A un mese dal referendum l’agenzia di rating canadese Dbrs non prevede rischi, a meno che la secessione non sia un blitz
La Catalogna indipendente: un’idea che stuzzica i separatisi spagnoli ormai da parecchio tempo. Tra il 2009 e 2011 vennero organizzati referendum non vincolanti e non ufficiali in diversi comuni catalani, dove il Sì ottenne una vasta maggioranza, nonostante la partecipazione relativamente bassa alle urne. Poi ci fu il referendum “informale” del novembre 2014 e circa l’80 per cento dei quasi due milioni di votanti si espresse a favore dell’indipendenza. L'ultima sfida di Barcellona a Madrid è arrivata a inizio giugno 2017, quando il presidente catalano Carles Puigdemont Casamajo ha indetto per il primo ottobre prossimo una nuova consultazione, malgrado il veto del governo spagnolo. Madrid, attraverso le parole del portavoce Inigo Mendez de Vigo ha fatto sapere che "il primo ottobre non si celebrerà un referendum illegale che va contro la Costituzione".
Le valutazioni di Dbrs sono utilizzate dalla Banca centrale europea per le sue operazioni monetarie accanto alle "grandi tre" agenzie tradizionali – S&P’s, Moody's e Fitch. “La retorica dei partiti pro-indipendenza”, scrive l’agenzia “è stata rafforzata e ha guadagnato sostegno durante la crisi finanziaria della Spagna e soprattutto dopo la vittoria nelle elezioni regionali nel 2015”. La stabilità spagnola potrebbe essere compromessa invece se il voto di ottobre fosse seguito “da altri sviluppi significativi, come una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte della Catalogna”. Una postilla da non sottovalutare, se si pensa a quello che afferma la bozza di legge sul referendum presentata due giorni fa dai partiti indipendentisti, che hanno la maggioranza assoluta nel Parlamento di Barcellona: se vincerà il Sì, la “Repubblica catalana” sarà proclamata nel giro di 48 ore, cioè entro il 3 ottobre.