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E’ il momento della coalizione con gli stivali

L’occidente condivide tricolori francesi sui social ma appare senza voce di fronte al terrore per una doppia ragione: non sa chiamare le cose con il loro nome, evitando di mettere insieme le parole islamismo e terrorismo, e continua a occuparsi del contenimento e non della distruzione dei fanatismi. E’ il momento di occuparsi dell’Isis prima che l’Isis torni a occuparsi di noi.
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Si apre la bocca, si cercano le parole, si gioca con gli eufemismi, si evita di chiamare le cose con il loro nome e alla fine, il giorno dopo la notte del terrore parigino, che vi stiamo raccontando anche noi in queste ore sul sito del Foglio con una serie di edizioni speciali, il risultato è che la voce non esce. E il risultato è che la risposta simmetrica che il mondo cerca di dare alla grande sfilata del jihadismo islamista è una risposta senza voce. “Act of war”, l’ha chiamata Hollande. “Siamo vicini alla Francia”, ha detto Renzi. “E’ un attacco all’umanità”, ha detto il presidente degli Stati Uniti. E la solidarietà agli amici di Parigi arriverà come un fiume in piena, con molti fiori, molta partecipazione, molte manifestazioni, molto inchiostro e molti intellettuali pronti a postare su Twitter le foto della torre Eiffel, a infilarsi sul collo la sciarpetta tricolore, a condividere su Facebook la foto del profilo ritoccata con i colori della bandiera della Francia. Il problema però è sempre lì ed è che alla fine del percorso di indignazione la voce dell’occidente è una voce afona che continua ad affrontare il dramma del terrorismo senza trovare le parole giuste e le azioni giuste per inquadrare i due problemi che si trovano alla base del jiahdismo islamista. Il primo problema è culturale, e ancora una volta, dopo una strage compiuta da integralisti islamici, ci si concentra più sulla prima parte del problema (il terrorismo) che sulla seconda (l’islam), e ci si preoccupa come sempre che un eccesso di aggettivi possa essere letto come una volontà di offendere l’islam e di alimentare l’islamofobia. E per questo li si chiama semplicemente “matti”, “terroristi”, “omicidi”, senza capire che per comprendere quello che sta succedendo attorno a noi bisogna mettere insieme una volta per tutte quelle due parole: jihadismo e islamismo. “Quando si afferma che l’Islam non è una religione di pace – come ha scritto magnificamente Hirsi Ali, nel suo libro Eretica – non si vuole dire che sia il credo islamico a rendere i musulmani violenti. E’ ovvio che non è così: ci sono milioni di musulmani pacifici nel mondo. Quello che si intende è che l’appello alla violenza e la sua giustificazione sono esplicitamente presenti nei testi sacri dell’islam. E questa violenza autorizzata dalla teologia è lì per essere innescata da un certo numero di infrazioni tra cui l’apostasia, l’adulterio, la blasfemia e persino concetti difficili da definire come la minaccia all’onore della famiglia o dell’islam stesso”. Chiunque voglia aiutare gli islamici moderati ad affrontare senza paraocchi l’islam fondamentalsita deve ovviamente distinguere i “bastardi islamisti” dai semplici islamici ma deve imparare anche a non negare l’evidenza, andare a fondo, e capire che il fondamentalismo trova una sua giustificazione forte nei testi sacri dell’islam. Lo abbiamo scritto più volte su questo giornale: il nemico, il nostro nemico, non è solo il terrorismo in quanto tale ma è anche l’idea di cui il terrorismo è il prodotto; e quell’idea, purtroppo, è legata a una precisa interpretazione dell’islam. Il secondo problema riguarda la risposta che l’occidente con ogni probabilità sceglierà di offrire al fanatismo islamista e quella risposta ancora una volta ha tutta l’aria di essere fuffa politicamente corretta. L’ha chiamata “guerra”, Hollande, ha detto che ai terroristi bisogna rispondere “senza pietà”. Ma il presidente francese dovrebbe essere sincero e spiegare che è arrivato, per tutti, il momento di unire le forze, andare a uccidere uno a uno gli islamisti, smetterla di credere che sia sufficiente qualche bel drone sganciato dal cielo o qualche eroico curdo armato fino ai denti per fare la guerra all’integralismo. E’ il momento di costruire una coalizione di stivali sul terreno per occuparsi dell’Isis prima che l’Isis torni a occuparsi di noi. E’ un atto di guerra, dice Hollande, e tutti a battere le mani, a condividere su Facebook bandiere della Francia. Ma finché sarà una guerra asimmetrica, una guerra dove una parte in causa (i terroristi) combatte con una forza incomparabilmente superiore alla nostra, la nostra guerra non potrà mai essere vinta per la semplice ragione che il combattere per noi ha un significato di contenimento e non ha invece l’unico significato che dovrebbe avere una guerra contro il terrore. La guerra si fa per vincere, sradicare, distruggere, non semplicemente per contenere e battere le mani con la sciarpetta tricolore attorcigliata intorno a un collo pieno di lacrime. E’ il momento della coalizione degli stivali. E forse anche Renzi prima o poi dovrebbe farsene una ragione.
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