La nomenklatura della guerra
A giugno arriva in visita a Latakia il generale iraniano Qassem Suleimani, che gode di uno status leggendario. Comanda la forza Quds, il reparto speciale delle Guardie rivoluzionarie iraniane che si occupa delle operazioni clandestine all’estero, ma negli anni il suo ruolo si è allargato fino a diventare quello di architetto della politica militare dell’Iran in medio oriente. Nel 2008 manda un sms di sfida al generale americano David Petraeus a Baghdad: “Generale Petraeus, dovresti sapere che io, Qassem Suleimani, controllo la politica iraniana che riguarda l’Iraq, il Libano, Gaza e l’Afghanistan. Il nostro ambasciatore a Baghdad è anche lui un uomo della forza Quds. E lo è anche l’uomo che lo sostituirà”. Petraeus legge il messaggio sullo schermo di un telefonino che gli è porto da un politico iracheno.
Alla fine di quel mese di giugno entra in scena – si fa per dire: è discretissimo – l’uomo che fa da ufficiale di collegamento tra gli iraniani e Assad, e vola a Mosca a incontrare Putin. Si tratta di Ali Mamlouk, capo del cosiddetto ufficio della Sicurezza nazionale. In pratica gestisce le quattro intelligence siriane che controllano il paese – e si sorvegliano a vicenda, in modo da evitare che un ufficiale troppo sveglio faccia quello che ha fatto il padre del presidente Bashar e si prenda la Siria con un golpe. Mamlouk è anch’egli, come Suleimani, uomo di quell’apparato opaco e onnipotente che decide le sorti della regione e non appare quasi mai sui media – tutto il contrario dei mujaheddin eretici e straccioni dello Stato islamico, che girano in sandali e ci tengono parecchio a esibire ogni esecuzione. Mamlouk fa parte del circolo di Damasco che prende le decisioni. Un dispaccio americano finito su Wikileaks descrive la sua apparizione a sorpresa a un incontro tra una delegazione americana e una del governo nella capitale siriana nel 2010. Si parlava di terrorismo, lui si presentò a spiegare che i servizi siriani non lavorano come quelli americani (che appena possono colpiscono): “Noi infiltriamo i gruppi e ci teniamo informati dal loro interno”, è un lavoro che richiede anni.
Mamlouk passa l’estate a fare il giro segreto delle sette chiese. A fine luglio – notizia incredibile – va persino nella tana del nemico, a Gedda, in Arabia Saudita. Non si sa cosa dice, questa informazione esce un mese dopo, ma già una settimana più tardi il quotidiano arabo al Hayat pubblica un pezzo insolito a proposito dell’esistenza di una proposta di pace saudita che suona così: “Noi cessiamo di aiutare i ribelli in Siria se gli iraniani e Hezbollah escono dalla Siria e cessano il loro appoggio sul campo”. E’ stata la questione discussa durante l’incontro riservato con il siriano, si capisce dopo (e notare che Mamlouk è pronto a far ritirare Hezbollah dalla Siria, perché sa che tanto deve tenersi pronto a farne a meno). Il 24 agosto Mamlouk vola al Cairo a parlare con il capo dell’intelligence egiziana, il generale Khaled Fawzi, e deve essere una conversazione interessante perché il 13 settembre Mamlouk torna al Cairo a parlare direttamente con il presidente Abdel Fattah al Sisi. Si sa che il rais egiziano avrebbe una gran voglia di maggior coinvolgimento nella guerra di Putin in medio oriente – del resto Sisi ha in casa il fronte del Sinai, che è una piccola Siria. Però lui non può, perché gli sponsor sauditi che prestano all’Egitto enormi quantità di denaro non tollererebbero un allineamento esplicito a favore di Assad (e invece vorrebbero un suo intervento in Yemen, ma Sisi si tiene fuori più che può).
I viaggi di Mamlouk sono stati ricostruiti a settembre da George Malbrunot, giornalista del Figaro, ma almeno uno non è citato: il siriano va in Oman, il piccolo regno della penisola arabica dove sono partite le trattative segrete tra americani e iraniani sul programma nucleare, e che gode dello status di porto franco dove si possono immaginare i negoziati più improbabili.
[**Video_box_2**]A maggio era uscito un rumor insistente sulla fine di Mamlouk, che talune voci danno agli arresti domiciliari e altre davano per malato terminale di cancro. Con il senno di poi, viene da pensare a una mossa di disinformatia da parte del governo siriano, perché il capo dei servizi in quel periodo è partito per viaggi cruciali per tutto il medio oriente, a fare le veci di un presidente che non può lasciare Damasco. Chissà cosa succede, viene da chiedere, se Bashar si allontana troppo. La notizia sarebbe considerata una resa? Qualcuno a lui vicino proverebbe a prendergli il posto?
La target list di Putin in Siria
La mappa dell’Institute for the Study of War mostra l’area bombardata dai russi, lontano dallo Stato islamico. I russi sostengono che questi raid aerei fanno parte della guerra allo Stato islamico, ma la loro “target list” comprende anche altre fazioni. Le più importanti sono due, il Jaysh al Fath e il Jaysh al islam. Il primo gruppo è molto forte soprattutto al nord, nella regione di Idlib e minaccia da vicino la regione costiera di Latakia, dove vive la maggioranza dei siriani fedele al presidente Bashar el Assad e dove i russi sono ora presenti in tre basi militari. Il nome Jaysh al Fath in arabo vuol dire “Esercito della Conquista” e prima del 2015 non esisteva. E’ nato dall’alleanza di tanti gruppi islamisti, e i maggiori – come chiamarli? – azionisti sono Ahrar al Sham e Jabhat al Nusra.
Ahrar al Sham è un gruppo che a paragone degli altri non è estremista e non ha obiettivi internazionali, il suo nome vuol dire “gli uomini liberi di Siria”. Jabhat al Nusra è il nome di al Qaida in Siria. Il Jaysh al Fath è nemico dello Stato islamico ed è spesso attaccato con attentati suicidi, ma appartiene alla categoria dei gruppi jihadisti (ed è guardato con benevolenza, per così dire, da Turchia e Qatar). L’altro grande gruppo è il Jaysh al islam, l’esercito dell’islam, fortissimo nella regione di Damasco. Fortissimo non è enfatico: fanno parate con migliaia di uomini e decine di carri armati e sono la minaccia alla capitale, anche se i media ne parlano pochissimo. Detestano lo Stato islamico, che considerano un gruppo di eretici estremisti, sono islamisti e sono appoggiati dai sauditi. A giugno hanno messo su internet un video in cui uccidono alcuni uomini dello Stato islamico, che loro sospettano di complicità con Assad.