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Editoriali

La relazione ingiusta e inesistente

Redazione

Bonafede non ha difeso nemmeno il suo lavoro. Le riforme che l’Ue attende

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Alfonso Bonafede ha approfittato della particolare situazione in cui si trova un governo dimissionario per limitare la sua relazione a un’elencazione di dati e di proposte di legge già presentate essenzialmente descrittiva e priva di considerazioni politiche. Tuttavia anche questo documento permette di fare un bilancio ed esprimere un giudizio sul governo della giustizia e sulle sue prospettive. Si può partire dall’unico elemento politico rilevante contenuto nella relazione: l’insistenza sulle riforme e sugli stanziamenti per la giustizia necessari per far approvare prima, e funzionare poi, il Recovery fund. Tra le raccomandazioni della Commissione europea rivolte all’Italia in materia di Giustizia, Bonafede si dilunga molto a sottolineare quelle relative alla lotta alla corruzione, ma non può occultare il fatto che, anche in questa materia, la richiesta europea è quella di accelerare i tempi processuali. Questo snellimento dei tempi doveva essere il contrappeso alla contestata riforma-abolizione della prescrizione, ma su questo punto cruciale anche le proposte di legge emanate dal governo sono del tutto insufficienti e in qualche caso controproducenti. Quando Bonafede sottolinea che la soluzione dei problemi della giustizia “costituisca il primo e più importante banco di prova dell’ammissibilità dei progetti candidati ad ottenere il Recovery fund” mette in luce come i ritardi e le incongruenze accumulati anche durante la sua gestione siano un ostacolo rilevante per la ripresa del paese. Naturalmente la sua lettura è del tutto diversa, comunque se egli stesso ammette che le riforme sono urgenti e il rinvio delle modifiche al processo civile a quello penale e all’ordinamento giudiziario contenute nelle proposte giacenti in Parlamento è solo una foglia di fico, visto che quelle proposte, sempre che possano essere approvate, sono giudicate da tutti gli esperti del tutto insufficienti.

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Alfonso Bonafede ha approfittato della particolare situazione in cui si trova un governo dimissionario per limitare la sua relazione a un’elencazione di dati e di proposte di legge già presentate essenzialmente descrittiva e priva di considerazioni politiche. Tuttavia anche questo documento permette di fare un bilancio ed esprimere un giudizio sul governo della giustizia e sulle sue prospettive. Si può partire dall’unico elemento politico rilevante contenuto nella relazione: l’insistenza sulle riforme e sugli stanziamenti per la giustizia necessari per far approvare prima, e funzionare poi, il Recovery fund. Tra le raccomandazioni della Commissione europea rivolte all’Italia in materia di Giustizia, Bonafede si dilunga molto a sottolineare quelle relative alla lotta alla corruzione, ma non può occultare il fatto che, anche in questa materia, la richiesta europea è quella di accelerare i tempi processuali. Questo snellimento dei tempi doveva essere il contrappeso alla contestata riforma-abolizione della prescrizione, ma su questo punto cruciale anche le proposte di legge emanate dal governo sono del tutto insufficienti e in qualche caso controproducenti. Quando Bonafede sottolinea che la soluzione dei problemi della giustizia “costituisca il primo e più importante banco di prova dell’ammissibilità dei progetti candidati ad ottenere il Recovery fund” mette in luce come i ritardi e le incongruenze accumulati anche durante la sua gestione siano un ostacolo rilevante per la ripresa del paese. Naturalmente la sua lettura è del tutto diversa, comunque se egli stesso ammette che le riforme sono urgenti e il rinvio delle modifiche al processo civile a quello penale e all’ordinamento giudiziario contenute nelle proposte giacenti in Parlamento è solo una foglia di fico, visto che quelle proposte, sempre che possano essere approvate, sono giudicate da tutti gli esperti del tutto insufficienti.

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Un altro tema legato all’attualità riguarda l’attività degli uffici giudiziari durante la pandemia. Bonafede vanta che l’attività giudiziaria, seppure ridotta, non abbia subìto alcuna interruzione, vanta persino una seppur modestissima riduzione delle pendenze, però il dato, basato sul confronto tra cause concluse e cause nuove, risente soprattutto della riduzione dei nuovi procedimenti anche per via delle limitazioni imposte agli studi professionali degli avvocati.

 

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Un problema aggravato dalla pandemia, quello del sovraffollamento delle carceri, viene trattato in modo burocratico, e si vanta una riduzione della popolazione carceraria, per effetto delle misure adottate per la pandemia, di poco più di duemila detenuti, che però restavano, alla fine del 2020 circa 58 mila, a fronte di una capienza “normale” delle carceri di 50 mila, che peraltro dovrebbe essere ridotta sostanzialmente per osservare le norme di distanziamento richieste dal contagio.

 

Per il resto, la relazione sembra più il rapporto di un capo del personale che quello di un responsabile politico: pagine e pagine descrivono minuziosamente le assunzioni nei vari comparti, le misure adottate per il personale, analiticamente esaminate settore per settore. Per esempio ci si diffonde per sei pagine a descrivere le condizioni del “personale dell’Ufficio centrale degli Archivi notarili”, una ventina a magnificare le “politiche di digitalizzazione” notoriamente assai poco efficaci, almeno finora.

 

Non è dato sapere se Bonafede, se si fosse presentato in Parlamento per illustrare la relazione come ministro di un governo pienamente in carica, l’avrebbe accompagnata con un intervento politico. Così com’è, la relazione appare come un esercizio burocratico e contabile, evasivo sui temi più gravi dell’evidente crisi della giustizia. Sarà probabilmente l’ultimo atto del ministro, visto che appare assai improbabile una sua conferma in un nuovo governo. Da questo punto di vista si può dire che ha perso un’occasione, anche personale, di rivendicare la sua linea politica in modo da lasciarne almeno formalmente un segno ufficiale. Non ha avuto il coraggio di difendere una linea sbagliata, e nemmeno di correggerla e questo finisce con l’immiserire la sua statura personale oltre a quella politica.

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