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l'analisi

L’èra dei tassi alti è un guaio per i paesi indebitati, ma il rigorismo della Bce ora può essere arginato

Stefano Cingolani

La determinazione della Banca centrale europea sulla stretta monetaria pone vari dubbi. Ciò che è certo è che l'impatto quasi immediato sarà sul debito pubblico degli stati membri 

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La Bce ha aumentato ieri i tassi d’interesse (un altro mezzo punto percentuale) con una decisione presa a maggioranza con l’opposizione, ha ammesso Christine Lagarde, di 3-4 membri del board i quali “volevano più tempo per monitorare la situazione”. Le colombe hanno dispiegato le ali. La presidente non ha fatto nomi, ma non è difficile pensare a Italia, Grecia, Portogallo e Spagna.

 

Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, una settimana fa aveva mandato un chiaro messaggio ai falchi che insistono per aumenti continui e prolungati. E parlando il primo marzo a Francoforte aveva avvertito che “un eccessivo irrigidimento comporterebbe ripercussioni significative sull’attività economica, sulla stabilità finanziaria e, in ultima analisi, sull’andamento dei prezzi a medio termine”. 

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L’ultimo rialzo porta il tasso sui depositi al 3,5 per cento il livello maggiore dal 2008 con un incremento davvero brusco in soli nove mesi. I tassi erano negativi (-0,5 per cento) dal settembre 2019 fino al 27 luglio dello scorso anno quando sono stati portati a zero. Una stretta così forte e tanto rapida non s’era mai vista dal debutto dell’euro. Troppo e troppo in fretta? Si va avanti “a fari spenti nella notte” come ha detto Fabio Panetta, membro dell’esecutivo (citando Lucio Battisti)? L’inflazione è ancora troppo alta, ha dichiarato la Bce, e le banche della zona euro sono “resilienti, con forte dotazione di capitale e liquidità”, in ogni caso la Banca centrale è sempre pronta a fornire le risorse necessarie a impedire eventuali crisi.

 

Come ha fatto del resto la Banca centrale svizzera che ha prestato 50 miliardi di franchi al Credit Suisse comprando circa tre miliardi di debiti. Il titolo in Borsa ieri si è ripreso recuperando le perdite. Tutto bene, tanto rumore per nulla? La incrollabile determinazione della Bce lascia molti dubbi tra gli analisti e gli operatori di mercato. Sandra Phlippen capo economista della banca olandese Asbn Amro ha dichiarato al Financial Times che “ci siamo svegliati e abbiamo visto che un anno di alta inflazione e aumenti dei tassi hanno creato un ambiente ad alto rischio dove gli incidenti possono accadere”, anche se i fondamentali delle banche restano buoni.

 

La Bce ha scelto “la più rischiosa delle opzioni disponibili” secondo Jack Allen-Reynolds di Capital Economics. Adesso vedremo che cosa decideranno la Banca d’Inghilterra e la Federal Reserve la settimana prossima; la Banca centrale americana che prevedeva un rialzo dello 0,25 per cento, potrebbe ripensarci e sospendere tutto, in attesa che la situazione si chiarisca proprio come hanno chiesto ieri le colombe di Francoforte.

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La Bce ha ridimensionato le sue previsioni sugli aumenti dei prezzi per quest’anno: dal 6,3 per cento (stima del dicembre scorso) al 5,3 per cento, ma la discesa viene ritenuta troppo lenta, i tassi d’interesse reali (cioè al netto dell’inflazione) restano ancora negativi rendendo conveniente indebitarsi, quindi non è vero che il denaro costa troppo. È l’argomento che spinge i falchi a insistere nei rialzi, i quali verranno decisi sulla base dei dati, ha precisato ancora ieri la Bce. Quanto potrà durare questa rincorsa? E soprattutto la manovra dei tassi è davvero l’unica arma contro l’inflazione? Secondo le stime di Francoforte, l’anno prossimo i prezzi rimarranno superiori al mitico obiettivo del 2 per cento (dovrebbero salire del 2,9 per cento un po’ meno del 3,4 per cento stimato a dicembre).

 

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Ciò vuol dire che sia il sistema finanziario sia l’economia reale avranno davanti almeno un altro anno di tassi elevati. L’ottimismo della Bce sulla tenuta delle banche è compensato dalla volatilità delle borse, mentre la stretta influisce sulle aspettative delle imprese e spinge a rinviare gli investimenti, creando così un ambiente favorevole a un netto rallentamento della crescita. Ma l’impatto quasi immediato è senza dubbio sul debito pubblico che costerà di più soprattutto per paesi come l’Italia, senza dimenticare che ormai in media i debiti governativi nella zona euro sono al 93 per cento del pil con la Francia al 113 per cento, la Spagna al 115, il Portogallo al 120, l’Italia al 147 e la Grecia al 178.

 

I rischi, dunque, vengono anche dalle finanze statali non solo da quelle private. Molti evocano l’errore capitale commesso dalla Bce nell’aver rialzato i tassi nell’aprile 2011 mettendo fuori gioco non solo la Grecia già fallita, ma la Spagna e l’Italia. Un paragone che Christine Lagarde ritiene inattuale anche se lei allora era ministro delle Finanze con Nicolas Sarkozy all’Eliseo e non aveva apprezzato la decisione del suo connazionale Jean-Claude Trichet, presidente della Bce. Ora deve badare a non commettere gli stessi sbagli. 

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