Anche la Croazia ratifica la riforma del Mes, manca sempre e solo l'Italia

Luciano Capone

Prima si aspettava la Corte di Karlsruhe e poi la firma di Zagabria, che da ultima arrivata ha fatto prima di un fondatore come Roma. Il governo prende ancora tempo, ma ha finito le scuse. In Europa invece sta finendo la pazienza

Per l’Italia la situazione sul Mes inizia a essere un pochino imbarazzante, anche perché a Bruxelles e nelle altre cancellerie europee iniziano ad averne le scatole piene pur pronunciando pubblicamente la formula di rito sul rispetto delle procedure interne degli stati. Fino a pochi mesi fa, il governo italiano – per bocca del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – diceva furbescamente “aspettiamo con pazienza la decisione della Corte di Karlsruhe”, ovvero la ratifica della Germania. Poi a dicembre, dopo poca attesa, la sentenza è arrivata e così la ratifica di Berlino.

 

Allora, il governo italiano ha lanciato di nuovo la palla in tribuna affermando che “manca ancora la Croazia”, ovvero il paese che è entrato nell’Eurozona il 1 gennaio 2023. Ma anche questa scusa è durata poco, visto che Zagabria – appena entrata e in tempi rapidissimi – ha aderito al Mes e ratificato il trattato. Anzi, per essere più precisi, la Croazia di accordi ne ha approvati due: il Trattato che istituisce il Mes attualmente in vigore e anche il Trattato di riforma del Mes. Come certifica la pagina del Consiglio dell’Unione europea, pochi giorni fa, il 2 marzo, la Croazia ha firmato e depositato i documenti per aderire al Mes. E, come prevedono le regole dell’istituzione finanziaria con sede in Lussemburgo, Zagabria diventerà formalmente il ventesimo membro del Mes il ventesimo giorno dopo il deposito dei documenti presso il Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea, quindi il 22 marzo.

 

La Croazia, come detto, ha inoltre approvato anche la riforma del Mes, che entrerà in vigore solo quando tutti in paesi membri l’avranno ratificata. All’appello, quindi, manca solo Roma. Ciò vuol dire che fino al 22 marzo l’Italia sarà l’unico paese su 19 a impedire l’entrata in vigore del nuovo accordo, mentre dal 22 marzo in poi sarà l’unico su 20. Questo è il solo effetto di aver voluto “aspettare la Croazia”, che da ultima arrivata ha fatto prima di un paese fondatore dell’Eurozona e del Mes.

 

Eppure da parte europea avevano cercato di prendere con le buone il governo italiano. Per spingere Roma alla ratifica, il nuovo direttore generale del Mes, Pierre Gramegna, nominato a dicembre anche con l’appoggio del governo italiano, era volato a Roma per incontrare Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Nel colloquio, Gramegna aveva lasciato la porta aperta alla proposta di Meloni di rivedere il ruolo del Mes nell’architettura istituzionale e finanziaria europea, anche in vista della riforma del Patto di stabilità. Ma, logicamente, prima di discutere di qualsiasi nuova riforma deve arrivare la ratifica italiana a una riforma su cui tutti gli altri 19 paesi sono d’accordo. Pochi giorni dopo la visita a Roma, sempre a gennaio, Gramegna è volato a Zagabria per incontrare il ministro delle Finanza croato Marko Primorac, che promise una rapida finalizzazione delle procedure di adesione, operazione conclusa nei giorni scorsi.

 

Esaurite tutte le scuse, l’Italia continua a rinviare la ratifica del trattato senza più essere capace di fornire alcuna giustificazione: “Il tema ora non è all’ordine del giorno”, è la formula usata dal governo. Il problema, però, è che il tema potrebbe essere sollevato già al prossimo Eurogruppo del 13 marzo. E non si sa quali argomenti o rassicurazioni sarà in grado di fornire ai suoi colleghi il ministro Giorgetti. “In Europa sanno perfettamente che alla fine il Mes sarà ratificato, ma ci vogliono i tempi politici giusti”, dice un esponente del governo. Il problema è che i tempi lunghi del governo Meloni iniziano a far spazientire persino la burocrazia europea, che aspetta dall’Italia questa ratifica ormai da oltre due anni.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali