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La valutazione dell'esperto

Un anno di sanzioni alla Russia fa capire che ne servirebbero di più

Francesco Gottardi

L'economista Moll dice che le restrizioni fanno male poco all'Europa e molto al Cremlino. Si è ancora in tempo per rafforzare l'embargo sulle entrate di Putin e il metodo vincente sarebbe colpire di più l'export

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Ci sono da un anno ed è da un anno che se ne parla. Troppo pesanti, effetto boomerang, portano solo al caro bollette – giusto per citare qualche luogo comune. Eppure le sanzioni adottate dai governi europei per colpire la Russia si stanno rivelando efficaci, sebbene l’economia russa abbia evitato il tracollo. Non solo: fanno male a Mosca senza quasi intaccare il pil dei paesi europei. E quindi sarebbe opportuno avere più coraggio, inasprirle. Soprattutto colpendo le esportazioni russe di idrocarburi, perché è grazie agli altissimi prezzi dei beni energetici che fin qui il Cremlino è riuscito a sopravvivere e finanziare la guerra di logoramento in Ucraina.

 

A fare una valutazione su questi ultimi 12 mesi è Benjamin Moll, macroeconomista della London School of Economics, in un’analisi dal titolo “Sostenere l’Ucraina con le sanzioni è stato molto meno costoso di quanto previsto da molti: dovremmo fare di più” pubblicata dal Centre for Economic Policy Research. Lo studio di Moll si focalizza sull’andamento degli ultimi tre anni del pil della Russia e della Germania, scelta sia per il peso della sua economia sia per la sua forte dipendenza energetica da Mosca (in particolare per il gas). Il quadro è limpido: l’unico scossone dell’attività economica tedesca riguarda il 2020, durante la crisi Covid, con crollo del pil e successivo rimbalzo.

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Il 2022 evidenzia invece un andamento della crescita paragonabile ai livelli pre-pandemia: il quarto trimestre è il solo a registrare un lieve calo del pil (-0,2 per cento). Il taglio delle forniture, e il conseguenze aumento del prezzo del gas, hanno avuto un impatto del tutto marginale. Tutt’altra situazione invece per la Russia. Oltre a un analogo crollo del pil nel 2020, se ne riscontra un secondo quasi altrettanto notevole nel 2022. Quando Putin iniziò a invadere l’Ucraina e abombardare Kyiv, l’economia russa era in piena crescita dopo la crisi provocata dal Covid. Per effetto delle sanzioni il pil della Russia viene abbattuto del 5 per cento, con un crollo della spesa aggregata dei consumatori ancora superiore: 7,5 per cento. 

 

Secondo Moll i dati mostrano che i paesi occidentali hanno adottato, probabilmente per il timore di conseguenze controproducenti, un approccio molto prudente che ha fatto sì che alcune sanzioni, soprattutto quelle relative all’energia, entrassero in vigore poco e tardi, mentre il prezzo del gas russo è salito subito alle stelle. In questo modo, grazie agli introiti record generati dalle esportazioni, Mosca ha potuto continuare a finanziare l’invasione e assorbire lo choc relativo all’embargo.

 

L’Europa avrebbe dunque potuto fare di più? Dati alla mano, sì. L’allarmismo fomentato dalla politica – “Le sanzioni ci porteranno alla povertà e alla disoccupazione di massa”, era la preoccupazione della cancelleria tedesca un anno fa a quest’ora – ha contribuito ad adottare un approccio comune cauto e tergiversante. Eppure, fa notare l’economista, “quelle stime apocalittiche non si sono affatto verificate”. Poco importa che si prenda in esame la Germania e non l’Italia: da Salvini in giù il fronte degli scettici continua a proliferare anche da noi, ma l’andamento della crescita del nostro pil nell’ultimo biennio – e anche nelle proiezioni per il 2023 – è persino migliore rispetto alla Germania. E questo è il prodotto della buona, e per certi versi inaspettata, capacità di adattamento energetico da parte dei paesi occidentali che hanno ridotto il loro consumo di gas naturale del 25 per cento rispetto al biennio 2019-2021 (anche grazie alle condizioni climatiche favorevoli di questo inverno). Allo stesso tempo, la transizione verso nuove fonti di energia e fornitori del mercato globale si sta rivelando economicamente sostenibile. Per questo la scommessa di Putin sta fallendo.

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E l’Europa è ancora in tempo per fare di più, aumentando la stretta sulle entrate del Cremlino. Qualche suggerimento formulato da Moll: rafforzare l’embargo del petrolio russo, consolidando il meccanismo del price cap concordato fra i paesi del G7; abbassare il tetto al costo del petrolio, sulla falsariga di quanto elaborato dall’Ue per il gas naturale; implementare il price cap sui prodotti petroliferi appena introdotto dall’Unione europea. Il ragionamento è semplice, rispetto alla prima fase di sanzioni che hanno riguardato l’import russo bisogna colpire di più l’export: ogni euro in più pagato a Putin è un euro in più per la guerra in Ucraina. Ogni euro in meno, un giorno in meno alla fine della guerra.

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