La sfida dell'auto

Così l'Europa in grande difficoltà sull'elettrico cerca di reagire al piano di Biden

Ugo Bertone

Bmw, Volkswagen e Stellantis si preparano ad affrontare non solo l'avanzata delle auto elettriche cinesi ma anche la "sfida americana", che prevede contributi per l'acquisto delle sole vetture costruite in America 

O si reagisce adesso o presto sarà troppo tardi. Messa sotto pressione dagli aiuti di Washington al “buy American” e forse ancor di più dalla dipendenza tecnologica dalla Cina nell’auto elettrica (terre rare e batterie, in particolare), l’industria europea a quattro ruote cerca di reagire. In più direzioni. E’ di ieri la notizia che Bmw ha siglato un accordo per produrre i suoi veicoli di punta nell’impianto di Chu Lai in Vietnam gestito dalla Truong Hai allargando la sua rete di investimenti in Asia, che già conta partner in Thailandia ed in India. Poco meno di un mese fa era stata Stellantis a giocare la carta indiana. Per ora, con il solo obiettivo di attingere alle competenze (a basso costo) delle università indiane grazie a nuovo centro di software creato a Bengalore, nel Karnataka. Ma Carlos Tavares non ha escluso sviluppi ulteriori. “L’Europa per ora non è in grado di produrre veicoli elettrici a prezzi accessibili – ha detto –. Quindi la grande opportunità per l’India sarebbe quella di riuscire a vendere auto compatte EV a un prezzo accessibile, proteggendo la redditività”. Meglio l’India della Cina che sta per invadere l’Europa con le sue auto elettriche. Volkswagen, l’ammiraglia dell’auto del Vecchio Continente che vende più Audi nel Celeste Impero che in patria, non può condividere le preoccupazioni del ceo di Stellantis sulla Cina. 


Ma la sintonia è piena quando si parla della “sfida americana”, ovvero il pacchetto di investimenti per 369 miliardi di dollari spalmati in dieci anni che il Congresso ha votato lo scorso agosto per sostenere le energie rinnovabili. Più della metà di quei fondi (almeno 200 miliardi) finirà a sostenere lo sviluppo dell’auto elettrica, con un contributo di 7.500 dollari per veicolo. Quel che è peggio, però, è che i sostegni saranno riservati a vetture costruite sul suolo americano. Una minaccia insopportabile che colpisce l’auto europea, specie quella europea, in un momento di transizione molto delicato. La stessa Volkswagen, rivela Handelsblatt, si accinge a rivedere la strategia software, un settore che finora ha riservato più problemi che soluzioni. Ma la vera spada di Damocle riguarda le strategie industriali della vecchia Europa. “Per una volta – tuona via Linkedin il responsabile del marchio Volkswagen Thomas Schaefer – non voglio parlare di tecnologia o di nuovi prodotti ma della competitività dell’Europa e della Germania. Sono molto, molto preoccupato perché stiamo perdendo competitività. Gli Stati Uniti, il Canada, la Cina, il Sud-Est asiatico, addirittura regioni come il Nord Africa stanno accelerando il passo. Noi invece stiamo camminando sull’acqua. Sono molto preoccupato per l’attuale sviluppo degli investimenti nella trasformazione dell’industria” L’Europa affonda, ammonisce il manager. “Non siamo competitivi sul piano dei prezzi in molti settori. In particolare, stiamo perdendo sempre più il contatto con i costi dell’elettricità e del gas. Se non riusciremo a ridurre i prezzi dell’energia in Germania e in Europa in modo rapido e affidabile, gli investimenti in produzioni ad alta intensità energetica o in nuove fabbriche di celle a batteria in Germania e nell’Ue diventeranno praticamente irrealizzabili. La creazione di valore in queste aree avverrà altrove”. L’azienda leader dell’economia tedesca lancia così la minaccia della delocalizzazione, qualcosa di inconcepibile per la società tedesca, che finora riusciva a conciliare pace sociale in patria e redditività. 


Ed è questa la posta in palio nel confronto avviato ieri all’università del Maryland dove si sono incontrate, nell’ambito del Trade and Technology Council, le delegazioni di Washington e della Ue per la prima verifica sulle correzioni di rotta promesse da Joe Biden a Emmanuel Macron a proposito dei sussidi. Solo un primo contatto che non nasce sotto buoni auspici visto che il commissario Ue al mercato interno, Thierry Bréton, ha deciso di disertare il vertice con il Segretario di stato Anthony Blinken lasciando l’onere ai colleghi Valdis Dombrovskis e Margrethe Vestager che, peraltro, non la pensa come lui. Bréton mira a replicare a Washington con un pacchetto di aiuti al Buy Europe, con incentivi analoghi. Vestager, paladina dei consumatori e nemica giurata degli aiuti di Stato, la vede in maniera opposta. Intanto il gap si aggrava: secondo un report di Goldman Sachs per ridurre la dipendenza dalla Cina per le batterie dei veicoli elettrici occorrono investimenti fino al 2030 per almeno 160 miliardi di dollari (circa 155 miliardi di euro). Essenziali per ridisegnare filiere, trovare nuovi partner ed incentivare gli europei a comprare europeo. Mica facile.