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Egitto 2022

La COP27 parta da un assunto: finora abbiamo fallito su tutto

Chicco Testa

Le emissioni andranno analizzate a livello globale, in modo da rendendosi conto che i paesi fuori dall'area dello sviluppo continueranno ad aumentare le proprie, ma che le vere responsabili sono le nazioni più ricche che producono più inquinamento a livello pro capite

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L’ennesimo incontro, siamo arrivati alla COP27, questa volta in Egitto, dovrà prendere atto di un fallimento. Non solo rispetto agli obiettivi, i vari target di riduzione che ci si era prefissati, ma anche rispetto all’andamento reale delle emissioni totali che continuano a crescere nel mondo. Questo è l’unico dato che interessa, il resto sono chiacchiere e distintivi. L’effetto serra è un fenomeno che ha senso analizzare solo a livello globale. Poco importa, per capirci, se un paese riduce le sue emissioni se poi un altro le aumenta in misura maggiore. Quel che conta per i suoi effetti sul clima è il totale mondiale. Che è in continuo aumento e nel 2021 abbiamo fatto il record storico. Per dare un’idea delle quantità in gioco basti dire che dal 1990 a oggi è stata immessa nell’atmosfera una quantità maggiore di quella immessa in tutti i secoli precedenti. Ma vale la pena di capire più a fondo il perché dei fallimenti. Cosa che è impossibile fare se si guarda il mondo dal buco della serratura dell’Europa o peggio ancora dell’Italia.

 

Nel 2030 le emissioni totali europee peseranno per circa il 6/7 per cento e quelle dell’Italia, ben meno dell’1 per cento. I quattro quinti dell’umanità vivranno e lavoreranno fuori dall’area dei paesi sviluppati e le loro emissioni continueranno ad aumentare. Per un evidente motivo. Il loro sviluppo economico ha bisogno di enormi quantità di energia aggiuntive. Si continua a parlare della Cina come del più grande responsabile delle emissioni, ma ci si dimentica di osservare l’unico dato che conta, vale a dire quelle pro capite, che è ancora largamente al di sotto di quelle statunitensi. Per non parlare di paesi come India e Pakistan, di tutta l’Africa, le cui emissioni, come il loro pil, sono una frazione di quelle occidentali. E infatti il maggiore contributo all’aumento viene da quei paesi e dall’uso del carbone per la produzione di energia. La quantità totale di carbone utilizzato nel mondo è triplicata negli ultimi 40 anni, è raddoppiata dal 2000 a oggi e continua ad aumentare.

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L’Africa con 1,3 miliardi di abitanti ha consumi energetici pari al 6 per cento del totale mondiale. Coloro che cianciano di uguaglianza e di lotta al sottosviluppo, compresa l’Onu, pensano che la crescita energetica di questi paesi possa avvenire con la diffusione dei pannelli fotovoltaici, delle auto elettriche e dell’idrogeno? Tutte cose che per altro esigono a loro volta alti consumi di energia, capacità tecnologica e investimenti colossali. Dobbiamo allora rassegnarci? No, dobbiamo prendere atto che fino a ora si è sbagliato quasi tutto inseguendo una narrazione eurocentrica, dove l’Europa, o almeno una buona parte di essa, è la ztl del mondo. Il problema principale è come garantire quantità crescenti di energia alla maggior parte del mondo con emissioni ridotte. Un bel rebus. Che avrebbe bisogno prima di tutto di programmi di ricerca colossali per nuove tecnologie veramente capaci di fare il salto.

 

Fusione? Batterie? Sequestro della CO2? Le rinnovabili possono dare una mano, ma ancor più la può dare il nucleare al posto del carbone, vedi la Cina, il miglioramento dei rendimenti delle centrali termiche (comprese quelle a carbone), l’ammodernamento del parco veicoli circolante, fatto spesso da tuc-tuc pestilenziali. Cose poco romantiche, ma fondamentali. Che ci sia un elefante nella stanza dovrebbe essere evidente, e si chiama rapporto fra nord e sud del mondo. I 100 miliardi stanziati (e ancora non spesi) nell’ultima COP come aiuto rappresentano una frazione ridicola degli investimenti necessari valutati in migliaia di miliardi. Prendiamo atto che il centro dei problemi sta da un’altra parte. Sta in paesi che hanno ben presente anche un’altra cosa: che per fare fronte ai cambiamenti climatici e alle perturbazioni che porteranno è meglio essere ricchi piuttosto che poveri. E per essere sufficientemente ricchi ci vuole, ancora una volta, l’energia.   

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