Cattivi scienziati

Abbattere le emissioni inquinanti aiuta anche la produzione agricola

Enrico Bucci

Un nuovo lavoro su Sciences Advances osserva che il livello di verde nelle aree coltivate di tutto il mondo è negativamente correlato ai livelli di biossido di azoto, direttamente collegabile alle emissioni antropiche

Tra le specie chimiche maggiormente responsabili dei danni da inquinamento si annoverano gli ossidi di azoto. Si tratta di inquinanti primari, ovvero di molecole la cui presenza in atmosfera proviene direttamente dalle emissioni umane e che contribuiscono direttamente ad effetti dannosi di varia natura. Per comprenderne la dannosità, si consideri per esempio che l’immissione in atmosfera di una determinata quantità di protossido di azoto determina in un secolo un riscaldamento 300 volte maggiore di quello di una pari quantità di anidride carbonica. In aggiunta all’effetto primario, si consideri pure che il protossido di azoto è la sostanza maggiormente responsabile del consumo dello schermo di ozono atmosferico protettivo dai raggi UV.
Questi sono solo due fra gli effetti nocivi dell’emissione di vari ossidi di azoto, emessi da automobili, camion e vari veicoli non stradali (ad es. macchine edili, barche, ecc.) nonché da fonti industriali come centrali elettriche, caldaie industriali, forni per cemento e turbine.


Ora, quanto elencato dovrebbe già essere sufficiente a tutti a capire perché è assolutamente necessario abbattere le nostre emissioni inquinanti; ma, se non bastasse, il primo giugno è stato pubblicato un nuovo lavoro su Sciences Advances che presenta dei risultati estremamente interessanti per quanto riguarda la produzione agricola. Lobell e i suoi colleghi hanno combinato le misure satellitari del verde delle colture con quelle dei livelli di biossido di azoto per il periodo 2018-2020. Il biossido di azoto è fra le principali frazioni delle emissioni di ossidi di azoto. È visibile alla luce ultravioletta, il che ha consentito misurazioni satellitari del gas con una risoluzione spaziale e temporale molto più elevata rispetto a qualsiasi altro inquinante atmosferico. Inoltre, è emesso direttamente, e non è il prodotto di reazioni chimiche in atmosfera, ragion per cui il suo livello è direttamente collegabile alle emissioni antropiche. I ricercatori hanno osservato che il livello di verde in aree coltivate di tutto il mondo era negativamente correlato nel tempo ai livelli di biossido di azoto; la precisione delle misure è risultata tale, che hanno potuto stimare che ridurre le emissioni di ossidi di azoto di circa la metà migliorerebbe i raccolti di circa il 25 pèr cento per le colture invernali e del 15 per cento per le colture estive in Cina, quasi del 10 per cento per le colture sia invernali che estive nell'Europa occidentale, e circa l'8 per cento per i raccolti estivi e il 6 per cento per i raccolti invernali in India.


Analisi future potrebbero incorporare altre osservazioni satellitari, inclusa l'attività fotosintetica misurata attraverso la fluorescenza indotta dalla luce del sole, per comprendere meglio gli effetti del biossido di azoto durante la stagione di crescita. Allo stesso modo, un esame più dettagliato di altri inquinanti, come il biossido di zolfo e l'ammoniaca, così come le variabili meteorologiche, come la siccità e il caldo, potrebbero aiutare a spiegare perché il biossido di azoto colpisce le colture in modo diverso in diversi luoghi del mondo, anni e stagioni.
In ogni caso, le misure ottenute indicano chiaramente un ulteriore, sin qui imprevisto beneficio del taglio delle emissioni, particolarmente dei veicoli, attraverso diversi possibili processi di conversione energetica: la produzione agricola mondiale potrebbe essere più sicura e più florida, senza necessità di aumentare l’estensione di terre coltivate, il consumo di acqua e l’impiego di fertilizzanti.


Non solo: il progresso nel taglio delle emissioni, con la tecnica utilizzata dai ricercatori, potrebbe essere direttamente monitorato in tempo reale, guidando meglio anche il processo di conversione energetica, ottimizzando gli investimenti per la conversione nelle aree che potrebbero maggiormente beneficiarne.
Invece che affidarsi al cornoletame o alla ridicola omeopatia agraria, forse sarebbe meglio cercare di seguire le indicazioni che provengono dalla ricerca scientifica, utilizzando quest’ultima come uno strumento a disposizione di tutti, controllabile e di efficacia misurabile; e questo non perché sia sempre possibile rimediare ai danni che facciamo, come sostengono gli ingenui promotori e i propugnatori in mala fede di un progresso illimitato sempre pronto a salvarci dai nostri guai, ma semplicemente perché con altri metodi il fallimento è certo.

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