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La versione della Cna

La proroga della sospensione del Patto di stabilità è una brutta notizia per l’Ue

Sergio Silvestrini

La decisione della Commissione europea sottintende la volontà di ripristinare, quando possibile, la tradizionale struttura dei meccanismi che regolano l’Unione. Una visione miope rispetto ai nuovi orizzonti politici cui dovrebbe tendere il vecchio continente 

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La decisione della Commissione europea di prolungare alla fine del 2023 la sostanziale sospensione del Patto di stabilità e crescita è stata accolta nel nostro paese con un prevalente giudizio positivo. Ma una lettura più attenta evidenzia che la proroga si presta a una duplice interpretazione. Può indicare l’orientamento ad avere più tempo per rivedere le regole fiscali europee ma potrebbe rappresentare una pericolosa insidia per l’Italia e per le prospettive riformiste dell’architettura istituzionale dell’Unione europea. E osservando gli orientamenti dei partner il pendolo delle probabilità tende decisamente verso lo scenario pessimista. 
Una riforma del Patto di stabilità, l’ennesima, è fuori discussione. La crisi esplosa con la pandemia ha certificato la fragilità del sistema di coordinamento dell’Unione monetaria e di regole fiscali accumulate in vent’anni che si fondano su quattro variabili: deficit, debito, spesa e saldo del bilancio strutturale. La stessa Commissione europea poco prima della pandemia aveva avviato un dibattito pubblico sull’efficacia della sorveglianza economica.

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La decisione della Commissione europea di prolungare alla fine del 2023 la sostanziale sospensione del Patto di stabilità e crescita è stata accolta nel nostro paese con un prevalente giudizio positivo. Ma una lettura più attenta evidenzia che la proroga si presta a una duplice interpretazione. Può indicare l’orientamento ad avere più tempo per rivedere le regole fiscali europee ma potrebbe rappresentare una pericolosa insidia per l’Italia e per le prospettive riformiste dell’architettura istituzionale dell’Unione europea. E osservando gli orientamenti dei partner il pendolo delle probabilità tende decisamente verso lo scenario pessimista. 
Una riforma del Patto di stabilità, l’ennesima, è fuori discussione. La crisi esplosa con la pandemia ha certificato la fragilità del sistema di coordinamento dell’Unione monetaria e di regole fiscali accumulate in vent’anni che si fondano su quattro variabili: deficit, debito, spesa e saldo del bilancio strutturale. La stessa Commissione europea poco prima della pandemia aveva avviato un dibattito pubblico sull’efficacia della sorveglianza economica.

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A ben vedere la stupidità della rigidità delle regole (Prodi dixit) è stata sacrificata (dopo ben quattro interventi di manutenzione) sull’altare della flessibilità e della negoziazione tra stati membri e Commissione europea. La costante è che ogni crisi dall’inizio del terzo millennio ha reso necessaria la sospensione delle regole e successivamente una riforma delle stesse sempre orientata in modo manicheo a dividere le politiche fiscali dei singoli stati tra virtuose e viziose.
Uno schema di gioco fin troppo collaudato, i cui risultati sono assai miseri. La proroga della sospensione del Patto sottintende, quindi, la volontà prevalente di ripristinare la tradizionale struttura dei meccanismi che regolano l’Unione. Sarebbe un errore clamoroso, una visione miope e contraddittoria rispetto ai nuovi orizzonti politici cui dovrebbe tendere il vecchio continente dopo l’esperienza della crisi pandemica e alla definizione del ruolo dell’Europa sullo scacchiere geopolitico completamente ribaltato dalla guerra in Ucraina.
Sul primo punto, in particolare, non va disperso il patrimonio costruito nella gestione della pandemia. Alle istituzioni europee e ai singoli stati va riconosciuta una reazione efficace davanti allo choc, soprattutto in termini di innovazione della risposta. La grande novità è stata una positiva combinazione di politica economica che si è articolata su varie direttrici, ma il punto determinante è stato l’accentramento della politica fiscale, la vera discontinuità rispetto alle modalità con le quali sono state affrontate le precedenti crisi.


Una politica monetaria ultra-espansiva da parte della Bce ha consentito politiche fiscali accomodanti a tutti i paesi, anche quelli gravati da debito elevato come l’Italia. Su tale presupposto, l’Europa ha innescato una politica accentrata ed espansiva che si è concretizzata con il Next Generation EU e il programma Sure (programma di sostegno per attenuare i rischi di disoccupazione).
Il quadro è cambiato con la fiammata dell’inflazione che ha determinato un adeguamento della politica da parte della Bce che ha già avviato restrizioni monetarie che sono destinate ad accentuarsi dopo l’estate. Per mantenere l’efficacia della innovativa politica fiscale 2020-2021 nel fronteggiare gli effetti della guerra e i rischi di stagflazione, l’indebolimento del pilastro offerto da madame Lagarde andrebbe compensato con un rafforzamento della capacità fiscale. La risposta dovrebbe rendere strutturali i programmi comuni come Sure e Next Generation che in base ai trattati presentano il vincolo della temporaneità.
Una guerra all’interno dell’Europa, il rischio di un nuovo choc economico e sociale avrebbero dovuto favorire la ripetizione di programmi di intervento comuni coordinati dalla Commissione. E l’esigenza di scrivere le nuove regole imposta dalla scadenza alla fine dell’anno in corso era l’occasione perfetta per adottare decisioni vitali per il futuro politico, economico e sociale dell’Unione europea. 


Lo scenario non sembra suggerire di essere alla vigilia di un profondo cambiamento delle regole fiscali europee. Un segnale indicativo è stato il recente appello della Bce caduto nel vuoto. La politica monetaria, da sola, è impotente a contenere la preoccupante dinamica dei prezzi, ma resta cruciale il sostegno monetario e fiscale alla crescita economica. Invece le risposte agli effetti negativi del conflitto si caratterizzano per la mancanza di capacità fiscale centralizzata con la conseguenza di una serie di misure e interventi scollegati tra gli stati che risulteranno complessivamente inefficaci e soprattutto aumenteranno le divergenze tra i membri Ue. E nel 2023 si discuterà di nuove regole con spazi ristretti di capacità fiscale e pericolose divergenze sul principio di cessione di sovranità.
La proroga della sospensione del Patto rischia di essere  pertanto una pessima notizia per il futuro dell’Europa se prevarrà di nuovo la logica manichea di regole stupide per quanto flessibili. 
 

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Sergio Silvestrini
segretario generale Cna

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