Il mercato a due velocità e la Borsa si inventa la super league

Mariarosaria Marchesano

Debutta a piazza Affari l'indice che s'impegna a garantire il rispetto per l’ambiente, l’eliminazione di ogni discriminazione di genere e la responsabilità sociale. Segno della trasformazione etica del capitalismo? Meglio: indicatore della sua capacità di adattarsi ai tempi che cambiano

Arriva la super league della Borsa. Nasce un nuovo indice a Piazza Affari di cui entra a far parte un gruppo ristretto di grandi società, 40 delle 60 blue chip presenti sul listino – tra queste Eni, Enel, Moncler, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mediaset e Stellantis, solo per fare qualche nome – che s’impegna a garantire il rispetto per l’ambiente, l’eliminazione di ogni discriminazione di genere e la responsabilità sociale. Insomma, l’indice rispecchierà la quintessenza dello spirito del tempo che da alcuni anni in finanza viaggia sotto la sigla di Esg (acronimo che sta per Environment, social, governance). 

  

È la prima innovazione che ha introdotto il gruppo Euronext per caratterizzare il nuovo corso di Borsa italiana sotto la sua gestione spiegando, come ha fatto il ceo Stephane Boujnah, che il Mib Esg (questo il nome dell’indice) rappresenta “un contributo fondamentale alla crescente domanda di strumenti di investimento sostenibili da parte di investitori istituzionali e privati e del mercato nel suo complesso”. In buona sostanza, far sventolare la bandiera della sostenibilità sopra Piazza Affari nella fase della ripartenza post pandemica serve anche per attrarre liquidità che altrimenti in Italia rischierebbe di non arrivare. E questo per una scelta di campo fatta negli ultimi anni dal capitalismo finanziario mondiale – soprattutto dai grandi e ricchi fondi pensione americani e nord europei – di integrare tematiche sociali, ambientali e dei diritti umani direttamente nelle scelte di investimento.

  

Il motivo per cui ciò avviene non è perché il capitalismo è all’improvviso diventato “buono” ma perché si adatta allo spirito dei tempi capendo che l’indirizzo in tema di sostenibilità dato dall’Onu nel 2019 con il Global Compact non è oggetto di discussione e, comunque, avrebbe poco senso remare contro. Tantomeno per un gruppo come Euronext che a quel movimento ha aderito contribuendo a fissare i principi per i così detti “blue bond” (le obbligazioni legate alla sostenibilità dei mari). Perciò, dopo aver introdotto l’indice Esg per la prima volta alla Borsa di Parigi a marzo scorso, Euronext ha disegnato anche per Borsa italiana – ribattezzata Euronext Milano – il perimetro degli investimenti sostenibili sottolineando che il rispetto dei requisiti da parte delle società sarà verificato ogni tre mesi. Dunque, dal superindice si entra ma si può anche essere messi fuori.

  

Ma esiste il rischio che i capitali convergeranno su questo club esclusivo penalizzando chi non ne fa parte pur facendo business e profitti in modo totalmente legittimo? Il Foglio ha rivolto la domanda a uno dei gestori più dinamici e conosciuti di Piazza Affari, Massimo Trabattoni, responsabile azionario in Italia di Kairos, il quale paragona il cambio di paradigma in atto alla rivoluzione tecnologica degli anni Ottanta: “Chi non è stato al passo con i tempi sull’innovazione è uscito dal mercato”. Ma qui non si tratta di scongiurare l’obsolescenza di macchinari o di fare un salto nella digitalizzazione, ma di aderire a un sistema di valori e se uno si rifiuta rischia di diventare un’azienda di serie B, almeno per gli investitori. Non è così? “Questo rischio esiste nel breve-medio periodo, ma è a livello globale, mentre nel lungo termine prevarrà un effetto emulazione poiché questa è una strada da cui non si torna più indietro. Noi, per esempio, abbiamo avuto tra i nostri clienti un fondo sovrano che non investiva nelle aree geografiche e nei settori che non fossero Esg compliance, cioè non rispettassero criteri di sostenibilità e responsabilità sociale. Così le aziende perdono opportunità di crescita. Per questo dico che creare un indice ad hoc equivale a una presa d’atto di come stanno le cose”.

  

E come la mettiamo con il greenwashing, cioè con le campagne di marketing che puntano a dare l’etichetta verde a società che in realtà non lo sono? “Il greenwashing è destinato a essere un fenomeno transitorio, la verità sui comportamenti di un’azienda viene sempre fuori come dimostra il settore della moda che è stato il primo a sperimentare crisi reputazionali nel campo dei diritti umani e dell’ambiente, per esempio”. Ma lo spirito del tempo trionfa dappertutto. Tanto deve essere l’urgenza di eliminare il gender gap nelle banche, per esempio, che Banca d’Italia ha da poco introdotto la prescrizione di una quota di genere minima del 33 per cento per i cda di istituti non quotati e non soggetti alla legge nazionale in materia. 

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