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Una politica energetica comune per metterci al riparo dal caro bollette

Alberto de Filippis

Aumenta il prezzo del gas e di conseguenza quello dell'energia. A differenza degli altri paesi europei, l'Italia è uno dei più esposti e il governo promette che diversificherà le fonti. Ma il processo richiede tempo

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È cominciato tutto come una pallina di neve lanciata dal crinale di una montagna. La pallina si è gonfiata fino a diventare una spaventosa valanga. In meno di dodici mesi l’esplosione dei prezzi dell’elettricità ha provocato una crisi in tutta Europa che rischia di mettere in ginocchio intere economie e rovinare la vita di milioni di cittadini. Secondo dati della stessa Unione Europea, sono oltre 34 milioni le persone che nel vecchio continente soffrono di povertà energetica. Ovvero non riescono a pagare le bollette e a riscaldare a sufficienza le loro case. In Italia si è molto parlato di aumenti delle fatture fino al 40%, ma altrove non va meglio. In Spagna e Portogallo il prezzo del megawatt è pressoché triplicato rispetto a un anno fa. Le cause sono molteplici. La Commissione Europea vuole a tutti i costi far passare il suo green deal, e promette la neutralità climatica nel 2050, a qualsiasi costo, favorendo le auto elettriche e l’implementazione delle fonti di energia rinnovabile. Alcuni danno la colpa a questa politica per l’aumento dei prezzi. Costoro hanno torto. E hanno ragione. 

 

Esiste una serie di concause per cui i prezzi dell’energia sono schizzati alle stelle. Una di esse è l’aumento del prezzo del gas. Cosa c’entra? Il costo dell’elettricità oggi, dipende direttamente da quello del gas. Se aumenta l’uno, l’altra costa di più. 

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Raggiunto dal Foglio, Dimitri Vergne, capo del comparto Energia e Sostenibilità di Beuc, la maggiore associazione di consumatori europei, spiega: “L’aumento dei prezzi è legato direttamente alla transizione verde. Essa è troppo lenta. E’ vero che da quando l’economia cinese ha ripreso a pieno ritmo, la domanda è aumentata e con essa è salito il prezzo dell’energia, ma questo accade perché il passaggio alle rinnovabili è troppo lento. Bisogna elettrificare subito i trasporti e sostenere quei milioni di europei che non riescono a pagare le bollette con misure adeguate. Questo spetta ai governi farlo”. 

 

Come evitare che tanti patiscano il freddo lo spiega meglio Dennis Hesseling di Acer, l’Agenzia europea per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia: “Esistono misure pensate per proteggere i consumatori a basso reddito come il pacchetto energia pulita del 2019, fra quelle offerte, non poter tagliare le utenze ai consumatori che non riescono a pagare”.  Poi pero’, quando si tratta di spiegare i motivi di questi aumenti spaventosi, Hesseling aggiunge: “Viviamo in un’economia di mercato ed è chiaro che non possiamo controllare i prezzi. Chi vende preferisce offrire il suo prodotto a chi paga di più. Non dimentichiamo poi che esiste una politica comunitaria che vuole rendere le emissioni di CO2 più costose. Quindi se il gas aumenta, aumenta anche l’elettricità”. Tutto normale dunque? Si tratta solo del gioco domanda-offerta sfuggito di mano? Non proprio. Hesseling aggiunge: “Le forniture di gas europee provengono principalmente da Norvegia, Algeria e Russia. Questi paesi, malgrado l’aumento della domanda, non hanno aumentato la produzione per rispondere alle richieste. E’ un fatto un po’ strano. Inoltre le riserve di gas, che generalmente vengono implementate durante l’estate, non sono mai state storicamente così basse. Una delle soluzioni per abbassare i prezzi al consumo potrebbe essere quella di abbassare la percentuale di tasse, che puo’ variare dal 20 al 50 per cento, ma questo dipende dagli stati nazionali. Noi offriamo soluzioni, ma poi spetta ai vari stati membri decidere cosa fare”. 

 

Quello che Hesseling non puo’ dire è che il gas per riscaldamento e per la produzione di energia elettrica è diventato un’arma di pressione politica. Lo è sempre stato in passato, ma allo stato delle cose lo è diventato ancora di più. Alcuni stati pero’ fanno meglio di altri e riescono a calmierare i prezzi. L’Italia è ancora fra i peggiori allievi in questo senso. Di chi è la colpa?

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Parole molto chiare le dice Carlo Andrea Bollino, professore all’università di Perugia e alla Luiss di Roma: “Alcuni fornitori di energia fossile, cioè quella antiquata che dovremmo abbandonare, hanno cercato di forzare la mano per fare profitti oggi visto che domani saranno messi fuori mercato dalle fonti rinnovabili, ma vorrei dire qualcosa a proposito delle differenze fra i paesi europei”. Prego Professore. “I francesi producono elettricità per il 70 per cento con il nucleare che hanno in casa e che ormai è ammortizzato perché sono le centrali che hanno costruito negli anni 70/80. Quindi non subiscono fluttuazioni di prezzo. Già questo spiega perfettamente la differenza fra Italia e Francia. Se poi guardiamo la Germania, che sta rimettendo in funzione le centrali a carbone proprio per fare fronte alla carenza del gas ad alto costo, ecco che tutti hanno delle diverse composizioni delle materie prime energetiche che vengono utilizzate per generare energia elettrica, e noi capita che siamo i più esposti”. Oltre al fatto che alcuni paesi possono quindi ricorrere a fonti di energia che non si dovrebbero più usare, un’altra delle colpe di Bruxelles è quella di non essere stata capace di arrivare a una politica energetica comune. Si sarebbe potuto parlare con una sola voce e avere una forza contrattuale più forte quando si andavano a discutere le forniture con i paesi fornitori di gas. La Commissione europea però, sembra essere interessata ad altri temi al momento. Bollino aggiunge: “Sicuramente possiamo dire che aver portato avanti l’autorizzazione al gasdotto Nord stream 2, una visione bilaterale che non fa parte di una visione condivisa della Ue, ha indebolito la posizione dell’Europa come garante del bene comune a favore del mercantilismo di alcuni paesi forti come la Germania. Questo si lo possiamo imputare a Bruxelles: non ha avuto il coraggio di dire no alla Germania”.

 

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Tornando all’Italia, il Pnrr del premier Mario Draghi va nella giusta direzione: quella di una rivoluzione tecnologica che permetta la diversificazione delle fonti di energia, ma è un processo che richiederà anni per essere risolto e mai come in questo caso dovrebbe essere l’Unione Europea a fare un primo passo per cercare una soluzione comune e condivisa fra gli stati membri.  Nella “bolla di Bruxelles” dovrebbero iniziare a chiarire le vere priorità. 

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