crescita economica

Non siano i più fragili a pagare la transizione green, dice Cna

Sergio Silvestrini

Il caro bollette come spunto per discutere della transizione energetica

Le parole del ministro Cingolani, che ha preannunciato un rincaro delle bollette del 40 per cento, offrono l’occasione per affrontare con la massima consapevolezza il tema della transizione energetica a partire dalle istituzioni e dalle forze politiche, superando i facili slogan e mettendo da parte le illusioni che l’obiettivo di un pianeta a zero emissioni sia un processo rapido e dai costi modesti. Per la Cna, la crescita economica inclusiva e ambientalmente sostenibile rappresenta da tempo il nuovo paradigma dello sviluppo.


L’escalation dei prezzi dell’energia è spiegata da molti elementi: il ritmo sostenuto della ripresa economica che spinge al rialzo la domanda di gas da parte dei paesi, il consolidarsi di bolle speculative sui mercati finanziari, le quotazioni stellari degli Ets, le strategie geopolitiche nella ricerca di nuovi equilibri tra le potenze globali. Le ragioni che spingono i prezzi dell’energia dovrebbero pertanto rafforzare i due pilastri dell’azione per combattere i cambiamenti climatici dell’Unione europa: confermare l’ambiziosa agenda e il timing degli obiettivi per la decarbonizzazione, e rendere centrale la questione della transizione giusta ed equa. Sarebbe paradossale se la lotta ai cambiamenti climatici alimentasse un aumento delle disuguaglianze, tanto più dopo ciò che ha causato la pandemia. 

L’ultimo rapporto dell’Ipcc (il principale organismo delle Nazioni Unite per la valutazione dei cambiamenti climatici) spazza via qualsiasi tesi negazionista o riduzionista. Nel decennio 2011-2020 la temperatura media del pianeta è stata superiore di 1,09° C a quella nel periodo 1850-1900. Negli ultimi 50 anni la temperatura della Terra è cresciuta a una velocità che non ha eguali rispetto agli ultimi duemila e l’aumento medio del livello del mare ha avuto una velocità mai registrata negli ultimi tremila con un incremento di 20 centimetri rispetto al 1901. 

La leadership dell’Europa nelle politiche per la decarbonizzazione non deve avere ripensamenti, o peggio ancora fare spazio alla tentazione di diluire nel tempo gli obiettivi per ragioni di sostenibilità economica. Un gruppo di esperti del consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca ha elaborato un modello per disegnare tre scenari diversi di emissioni zero al 2040, 2050 e 2060 con prezzi per tonnellata di CO2 rispettivamente di 32, 52 e 93 dollari considerando il 2025 come anno di partenza. Spostando l’avvio al 2030 i prezzi raddoppiano con buona pace delle preoccupazioni sui costi della transizione.

Se gli scenari spesso non sono affidabili, i consuntivi non mentono ed è proprio l’Europa che può esibire risultati concreti per smentire la tesi che ridurre le emissioni significa sacrificare la crescita economica: dal 1990 a oggi le emissioni sono state ridotte del 23 per cento a fronte di una crescita del pil del 60 per cento. Anche se i paesi Ue producono soltanto il 9 per cento delle emissioni globali, non devono svilire il peso specifico dell’Unione in termini politici e scientifici e l’ampia gamma di strumenti per essere convincenti nei confronti dei grandi paesi energivori come Cina, India e Brasile. Se il comunicato finale del recente G20 sull’energia è nel complesso deludente, non va trascurato che uno dei temi più discussi sia stata la proposta europea Cbam (Carbon border adjustment measure), far pagare agli importatori il costo delle emissioni di gas serra su prodotti acquistati fuori l’Ue in modo progressivo, a partire da beni ad alta intensità di carbonio come cemento, acciaio e alluminio. Una misura che potenzialmente coglie due obiettivi: incentivare i paesi extra-Ue a ridurre le emissioni e alzare un argine contro le delocalizzazioni. Non è una semplice coincidenza che alcuni paesi abbiano annunciato obiettivi più ambiziosi in vista dalla prossima Cop26 di Glasgow. 

Il secondo fondamentale pilastro della decarbonizzazione è la “transizione giusta” che chiama in causa l’Unione europea ma principalmente le politiche nazionali, partendo dal semplice assunto che la transizione energetica non può prescindere dall’effettivo coinvolgimento della collettività e in particolare di artigiani, micro e piccole imprese, come ha evidenziato una recente accurata ricerca realizzata dalla nostra Confederazione insieme alla Fondazione Sviluppo sostenibile. Una giusta transizione deve raggiungere l’obiettivo della sostenibilità senza farne pagare il prezzo solo o soprattutto alle famiglie economicamente più vulnerabili. Due sono le direttrici principali: attenuare l’impatto sociale dei costi della transizione, che proprio in questi giorni si traduce nei rincari, e disegnare strumenti specifici per accompagnare la platea delle Pmi italiane nella riconversione sostenibile dei propri processi produttivi, consolidando la leadership italiane nelle fonti rinnovabili. 


Le Pmi nella manifattura e nelle costruzioni occupano l’87 per cento degli addetti e realizzano un fatturato di 661 miliardi, a fronte però del 15 per cento dei consumi finali di energia sul totale nazionale. Proprio quest’ultimo dato è significativo nella scelta di artigiani e piccole imprese verso investimenti green, pur in assenza di strumenti specifici di sostegno. Infatti soltanto un’impresa su quattro di quelle che ha realizzato interventi green ha potuto beneficiare di incentivi o agevolazioni per l’efficienza energetica e le rinnovabili. Da tempo il costo della bolletta energetica è tra i principali svantaggi competitivi delle nostre piccole imprese. Al netto dell’Iva il costo è quattro volte superiore a quello di una grande impresa e il 33,5 per cento in più rispetto alla media europea come emerge dall’Osservatorio annuale realizzato da Cna. Un intervento strutturale di revisione della fiscalità non è più rinviabile. Non si possono ridurre le emissioni premiando gli energivori e le fonti fossili. Allo stesso tempo, vanno individuate misure di sostegno specifiche e idonee per le Pmi in grado di spingerne gli investimenti. Senza trascurare la necessità di semplificare le complessità burocratiche per la realizzazione degli interventi e per l’accesso agli incentivi. E’ tempo che la transizione energetica esca dai salotti accademici e dai convegni e diventi terreno di confronto tra la politica e le forze sociali calcolando costi e benefici.


Sergio Silvestrini è segretario generale Cna

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