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No alle derive dello stato azionista. Parla l’ad di Banca Carige

Mariarosaria Marchesano

“Anziché entrare in banche e imprese lo stato si occupi di altro. L’aumento di capitale? Non c’è necessità”. Intervista a F. Guido

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Milano. “Banca del territorio è un termine oggi inflazionato, in realtà bisogna stare attenti che non diventi un alibi per coprire dei centri di potere a servizio di pochi. Una banca dovrebbe saper leggere e interpretare caratteristiche ed esigenze delle aree in cui opera e riversare su queste il suo progetto di crescita”. Parla Francesco Guido, nominato amministratore delegato di Banca Carige il 31 gennaio al termine di un difficile salvataggio. Il suo è stato un battesimo del fuoco e in un colloquio a trecentosessanta gradi con il Foglio racconta come sta affrontando il rilancio di una delle più antiche istituzioni creditizie d’Italia nel bel mezzo di una pandemia, che cosa si aspetta da uno scenario del credito in grande fermento e come vede la ripresa economica legata alla capacità di spesa di soldi che arrivano dall’Europa. “E’ stato un esordio duro – dice – non avevamo neanche avviato il rilancio operativo e commerciale che, come tutti, abbiamo dovuto inevitabilmente riesaminare le previsioni del piano. Oggi in Carige ci sono dighe sufficientemente alte per affrontare l’ondata Covid partendo da un Npl ratio, cioè il rapporto tra i crediti deteriorati e il totale degli impieghi, che è tra i più bassi in Italia ed in Europa. Siamo quindi perfettamente in linea con le regole fissate dalla Bce. Allo stesso tempo, abbiamo individuato nei decreti emanati dal governo per l’emergenza Covid la possibilità di inviare un segnale molto netto ai nostri territori: in Liguria è stata erogata liquidità pari a tre volte la quota di mercato detenuta dalla banca, che in passato, per le condizioni critiche in cui si trovava, aveva dovuto restringere il credito allontanandosi da famiglie e imprese. E lo stesso risultato stiamo registrando negli altri territori del paese in cui Carige è presente”. Niente aumento di capitale, dunque, come alcuni analisti avevano ipotizzato? “Non ne ravvisiamo la necessità”.

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Milano. “Banca del territorio è un termine oggi inflazionato, in realtà bisogna stare attenti che non diventi un alibi per coprire dei centri di potere a servizio di pochi. Una banca dovrebbe saper leggere e interpretare caratteristiche ed esigenze delle aree in cui opera e riversare su queste il suo progetto di crescita”. Parla Francesco Guido, nominato amministratore delegato di Banca Carige il 31 gennaio al termine di un difficile salvataggio. Il suo è stato un battesimo del fuoco e in un colloquio a trecentosessanta gradi con il Foglio racconta come sta affrontando il rilancio di una delle più antiche istituzioni creditizie d’Italia nel bel mezzo di una pandemia, che cosa si aspetta da uno scenario del credito in grande fermento e come vede la ripresa economica legata alla capacità di spesa di soldi che arrivano dall’Europa. “E’ stato un esordio duro – dice – non avevamo neanche avviato il rilancio operativo e commerciale che, come tutti, abbiamo dovuto inevitabilmente riesaminare le previsioni del piano. Oggi in Carige ci sono dighe sufficientemente alte per affrontare l’ondata Covid partendo da un Npl ratio, cioè il rapporto tra i crediti deteriorati e il totale degli impieghi, che è tra i più bassi in Italia ed in Europa. Siamo quindi perfettamente in linea con le regole fissate dalla Bce. Allo stesso tempo, abbiamo individuato nei decreti emanati dal governo per l’emergenza Covid la possibilità di inviare un segnale molto netto ai nostri territori: in Liguria è stata erogata liquidità pari a tre volte la quota di mercato detenuta dalla banca, che in passato, per le condizioni critiche in cui si trovava, aveva dovuto restringere il credito allontanandosi da famiglie e imprese. E lo stesso risultato stiamo registrando negli altri territori del paese in cui Carige è presente”. Niente aumento di capitale, dunque, come alcuni analisti avevano ipotizzato? “Non ne ravvisiamo la necessità”.

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A volere Francesco Guido a capo di Carige è stato il Fondo interbancario per la tutela dei depositi, principale azionista della banca con circa l’80 per cento del capitale, ritenendo che la sua esperienza di manager bancario del Sud (ha origini pugliesi e una carriera di 36 anni in Intesa Sanpaolo, dove è stato a lungo direttore generale del Banco di Napoli, ma ha anche ricoperto incarichi in alcune realtà del nord Italia) ne facesse la persona giusta al posto giusto. “Nei territori provati da crisi economiche ci vuole capacità di resistenza, resilienza, per dirla con una parola che di questi tempi va molto di moda, ma anche spinta allo sviluppo economico perché una banca non si identifica con il suo bilancio ma con la sua rete territoriale e con i suoi clienti e di cui dovrebbe sapere cogliere le esigenze. Insomma, direi che è l’ora di dire basta ai salotti finanziari e dare più spazio alla politica di progetto. La storia insegna: il Banco di Napoli è fallito perché era diventato un crocevia politico e Carige si era trasformata in un centro di interessi al prevalente servizio di pochi. Sostenere la crescita del sistema economico e produttivo è ben altra cosa”. Alcuni ritengono che in un’area come il Mezzogiorno l’unico modo per far nascere un polo creditizio sia avere un azionista pubblico. Francesco Guido conosce bene il contesto, che idea si è fatta? “Non credo sia una buona soluzione: invece di entrare nel capitale di banche e imprese, salvo ovviamente situazioni di reale emergenza, lo stato dovrebbe occuparsi di politica economica e industriale, di ricerca di base e innovazione perché il modo più efficace per favorire un mercato del credito in queste aree è migliorare le condizioni di contesto e favorire la cultura di impresa”.


“Il Banco di Napoli è fallito perché era diventato un crocevia politico e Carige si era trasformata in un centro di interessi al prevalente servizio di pochi. Sostenere la crescita del sistema economico e produttivo è altra cosa”. Il ritorno del titolo in Borsa? “Prematuro, sarà il cda a deciderlo non appena ci saranno le condizioni” 


 

Intanto, di fronte alla fragilità strutturale dell’economia italiana, e temendo l’impatto della crisi Covid sulle imprese, la vigilanza europea chiede alle banche di tenere sotto controllo i crediti deteriorati e favorisce la crescita dimensionale. E’ arrivata così dalla Bce un’indicazione precisa verso il consolidamento e una maggiore apertura al mercato che in alcuni casi, come quello di Intesa-Ubi, ma anche di Cattolica, ha generato uno scontro culturale tra diverse visioni. Che cosa ne pensa? “La creazione di grandi player non può essere contrastata né è pensabile una resistenza a oltranza verso la crescita dimensionale e l’evoluzione del settore del credito che deve affrontare diverse sfide, compresa quella della trasformazione digitale che richiede spalle larghe per essere sostenuto. Questo non vuol dire che si va verso un oligopolio perché lo spazio per banche di medie dimensioni c’è, ma bisogna sapersi riposizionare sui territori con formule innovative, senza slogan, concentrandosi sulla partecipazione al salto competitivo e produttivo del territorio e non sulla creazione di sistemi di potere locali”.

 

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Proprio Carige, tra l’altro, viene da una storia contrastata che ha visto l’ex socio di controllo, la famiglia genovese dei Malacalza battersi per non perdere il controllo della banca e di recente avanzare una richiesta di risarcimento danni di oltre 400 milioni di euro nei confronti della banca ligure, del Fondo interbancario e anche della trentina Cassa Centrale Banca, che oggi possiede il 9 per cento del capitale ma con una “call” per salire ulteriormente entro il 2021. E’ il passato che ritorna. Che cosa può succedere? “Come banca abbiamo classificato l’azione legale dei Malacalza come un rischio possibile ma non probabile. Ma noi abbiamo un futuro da costruire e guardiamo avanti, Carige ha delle enormi potenzialità che gli derivano proprio dalla sua storia e dal suo rapporto con il territorio ligure, ma questa storia va incanalata verso un nuovo progetto. Lo avevano già identificato i Commissari e lo confermo: il rilancio di Carige passerà attraverso il wealth management, e cioè la gestione della ricchezza privata, che tra l’altro va ben oltre la Liguria perché si estende anche ad altre regioni, prevalentemente del Centro Nord, e passerà attraverso il sostegno autentico alle piccole e medie imprese con potenziale di crescita. Questo è quello che faremo e presto potremo annunciare importanti novità contando anche sul fatto che per l’Italia arriverà la ripresa”.

 

Che tipo di impatto si aspetta dal Recovery Fund? “I pilastri di ogni progetto di sviluppo economico sono internazionalizzazione, innovazione, infrastrutture, capitale umano e produttività. A fare la differenza, sarà invece la capacità di esecuzione, nella cura degli interessi generali e non di quelli particolari, nella rinuncia a soluzioni spartitorie. Se l’Italia e ogni singola regione incrementasse la propria competitività e quindi i posti di lavoro, avremmo il massimo beneficio anche per il sistema bancario. Ogni banca potrebbe interrogarsi se essere termometro, e limitarsi a registrare il progresso, o termostato, e contribuire quindi a determinare quel progresso. Carige vuole essere un termostato”. E il ritorno del titolo in Borsa, che è sospeso dal gennaio 2019? “E’ prematuro, sarà il consiglio di amministrazione a deciderlo non appena ce ne saranno le condizioni, un contesto reso così incerto dalla pandemia non aiuta nella scelta, ma arriverà anche questo momento”.

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