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Le tre discontinuità che servono all’Italia per reagire al crollo del pil

Luciano Capone

Svolta necessaria sul lavoro, maggiore concorrenza, meno ostilità al mercato. Crescita italiana a -11,2 per cento

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Roma. I dati per l’economia non sono affatto positivi, per l’Europa e soprattutto per l’Italia. “Recessione più profonda delle attese e divergenze più ampie fra i paesi europei”, è la sintesi del commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, che ha presentato le previsioni della Commissione europea. Questi dati richiedono “l’approvazione urgente del piano di rilancio comune Next generation Eu”, dice Gentiloni. Secondo le previsioni della Commissione, quest’anno il pil dell’eurozona scenderà dell’8,7 per cento e quello italiano dell’11,2 per cento, il dato peggiore dell’Ue. L’economia italiana tornerà a crescere l’anno prossimo del 6,1 per cento ma “il pil reale non è destinato a tornare ai livelli del 2019 entro la fine del 2021”.

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Roma. I dati per l’economia non sono affatto positivi, per l’Europa e soprattutto per l’Italia. “Recessione più profonda delle attese e divergenze più ampie fra i paesi europei”, è la sintesi del commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, che ha presentato le previsioni della Commissione europea. Questi dati richiedono “l’approvazione urgente del piano di rilancio comune Next generation Eu”, dice Gentiloni. Secondo le previsioni della Commissione, quest’anno il pil dell’eurozona scenderà dell’8,7 per cento e quello italiano dell’11,2 per cento, il dato peggiore dell’Ue. L’economia italiana tornerà a crescere l’anno prossimo del 6,1 per cento ma “il pil reale non è destinato a tornare ai livelli del 2019 entro la fine del 2021”.

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Altri dati poco piacevoli, sempre nella giornata di ieri, sono arrivati sul fronte del lavoro dall’Ocse. L’Italia ha registrato uno dei maggiori cali di ore lavorate, pari al 28 per cento, tra i paesi dell’area Ocse. Le stime più ottimistiche prevedono un calo dell’occupazione di circa 3 punti e un aumento della disoccupazione che dovrebbe raggiungere il 12,4 per cento quest’anno, per poi scendere lentamente attorno all’11 per cento a fine 2011. Mancano già all’appello oltre 500 mila posti di lavoro e altri 700 mila rischiano di saltare entro l’anno: in pochi mesi sono stati bruciati i miglioramenti fatti dalla fine della crisi a oggi.

Non andrà tutto bene, quindi, e questo lo si era capito. Di fronte a questa pesante recessione, il governo ha risposto nell’immediato ampliando le reti di protezione sociale attraverso bonus, prestiti e sussidi, ma ora bisogna andare oltre per far ripartire l’economia.

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La proroga della cassa integrazione e del divieto di licenziamento non servirà a evitare la perdita di posti di lavoro, anzi come ha spiegato l’economista dell’Ocse Andrea Garnero (il Foglio del 1 luglio) rischia di pietrificare l’economia e rendere più vischiosa la ripresa. Allo stesso modo, mentre da un lato si proroga tutto, la scelta di non estendere la possibilità di rinnovare i contratti a termine in deroga al decreto “Dignità” contribuirà in maniera sostanziale a far perdere il posto di lavoro a tantissime persone (al momento i lavoratori con contratti temporanei sono circa 600 mila in meno). Una norma a costo zero, già annunciata dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e inserita nel “piano Colao”, che avrebbe consentito di rinnovare i contratti in scadenza. Senza questa possibilità, in una fase di recessione e di forte incertezza (legata sia all’economia che a una possibile seconda ondata), il destino di questi lavoratori è segnato: non sarà l’assunzione, ma la disoccupazione.

 

Una mossa positiva è lo sblocco, previsto dal decreto “Semplificazioni”, di 130 grandi opere del piano “Italia veloce” del ministero delle Infrastrutture per un valore di 200 miliardi in gran parte già finanziati. Si tratta di infrastrutture strategiche (Terzo Valico, Palermo-Catania-Messina, aeroporti, Pedemontana, Pescara-Roma, Gronda) che avranno un impatto nell’immediato e nel medio termine. La cultura del “no” alle grandi opere sembra ormai archiviata.

In attesa del Recovery fund e degli investimenti europei, ci sono molti provvedimenti a costo zero che potrebbero essere presi per alzare il tasso di crescita, ad esempio aumentando la concorrenza. Ma il capitolo liberalizzazioni è totalmente assente dall’agenda. Anzi, il governo ha scelto di prendere la direzione opposta: l’Antitrust ha segnalato diverse norme anticoncorrenziali introdotte con il Milleproroghe: rinvio del mercato libero sull’energia, estensione di alcuni rimborsi alle Poste, rinvio dell’obbligo di esternalizzare i lavori per i concessionari autostradali. A questa lista è stata appena aggiunta la proroga delle concessioni balneari. Non c’è gara, non c’è mercato, non c’è crescita.

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