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Abrogare l'antieuropeismo a 5 stelle per ottenere i fondi europei

Renzo Rosati

Dal No Tav allo sviluppo dell'alta velocità; dal No Mes ai fondi per la Sanità; dal No Ilva agli investimenti per Taranto. Così il Piano nazionale di riforme archivia il libro dei sogni del grillismo (e menomale)

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Il fiasco del Reddito di cittadinanza, certificato anche dal governo, non è l’unico esempio di rimozione del grillismo da combattimento – quello, cioè, del balcone di palazzo Chigi – contenuto del Piano nazionale di riforme (Pnr). Un documento che è frutto del lavoro del ministro del’Economia Roberto Gualtieri e dei suoi sherpa a Roma e Bruxelles, oltre che della supervisione del Quirinale, il tutto impreziosito dal linguaggio ecumenico di Giuseppe Conte con partecipazione quasi nulla della squadra di governo del Movimento 5 Stelle. D'altronde il Pnr – un elenco delle riforme a cadenza triennale che sempre accompagnano la variazione primaverile del Documento di economia e finanza (Def) slittato causa Covid – stavolta assumerà la forma del quasi omonimo programma di riforme, o Recovery plan italiano, destinato a ottenere all’Italia i miliardi del Next generation Ue: dalla credibilità del piano di riforme, insomma, dipenderà anche la possibilità del governo di vedersi concessi i sussidi e i prestiti con i quali Bruxelles cercherà di rilanciare l’economia europea post pandemia.

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Il fiasco del Reddito di cittadinanza, certificato anche dal governo, non è l’unico esempio di rimozione del grillismo da combattimento – quello, cioè, del balcone di palazzo Chigi – contenuto del Piano nazionale di riforme (Pnr). Un documento che è frutto del lavoro del ministro del’Economia Roberto Gualtieri e dei suoi sherpa a Roma e Bruxelles, oltre che della supervisione del Quirinale, il tutto impreziosito dal linguaggio ecumenico di Giuseppe Conte con partecipazione quasi nulla della squadra di governo del Movimento 5 Stelle. D'altronde il Pnr – un elenco delle riforme a cadenza triennale che sempre accompagnano la variazione primaverile del Documento di economia e finanza (Def) slittato causa Covid – stavolta assumerà la forma del quasi omonimo programma di riforme, o Recovery plan italiano, destinato a ottenere all’Italia i miliardi del Next generation Ue: dalla credibilità del piano di riforme, insomma, dipenderà anche la possibilità del governo di vedersi concessi i sussidi e i prestiti con i quali Bruxelles cercherà di rilanciare l’economia europea post pandemia.

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Si tratta allora di archiviare magari per sempre sia l’euroscetticismo dei 5s, che toccò l’apice nel governo gialloverde, sia il sentimento anti-industria e anti-infrastrutture incarnato allora da Danilo Toninelli e oggi molto annacquato nel successore di Luigi Di Maio allo Sviluppo, Stefano Patuanelli. Sul primo terreno l’esempio più macroscopico è proprio il Mes, la quota di miliardi per la sanità del fondo salva-stati contro la quale le seconde e terze linee dei grillini continuano a recitare il loro compitino a beneficio di telecamere, mentre i capi se ne stanno parecchio più cauti, rimettendosi appunto a Conte. Ebbene, nella bozza del Pnr ci sono 32 miliardi investimenti nel settore sanitario, appena meno dei 36 messi a disposizione dal Mes. Conte nel frattempo è partito per un giro nelle capitali del sud Europa, probabilmente per convincere il Portogallo e la Spagna (e forse perfino la Francia), a non lasciar sola l’Italia nel ricorrere al Mes; il problema è che entrambi i paesi iberici si finanziano agevolmente sul mercato per cui la convenienza è quasi nulla rispetto ai 500 milioni l’anno di interessi che risparmierebbe l’Italia, 5 miliardi in dieci anni.

 

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La sensazione è che “effettuata una attenta analisi dei costi e dei benefici e delle effettive condizionalità” per citare Di Maio, gli alleati del Pd si faranno convincere. Che cosa ci ricorda? Massì, il no alla Tav sempre in nome dei costi-benefici. Quella battaglia viene ora imputata al povero Toninelli, ma in realtà fu di tutto il Movimento e contro l’intero sistema di Alta velocità. Fu lo stesso Di Maio a sostenere, novembre 2018, che “l’Italia non aveva bisogno di altri supertreni veloci per viaggi business, quanto di potenziare le ferrovie regionali soprattutto al sud”. Ancora il 28 luglio 2019 il Blog delle Stelle, oltre a bersagliare “la Torino-Lione di Macron, Renzi, Berlusconi e la Boschi”, scriveva che l’Alta velocità in generale ha un consumo energetico elevatissimo, milioni di tonnellate di Co2 e particolato, più inquinante del trasporto autostradale”. Bene: nel Pnr sono previsti investimenti pubblici pari al tre per cento del pil destinati in gran parte ad estendere l’alta velocità a tutta Italia “in modo che Roma sia raggiungibile da qualsiasi punto di accesso in non più di 4,5 ore”. Naturalmente, parlando di investimenti, le 138 pagine della bozza non si fermano solo alle Frecce e agli Italo: si cita anche la digitalizzazione del paese sia pure in versione ridotta rispetto al piano Colao (voucher agli studenti per l’acquisti di pc) e internet a banda ultralarga in tutte le scuole. E spicca pure “l’Ilva decarbonizzata”, con buona pace di chi, sempre il Blog delle Stelle, ha scritto nel 2019 che “il futuro di Taranto è nel turismo, agricoltura, itticultura, archeologia industriale”. Posizione, questa, condivisa anche dal sottosegretario a Palazzo Chigi, Mario Turco

 

E della prima esperienza governativa 5s-Lega scomparirà probabilmente anche l’altra misura bandiera, imposta allora da Matteo Salvini: Quota 100 finirà al termine della sperimentazione (2021) per essere sostituita da misure previdenziali che tengano conto sia del tipo di lavoro svolto sia dell’effettivo ricambio generazionale. Cioè un requisito finora non contemplato e un obiettivo, il ricambio a favore dei giovani, fallito clamorosamente. Sulla previdenza, materia elettoralmente scottante, il governo è più vago che su altri punti, anche se Gualtieri sarebbe più tranchant. Però il documento si conclude con un impegno che difficilmente stavolta l’Italia potrà eludere: e cioè “la riduzione in dieci anni del debito attraverso la crescita, la riqualificazione della spesa pubblica, il miglioramento dei saldi di bilancio e del rapporto deficit/pil, e una nuova fase della spending review”. Promesse non nuove, certo (e tuttavia il 2019 si era pur concluso con il deficit all’1,6 per cento, livello più basso dal 2007). Ma stavolta, visto anche il meccanismo di accesso a tranche al Recovery fund europeo, non ci sarà più modo né per i 5 stelle né per altri populisti di festeggiare gli sforamenti di bilancio.

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