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L’effetto perverso del decreto “Dignità”

Redazione

I lavoratori a termine disoccupati non potranno essere riassunti. Che dice Di Maio?

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I lavoratori a termine che hanno perso il lavoro durante i due mesi della pandemia non possono essere riassunti. E’ un effetto perverso del cosiddetto decreto “Dignità” a suo tempo emanato da Luigi Di Maio, che se ne vantava come di una innovazione che avrebbe abolito forme odiose di sfruttamento. Quali che fossero le intenzioni, l’esito è del tutto diverso. Nel decreto più recente, quello intitolato “Rilancio” si era cercato di provvedere, con una norma che ha “sospeso” fino al 30 agosto il decreto “Dignità”, ma la formula specifica contenuta nel decreto finisce con l’annullare l’annullamento. L’articolo 99 sospende l’obbligo di indicare le “causali” per i contratti a termine, la formula che ne impediva il rinnovo. Sul piano generale è bene che questa norma capestro venga sospesa, e sarebbe meglio fosse definitivamente abolita. Ma una “manina” ha aggiunto una specificazione, quella che dice che questa sospensione vale solo per i contratti a tempo determinato “in essere” al momento della promulgazione del decreto. Se si tratta solo di una svista, basterà modificare due parole del decreto in sede di conversione, e così, anche se solo fino alla fine di agosto, gli effetti più deleteri del decreto “Dignità” saranno evitati. Se invece chi ha inserito la formula che limita ai contratti “in essere” la sospensione lo ha fatto con l’obiettivo politico di salvare la sostanza di una legge che ingessa il mercato del lavoro per motivazioni ideologiche, cambiare quel testo sarà difficile e così tanti lavoratori a termine non potranno essere riassunti, in una situazione in cui per i datori di lavoro sarà più semplice assumerne altri. Può sembrare un problema limitato ma non lo è, sia per le persone che si trovano in questa situazione, sia per una questione più generale: in una fase di gravi difficoltà per la ripresa produttiva sarebbe necessario abolire o almeno sospendere tutte le norme che ostacolano la fluidità del mercato del lavoro. Se invece si insiste a remare nella direzione opposta si accentuano artificiosamente i guai già terribili provocati dalla situazione generale.

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I lavoratori a termine che hanno perso il lavoro durante i due mesi della pandemia non possono essere riassunti. E’ un effetto perverso del cosiddetto decreto “Dignità” a suo tempo emanato da Luigi Di Maio, che se ne vantava come di una innovazione che avrebbe abolito forme odiose di sfruttamento. Quali che fossero le intenzioni, l’esito è del tutto diverso. Nel decreto più recente, quello intitolato “Rilancio” si era cercato di provvedere, con una norma che ha “sospeso” fino al 30 agosto il decreto “Dignità”, ma la formula specifica contenuta nel decreto finisce con l’annullare l’annullamento. L’articolo 99 sospende l’obbligo di indicare le “causali” per i contratti a termine, la formula che ne impediva il rinnovo. Sul piano generale è bene che questa norma capestro venga sospesa, e sarebbe meglio fosse definitivamente abolita. Ma una “manina” ha aggiunto una specificazione, quella che dice che questa sospensione vale solo per i contratti a tempo determinato “in essere” al momento della promulgazione del decreto. Se si tratta solo di una svista, basterà modificare due parole del decreto in sede di conversione, e così, anche se solo fino alla fine di agosto, gli effetti più deleteri del decreto “Dignità” saranno evitati. Se invece chi ha inserito la formula che limita ai contratti “in essere” la sospensione lo ha fatto con l’obiettivo politico di salvare la sostanza di una legge che ingessa il mercato del lavoro per motivazioni ideologiche, cambiare quel testo sarà difficile e così tanti lavoratori a termine non potranno essere riassunti, in una situazione in cui per i datori di lavoro sarà più semplice assumerne altri. Può sembrare un problema limitato ma non lo è, sia per le persone che si trovano in questa situazione, sia per una questione più generale: in una fase di gravi difficoltà per la ripresa produttiva sarebbe necessario abolire o almeno sospendere tutte le norme che ostacolano la fluidità del mercato del lavoro. Se invece si insiste a remare nella direzione opposta si accentuano artificiosamente i guai già terribili provocati dalla situazione generale.

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