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La nuova geopolitica del petrolio spiegata da Clò, Floros e Altomonte

Annalisa Chirico

La crisi, il crollo del prezzo e le conseguenze future

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Quali conseguenze avrà il tracollo del petrolio provocato dalla crisi? Per Alberto Clò, accademico e direttore della Rivista Energia, è la “cronaca di una morte annunciata. Non sappiamo quanto durerà ma nulla sarà più come prima. Non ci sono vincitori ma solo vinti. L’industria del petrolio americana rischia di soccombere: lo shale oil che nell’ultimo decennio ha reso possibile il raddoppio della produzione poggia su circa seimila piccole imprese altamente indebitate. Fino a quindici anni or sono, gli Usa dipendevano per l’approvvigionamento dal medio oriente con inevitabili conseguenze geopolitiche ma adesso che hanno raggiunto l’autosufficienza energetica non hanno alcun interesse a coordinarsi con gli altri. In situazioni di abbondanza c’è la tendenza a governare le relazioni internazionali in modo autonomo con il rischio di generare tensioni e conflitti”.

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Quali conseguenze avrà il tracollo del petrolio provocato dalla crisi? Per Alberto Clò, accademico e direttore della Rivista Energia, è la “cronaca di una morte annunciata. Non sappiamo quanto durerà ma nulla sarà più come prima. Non ci sono vincitori ma solo vinti. L’industria del petrolio americana rischia di soccombere: lo shale oil che nell’ultimo decennio ha reso possibile il raddoppio della produzione poggia su circa seimila piccole imprese altamente indebitate. Fino a quindici anni or sono, gli Usa dipendevano per l’approvvigionamento dal medio oriente con inevitabili conseguenze geopolitiche ma adesso che hanno raggiunto l’autosufficienza energetica non hanno alcun interesse a coordinarsi con gli altri. In situazioni di abbondanza c’è la tendenza a governare le relazioni internazionali in modo autonomo con il rischio di generare tensioni e conflitti”.

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Per Demostenes Floros, Senior energy economist presso il Centro Europa Ricerche, “le conseguenze peggiori investono gli Usa: il crollo del petrolio evidenzia le fragilità produttive e finanziarie della cosiddetta ‘Rivoluzione del fracking’. Oggigiorno gli Usa consumano 20 milioni di barili al giorno e ne producono 13 di cui 9 di shale oil. Secondo diversi analisti, il crollo del prezzo potrebbe farne sparire, in un colpo solo, ben sei milioni”. Il crollo del Wti a -37 riguarda i contratti futures di maggio ma chi acquista lo stesso petrolio con i futures di giugno deve pagarlo 20 dollari. “Chi estrae il greggio non sa più dove metterlo, perciò paga chi viene a prenderselo. L’hub di Cushing in Oklahoma è quasi pieno, e il problema degli stoccaggi è molto più gravoso per gli Usa che per il sistema euroasiatico. L’accordo Opec+ comincerà a vedere gli effetti di un’offerta ridotta, gli Usa invece non hanno un mercato di sbocco”. La domanda cinese potrebbe assorbire il petrolio russo in eccesso? “La domanda cinese, che a marzo è tornata a salire, potrebbe toccare presto i livelli di gennaio quando ha superato i 14 milioni di barili al giorno. Probabilmente Russia e Cina rafforzeranno il loro asse strategico: entrambi i paesi hanno dimostrato, con il soft power, che l’Italia potrebbe beneficiare, dal punto di vista economico-commerciale, di un’alleanza che non comporta la necessità di abbandonare la Nato. L’Italia potrebbe essere un ponte tra gli Usa di Trump e l’asse euroasiatico”. L’accordo del 12 aprile tra Arabia saudita e Russia per una riduzione della produzione si è rivelato insufficiente. “Non era possibile fare di più. Mosca ha un vantaggio: esporta sia verso l’Europa che verso la Cina. Pechino non smetterà di importare da Arabia Saudita e Angola, senza abbandonare il petrolio iraniano, a dispetto delle sanzioni Usa”.

 

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A sentire Carlo Altomonte, professore di Economia all’Università Bocconi, “se il mercato è così negativo difficilmente i prezzi torneranno a salire. Il mercato sta anticipando il buco in cui l’economia globale si è infilata, perciò non va sottovalutato il rischio di contagio per il settore del credito. I paesi emergenti esportatori di greggio, come Indonesia, Brasile, Nigeria e Venezuela, dovranno confrontarsi con un debito eccessivo, in dollari, nel settore corporate. Il cigno nero è rappresentato dal rischio che una crisi del debito privato si sommi alla caduta economica provocata dal Covid-19”. Gli Usa, con lo shale oil fuori mercato sotto i venti dollari al barile, potrebbero dover rivedere l’intera strategia energetica. “Nel breve periodo i diversi produttori di petrolio si sono impiccati da soli: l’accordo di aprile era destinato a fallire perché la contrazione della produzione necessaria per compensare l’effetto pandemico doveva essere talmente massiccia da non risultare economicamente sostenibile. La Russia poi estrae petrolio soltanto nel periodo che va da marzo a novembre. La Cina, principale importatore mondiale di petrolio e gas naturale nonché l’economia meno danneggiata dal virus, metterà da parte i suoi propositi green per sperimentare il rebound più rapido comprando petrolio a prezzi ridotti. Russia e Cina rafforzeranno un legame strategico”.

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