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Dopo il Pepp della Bce, quello che ancora manca alla politica economica europea

Tommaso Monacelli

L'Eurotower dimostra, ancora una volta, di essere l’unica istituzione paneuropea. Ora serve una risposta della Commissione Ue

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Gli effetti macroeconomici della pandemia da Covid-19 rischiano di essere significativi per l’economia europea. Colpisce che ancora una volta, come avvenuto durante la crisi del 2011, sia la Banca centrale europea (e non la Commissione) a ergersi a unica vera istituzione pan-europea dell’Unione nel tracciare una linea di intervento difensivo.

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Gli effetti macroeconomici della pandemia da Covid-19 rischiano di essere significativi per l’economia europea. Colpisce che ancora una volta, come avvenuto durante la crisi del 2011, sia la Banca centrale europea (e non la Commissione) a ergersi a unica vera istituzione pan-europea dell’Unione nel tracciare una linea di intervento difensivo.

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Gli interventi della Bce sono stati principalmente due. Innanzitutto una estensione del programma (cosiddetto Tltro) per fornire liquidità alle banche a condizioni ancora più favorevoli, tali da rendere più conveniente per le banche stesse estendere credito alle imprese piuttosto che tenere parcheggiata la liquidità presso la Bce.

 

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A questo è seguito l’annuncio, roboante, del cosiddetto programma Pepp (Pandemic emergency purchase programme), che ha l’ambizione di intervenire con acquisti fino a 750 miliardi nel mercato dei titoli di Stato. Rispetto al già consolidato easing quantitativo (Qe), entrato nell’arsenale della Bce durante la crisi finanziaria del 2011, il Pepp ha tre novità importanti. Prima di tutto la cornice retorica: la Bce è pronta “a fare qualsiasi cosa” all’interno del proprio mandato per limitare le turbolenze sui mercati e permettere un funzionamento normale della politica monetaria. Il che vuol dire di fatto che i 750 miliardi sono solo una clausola formale. Il messaggio ai mercati è che la Bce è pronta ad acquisti potenzialmente illimitati. In secondo luogo la tipologia di asset che possono essere acquistati: non solo titoli di Stato, ma anche titoli del mercato di “commercial paper”, che è un mercato di finanziamento a breve termine per le imprese, nel quale cominciavano a manifestarsi segnali di incremento del premio al rischio richiesto dai creditori. Questa misura rende più facile per le imprese finanziarsi direttamente sul mercato senza passare dalle banche.

  

L’erogazione di credito a brevissimo termine, al di fuori del circuito bancario, è in questa fase di importanza cruciale. Con l’attività economica in brusca frenata, le imprese necessitano di liquidità che permetta loro di pagare fornitori e stipendi. Questa liquidità è decisiva per evitare fallimenti, soprattutto delle imprese medio-piccole (le grandi imprese riescono normalmente a galleggiare meglio nel breve periodo, grazie a propri mercati dei capitali interni). Diversamente, gli effetti indiretti sulle famiglie si sentirebbero immediatamente, con imprese che non pagano stipendi, e che cercano di far fronte ai loro pagamenti semplicemente tagliando sul personale.

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Il timore è che le misure della Bce a salvaguardia delle banche (Tltro) non riescano a sostenere abbastanza la strutture delle piccole imprese che sono la spina dorsale di molti paesi dell’eurozona, a iniziare dall’Italia. In questi paesi, il meccanismo di trasmissione del credito dalle banche alle imprese è in molti casi farraginoso e lento, risultato di un struttura organizzativa e di un livello di efficienza delle banche molto eterogeneo tra stati membri. Il grado di efficienza del sistema bancario in Italia, al di fuori delle due o tre maggiori banche, è a tal proposito una notorio tasto dolente.

 

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In terzo luogo, il Pepp introduce un sostanziale superamento delle quote di capitale (capital keys), che costringevano la Bce ad acquisti di titoli di Stato di un paese membro solo in proporzione alla quota del paese stesso nel capitale della Bce. E’vero che le quote di capitale sono ancora formalmente presenti nel Pepp, ma si tratta di una formalità di facciata. La Bce ha esplicitamente dichiarato che la distribuzione degli acquisti tra paesi sarà attuata in modo flessibile.

 

Di questi tre elementi, paradossalmente, il più importante è quello “retorico”. La locuzione “Bce pronta a fare qualsiasi cosa” cela l’obiettivo di evitare il pericolo principale che ha reso la crisi del 2011 esiziale per la sopravvivenza dell’euro: il circolo vizioso tra rallentamento dell’economia, crescita degli spread sui titoli di Stato, e aggravarsi dei bilanci delle banche.

 

Con il Pepp la Bce intende costruire una cornice di sicurezza che permetta, certamente, ai mercati finanziari di continuare a fornire liquidità alle imprese in modo fluido. Ma soprattutto ai governi dell’Eurozona di intervenire con piani di espansione fiscale (si spera spesa sanitaria e trasferimenti a imprese e famiglie, più che cantieri pubblici) che necessariamente comporterebbero forti aumenti del debito pubblico, e perciò il rischio di un’ascesa pericolosa degli spread per paesi ad alto debito come l’Italia.

 

Siamo di fronte a un “whatever it takes” versione due dunque? Temo solo parzialmente. Affinchè la formula che ha reso celebre Mario Draghi funzioni nuovamente è essenziale aggiungere un nuovo capitolo alle innovazioni di politica economica in Europa: il coordinamento tra politica monetaria e fiscale. Da un lato i governi dell’Eurozona dovrebbero annunciare, simultaneamente, programmi di espansione fiscale volti a salvaguardare la continuità nei flussi di reddito di imprese e famiglie. Dall’altro, e congiuntamente, la Bce dovrebbe dichiarare che giudica opportune da parte di tutti i governi della zona euro le misure fiscali stesse. E che data la cornice di sicurezza definita con il Pepp, se attuate in modo coordinato tra paesi, non c’è ragione di immaginare che tali interventi possano generare alcuna turbolenza sul mercato dei titoli di Stato. In questo quadro per ora ipotetico manca per ora in modo assordante il secondo attore protagonista: la Commissione europea.

 

Tommaso Monacelli, Università Bocconi

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