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Il coronavirus colpisce il lusso

Mariarosaria Marchesano

Per colpa del virus il “travel retail” diminuirà con impatto negativo sul settore. Riflessioni e analisi

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Milano. Nel 2003, ai tempi della Sars, i consumatori cinesi rappresentavano meno del 10 per cento della domanda di beni di lusso a livello globale. Oggi rappresentano il 33 per cento perché, nel frattempo, il paese è cresciuto aumentando la capacità di spesa delle classi sociali più agiate che nei loro viaggi-shopping in Europa fanno incetta di scarpe, borse e accessori griffati. Secondo una ricerca di Mediobanca Securites, il “travel retail” cinese rappresenta tra il 5 e il 10 per cento delle vendite ed è uno dei canali più in rapida crescita nel settore del lusso. Una drastica riduzione dei viaggi all’estero – come contromisura alla diffusione del coronavirus – avrebbe un impatto sui bilanci dei produttori del settore che sarebbe solo in parte controbilanciato dalla crescita del canale digitale.

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Milano. Nel 2003, ai tempi della Sars, i consumatori cinesi rappresentavano meno del 10 per cento della domanda di beni di lusso a livello globale. Oggi rappresentano il 33 per cento perché, nel frattempo, il paese è cresciuto aumentando la capacità di spesa delle classi sociali più agiate che nei loro viaggi-shopping in Europa fanno incetta di scarpe, borse e accessori griffati. Secondo una ricerca di Mediobanca Securites, il “travel retail” cinese rappresenta tra il 5 e il 10 per cento delle vendite ed è uno dei canali più in rapida crescita nel settore del lusso. Una drastica riduzione dei viaggi all’estero – come contromisura alla diffusione del coronavirus – avrebbe un impatto sui bilanci dei produttori del settore che sarebbe solo in parte controbilanciato dalla crescita del canale digitale.

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La Cina è diventato un fondamentale mercato di sbocco anche per molte aziende italiane che negli ultimi 10-15 anni hanno concentrato su questo mercato le vendite estere. E la strategia ha funzionato perché, per esempio, durante il periodo di massima incertezza politica del governo giallo-verde, l’unico comparto di Piazza Affari che è riuscito a salvarsi dalle perdite è stato proprio quello del lusso grazie alle esportazioni sui mercati asiatici che hanno contribuito a gonfiare il surplus commerciale del paese. Mentre soffrivano le imprese manifatturiere e di beni di consumo legate prevalentemente alla domanda interna, guadagnavano soprattutto quelle esportatrici salvando, praticamente, l’Italia dalla recessione. Ebbene, la forza di questo “cuscinetto”, che consente all’Italia di poter contare almeno su una stima di crescita dello 0,5 per cento nel 2020, rischia di affievolirsi a causa di un’epidemia di cui non si vede ancora il picco, generando incertezza e nervosismo sui mercati. Stando agli ultimi dati forniti dal governo cinese, il coronavirus ha provocato 106 morti mentre i casi di contagio sono oltre 4.500. La diffusione del contagio, che ha portato l’Organizzazione mondiale della sanità definire il livello di rischio di diffusione come “elevato” preoccupa gli investitori per i suoi effetti sull’economia mondiale: le prime stime indicano un impatto sul pil cinese tra 1 e 1,5 punti percentuali, che è destinato a riflettersi nella domanda di consumi e sui viaggi fuori dalla Cina, il cui obiettivo è spesso proprio lo shopping.

 

 

E’ presto per dire se e in che misura ci saranno ripercussioni sull’economia italiana, ma tutto questo ha sicuramente peggiorato la percezione del rischio del settore dei manufatti di marca a livello europeo, di cui Italia e Francia rappresentano i principali paesi produttori. Gli analisti finanziari mettono in evidenza come la valutazione dell’impatto dipenda sostanzialmente dai modelli di business delle singole società e, nella sostanza, dal grado di esposizione verso il mercato cinese. Ferragamo, Prada e Tod’s, secondo Mediobanca Securities, potrebbero essere tra i player più esposti al rischio virus per l’elevata concentrazione geografica delle vendite nel paese, mentre lo sono meno LVMH “grazie a una diversificazione aziendale equilibrata” e Brunello Cucinelli per la sua strategia “difensiva”, anche se proprio l’imprenditore umbro ha scritto una lettera aperta di solidarietà e ringraziamento alla Cina.

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Ieri, il gruppo Ferragamo ha annunciato i risultati del 2019 dai quali emerge un aumento del 14 per cento delle vendite nel paese, rallentate, però, nell’ultimo trimestre dai disordini a Hong Kong, segno della crescente esposizione all’incertezza dell’area. Mentre il patron di Louis Vuitton, Bernard Arnault, nel commentare la straordinaria crescita di ricavi e utili lo scorso anno, ha detto che “in un contesto geopolitico incerto” il 2020 sarà affrontato con “prudente fiducia”. Secondo un’analisi di Ubs, i produttori più esposti alla pandemia cinese sono Swatch, Richmond e Prada proprio a causa della prevista riduzione degli acquisti durante i viaggi a scopo di shopping. Per Ubs il caso del coronavirus viene paragonato in modo improprio alla Sars anche se per le sue caratteristiche scientifiche ci assomiglia, perché l’impatto sull’economia potrebbe essere di diversa portata per la maggiore incidenza della domanda cinese e perché nel 2003 il ciclo mondiale mostrava i primi segni di ripresa dopo la bolla delle dotcom e la fine della guerra in Iraq. Non come oggi che è ancora in rallentamento.

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