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La recensione

L’esordio maturo di Beatrice Salvioni, destinata a scalare le vette editoriali

Valentina Berengo

Il racconto dell'amicizia di Francesca e Maddalena, coesione e collaborazione di due ragazze contro un mondo ostile, superstizioso e sessista

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Quando un romanzo esce con le premesse toccate in sorte a "La Malnata" di Beatrice Salvioni (Einaudi) la strada è necessariamente, in un qualche punto, in salita. Si tratta infatti di un esordio in corso di traduzione in più di trenta paesi e in procinto di diventare anche una serie televisiva: bissare un successo del genere sarà per Salvioni davvero impegnativo, e forse lo sarà anche solo tener testa alle aspettative in termini di vendite  e di gradimento del pubblico: il romanzo è però entrato subito in classifica.

 

Gli ingredienti  ci sono tutti: una scrittura fluida e matura, fatta di trama e di immagini veloci, scardinate dal senso comune ma fortemente legate a un periodo storico, quello del Ventennio, che il lettore ha inscritto nel dna anche se non lo sa, e soprattutto il racconto – per fatti – delle relazioni umane. Nessuno però, dopo "Lila e Lenù" di Ferrante, potrà mai riuscire a descrivere un’amicizia femminile nata nel tentativo di resistere agli assalti dell’esistenza e che funziona come quella simbiosi vegetale che Durastanti ne "La straniera" dice venire “accolta come un miracolo della natura” mentre “quella tra esseri umani come una colpa”, senza che il lettore pensi proprio a "Lila e Lenù" di Ferrante. Questo accade quando si legge la storia di Francesca, l’io narrante, e di Maddalena, la Malnata, la strega, da cui Monza intera nel 1935 si tiene distante perché “dire il suo nome portava sfortuna, [era] una di quelle che ti appiccicano addosso il respiro della morte, […] aveva il demonio dentro”. Le due ragazzine si attraggono irrimediabilmente, come se qualcosa le chiamasse vicendevolmente, e in quel richiamo si origina la storia, come se il mondo fuori di loro prendesse forme e colori diversi perché all’improvviso è visto da quei quattro occhi, due dei quali custodiscono il mistero. Francesca dice: “Era la prima volta che qualcuno mi fissava […] e sembrava dirmi: ‘Ti ho scelta’”. In questo senso "La Malnata" è una storia che declina il femminile, l’indicibile, che si disvela a mano a mano che Francesca comprende sempre meglio le cose del mondo, e lo può fare perché, andando incontro a Maddalena e al suo universo, si mette in una posizione da cui la prospettiva su tutto il resto – la famiglia, la scuola, i maschi, la città, l’Italia (fascista) – appaiono senza didascalie rassicuranti. “Le cose che mi spiegava la Malnata” racconta “erano semplici e misteriose insieme, come la rotazione dei pianeti o la formazione delle montagne, ma ricoperte della vergogna e della reticenza dei grandi, che le rendevano proibite, clandestine, e per questo interessanti”. "La Malnata" è, come "L’amica geniale", un Bildungsroman e un inno all’amicizia e al suo potere dirompente. Ma le analogie con la quadrilogia di Ferrante non si fermano, perché investono anche la dimensione corale del racconto che infatti include fratelli, sorelle, madri, fidanzati, professori, compagni eccetera, ma quell’eco (che resta anche all’ultima pagina, in cui la storia non finisce e pare suggerire ci possa essere un seguito) è la riprova di quanto l’esordio di Salvioni sia completamente maturo e decisamente capace di confrontarsi con long seller che hanno mosso critica e pubblico per anni.

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Unico controcanto: di fronte a tanta matura capacità manca l’asprezza degli esordi, che dietro all’imperfezione nascondono quella nota stonata capace, a volte, di restare impressa per sempre nella testa.

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