Ezra Pound a Rapallo (Olycom)

Incontri a Parigi

L'apprendistato con Ezra Pound da cui prese vita "The waste land"

Giulio Silvano

Filippo Tuena ne "La voce della Sibilla" racconta l'incontro nella capitale francese dei due poeti. T. S. Eliot descrisse il poeta americano come "il miglior fabbro", in merito al lavoro di revisione che venne fatto sulla sua opera, che poi gli dedicò

Un vero peccato che il nome di Pound abbia una presenza nelle cronache italiane per via del movimento ultranazionalista antieuropeista di matrice fascista e non per l’opera poetica di Ezra, a cui T.S. Eliot, futuro Nobel, dedicherà la sua opera più influente, “La terra desolata”. Povero Pound, ridotto a un’etichetta ideologica, a un simulacro di spirito di potenza. “Che l’uomo si dimeni follemente o rimanga seduto in una poltrona, il risultato sarà alla fine sempre lo stesso: la sua vita sembrerà un sogno, come un sogno trascorsa, come un sogno dimenticata. Giudicare una vita è dunque giudicare un sogno; e chi ha voluto giudicare la vita di Ezra Pound diventa inconsapevolmente una delle figure del suo sogno”, scriveva Wilcock.

 

Il miglior fabbro, lo chiama Eliot, in italiano dantesco. Un fabbro è un artigiano che usa la forza e le scintille, sempre immerso nel calore infernale di una fucina, dimensione di rumori assordanti. Il viaggio nell’apprendistato di Eliot ci viene raccontato in una dimensione storico-onirica da Filippo Tuena, vero nerd delle atmosfere formative, del dettaglio come simbolo guida, ne “La voce della Sibilla”, appena uscito per il Saggiatore. Iniziate le ricerche per questo libro, Tuena lo ammette, non sapeva che Parigi sarebbe stata così importante per parlare dei due. Parigi, la Parigi del Novecento che tutto ospita, riesce a esser casa anche per un Harvard boy bilancia che diventerà cittadino inglese e uno scorpione barbuto dell’Idaho che morirà a Venezia. Parigi “concede opportunità che, anche se non colte, producono sommovimenti”. Ogni strada, ogni centimetro della città sembra teatro di qualcosa di potenzialmente esplosivo per qualsiasi movimento artistico del secolo, dal surrealismo al modernismo. Sembra quasi logico che i due, che passeranno quasi tutta la vita in altre nazioni, si incontrino proprio qui per dare la forma finale al poema più intenso del Novecento. A casa di Pound, in rue Notre Dame de Champs, nel gennaio del 1922 i due si mettono a rivedere l’ultima versione di “The Waste Land”, scritta in più fasi e rilavorata nei tre anni precedenti, soprattutto in Svizzera mentre Eliot è in cura. Le loro sedute sono un “dissennato (o assennatissimo) lavoro di pulizia”.

 

L’“Ulysses” di Joyce viene pubblicato a febbraio, e anche Hemingway da qualche mese bazzicava la rive gauche e casa Stein – per capire l’energia anglofona parigina dei roaring twenties. Il lavoro di editing di Pound sul futuro capolavoro è un’operazione di critica letteraria, “vorrei che i suoi segni di matita blu fossero conservati come prova irrefutabile del genio critico di Pound” scriverà Eliot. E ancora: “Ha contribuito così tanto a trasformare ‘The Waste Land’ da un guazzabuglio di passi buoni e scadenti in poesia”. Per il fabbro la poesia è la più lunga della lingua inglese, “non cercare di battere tutti i record prolungandola di altre tre pagine”. In una lettera Eliot lo chiama anche cher maître e Pound risponde con filio dilecto mihi. Il rapporto – amicizia? mentorship? – di cui ci racconta Tuena sembra un unicum della storia della letteratura, un incontro fortuito tra due anime che pensano in versi e citazioni e lingue straniere e cantilene. Mentre Eliot, colpito da varie crisi di nervi, è tornato a lavorare in banca, Pound manda lettere a editori e direttori di riviste per cercare di fargli guadagnare qualcosa dal poema di 19 pagine. Il 23 giugno Eliot lo legge pubblicamente a Londra a casa di Virginia Woolf, che ne scrive nel suo diario, dicendo che secondo Mary Hutchinson si tratta di una “autobiografia malinconica di Tom”. 

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