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il libro

Poesia e tempesta si danno la mano nell'esordio di Giulia Serughetti

Sandra Petrignani

In "Amore assoluto e altri futili esercizi", autoritratto divertente quanto disperato dell’autrice, si compone una narrazione unica, nuova, dolcissima e irritante. C’è la giovinezza irrisolta di una quarantenne eterna ragazza, la sua diversità, la sua solitudine scaldata dall’intraprendente cocker Olivia

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Prima è venuto il titolo, Amore assoluto e altri futili esercizi (Marcos y Marcos), uno di quei titoli che ti catturano. E diciamo pure il disegno di copertina con irresistibile illustrazione di Vendi Vernić che mostra una ragazza squinternata trascinata dal suo “cocker patatoso” (così verrà definito nel libro). Ma non sarebbe stato sufficiente a convincermi a leggere l’ennesimo esordio di ennesimo sedicente scrittore. Perché troppa noia e prevedibilità si sono accumulate in questi ultimi anni, e dunque una quasi insuperabile diffidenza. Epperò: l’autrice si chiama Giulia Serughetti. Questo nome mi diceva qualcosa. E allora comincio a leggere ed eccomi subito intrigata da una scrittura brillante e ironica che somiglia solo a se stessa e che passa con disinvoltura da melanzane stese al sole con le mollette prima di finire in parmigiana a una definizione folgorante come questa: “Mia madre era una principessa fuori e un camionista dentro, io il contrario”, mentre il nonno – quello che stendeva le melanzane – era un pugliese che “della Puglia aveva rinnegato tutto tranne il mare e le melanzane”. L’uno e l’altra hanno insegnato a Giulia “la poesia e la tempesta”.

Ebbene poesia e tempesta si danno la mano in questo libro, autoritratto divertente quanto disperato dell’autrice, a comporre una narrazione unica, nuova, dolcissima e irritante. C’è la giovinezza irrisolta di una quarantenne eterna ragazza, la sua diversità (è lesbica), la sua solitudine scaldata dall’intraprendente Olivia (il cocker), la sua lucida e amara visione del mondo. Soprattutto c’è un senso naturale della letteratura, una sapienza innata e inconsapevole di qualcuno che sicuramente non ha fatto nemmeno mezza scuola di scrittura. Allora è ancora possibile questo miracolo, mi dico. Che nell’appiattimento generale di romanzi (anche solo la parola allarma) costruiti su storie ovvie persino nei “colpi di scena”, possa nascere uno scrittore che ha davvero qualcosa da dire.

Bene, nel frattempo mi sono ricordata di Giulia, figlia di Egle, figlia di amici dei miei genitori da cui da piccola (Giulia non era ancora nata) passavo le domeniche pomeriggio. Orfana neonata di un padre mai conosciuto, l’attore Mario Piave (alias Domenico Serughetti) e di quella madre bellissima e sicuramente tempestosa, che io stessa guardavo incantata. Giulia dagli occhi grandissimi, che lavora nel cinema come segretaria di edizione (come sua madre) e che nella vita ho incrociato velocemente, il tempo di capire quanto fosse “mattacchiona”. Allora l’ho chiamata al telefono per dirle: quanto sei brava, sei una scrittrice, lo sai? Lei mi ha risposto, no, che cos’è uno scrittore? Sei tu, le ho detto. E allora mi ha ricordato una cosa bellissima. Mi ha detto: non ti ricordi che mi avevi suggerito te di scrivere? Sono passati diversi anni, ma ora l’ho fatto.

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A volte, quando suggerisco a qualcuno di scrivere il suo malessere, poi mi sento in colpa, visti i risultati. Ma in questo caso sono contenta di avere qualche responsabilità nel destino letterario di Giulia Serughetti. Una che sa inserire un dialogo quando è davvero strettamente necessario e significativo. Una che quando parla di sé non fa la lagna di quanto è stata infelice la sua infanzia, ma va dritto al sodo: “Interagisco con la realtà attraverso due forze molto potenti, l’immaginazione e la pigrizia!”. Una, insomma, che si conosce a fondo e che parlando di sé parla in realtà dei nostri giorni confusi e grami, bislacchi, egoisti, senza bisogno di inventarsi trame poco credibili, perché sa che c’è già tutto nella trama della propria vita.

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A saperla raccontare.

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