(Foto di Olycom) 

Vanità filosofica

Il misticismo scoperto con Zolla. Poi sono venuti i suoi vanitosi epigoni

Alfonso Berardinelli

Il pensiero dello studioso è portato avanti ancora oggi dai suoi discepoli, ma lui, a differenza degli odierni Citati, Cacciari e Agamben, ha sempre lasciato che la mistica continuasse a essere tale, senza porsi a serivizio di altre discipline

In principio fu Elémire Zolla. Poi vennero i suoi nipoti e rivali Roberto Calasso e Giorgio Agamben. Se si volesse scrivere una stenografica, ilare storia della più recente cultura misticheggiante italiana, l’incipit dovrebbe essere questo. Ma volendo si potrebbero aggiungere altri rami, altri tronchi, altri sviluppi paralleli e altre ibridazioni. Per spiegare Calasso bisogna aggiungere Bobi Bazlen (l’uomo che non scrisse quasi niente ma spinse gli altri a leggere) e Pietro Citati (l’uomo che riscrisse anche l’impossibile e quello che molti avevano già scritto: da Omero a Kafka).
Per spiegare Agamben si dovrebbe aggiungere un disperato aforisma teologico-rivoluzionario anni Trenta di Walter Benjamin (il primo di Tesi di filosofia della storia) semplificato, corretto e integrato con il marxismo attualistico anni Sessanta di Mario Tronti (fratello atarassico del gesticolante Toni Negri) e con l’immancabile e multiuso Michel Foucault.

  
Può bastare? Non ancora. Perché accanto a Calasso e Agamben, tra gelosie, alleanze e competizioni, c’è anche il Cacciari che parte anche lui da Benjamin e Tronti ma finisce col somigliare, per esibizionismo citazionistico, a Zolla e Calasso, quest’ultimo divenuto presto suo editore.

 
Ma come si fa a non pensare, più semplicemente, che dietro a tutti loro e a innumerevoli altri ci siano anche Nietzsche e Heidegger, che la moda impose nello stesso decennio Sessanta e che ancora ci annoia? C’è da aggiungere lo strano caso di Emanuele Severino, forse il solo uomo che seppe per scienza certa o concettualismo mistico (solo l’Essere è) di vivere nell’eterno e sconfinato Essere senza compromettersi con l’irreale Divenire, che rende ciechi e folli i comuni viventi. 

 

Naturalmente, più si procede negli incroci e nelle mescolanze e più ci si allontana da Zolla, il quale fa storia a sé. Non va dimenticato che soprattutto a lui si deve una inflessibile passione per la mistica e il misticismo, per la storia delle religioni e delle mitologie, alle quali si è sempre dedicato restando sordo alle sirene del successo profano, letterario o politico. Zolla, rivoluzionario non fu né volle esserlo mai. Se un errore è stato il suo, fu l’eccesso di erudizione. In questo ha superato tutti, dopo aver insegnato a tutti. Un difetto, questo dell’erudizione, non piccolo. Nessun vero mistico, infatti, salvo forse Giovanni Pico della Mirandola, peccò in tale misura di erudizione. Quasi tutti, invece, la condannarono perché distraente.

 
Erudizione smisurata a parte, va riconosciuto che rispetto agli altri autori citati, Zolla è stato più onesto. Ha lasciato che la mistica fosse mistica, senza farne letteratura (come Citati) né politica (come Agamben) né filosofia (come Cacciari e Severino). Di Zolla è da poco uscito presso Marsilio il dodicesimo volume dell’Opera Omnia a cura di Grazia Marchianò. E’ una raccolta di scritti intitolata Dal tamburo mangiai, dal cembalo bevvi... Lo stato mistico e altre questioni di antropologia spirituale (pp. 142, euro 14). Noto subito che in quarta di copertina vengono citate due belle frasi del libro su cui il lettore potrebbe meditare un po’. Questa è la prima: “Per trascendere il mondo, bisogna che il mondo ci sia, per attingere il soprannaturale è necessario che ci si rappresenti il naturale”. Più misteriosa e carica di implicazioni storico-sociali, ecco la seconda frase: “Il messianismo è come l’invenzione del motore a scoppio nelle vicende della macchina sociale”. 


Il primo scritto, che occupa da solo più della metà del libro, è l’introduzione alla grande antologia I mistici che Zolla pubblicò nel 1963 e con cui l’autore si allontanò dalla precedente ottica sociomoralistica dei suoi primi libri, Eclissi dell’intellettuale (1959) e Volgarità e dolore (1962), due notevoli pamphlet contro la modernità postilluminista e la cultura di massa, il cinema al primo posto. Ma come Kulturkritiker o “adorniano di destra”, Zolla fu ancora tollerato e discusso, mentre dopo il volume sui mistici, nessuno lo seguì più, se non, appunto, i più giovani Calasso e Agamben, che tuttavia non si sono mostrati molto propensi a riconoscere i debiti che avevano con lui. 


Il saggio introduttivo all’antologia citata aveva un titolo assolutamente chiaro, “Lo stato mistico come norma dell’uomo”, e certo non si può riassumere in poche righe. Zolla comincia confrontando la definizione più giusta e stringata dello stato mistico, “conoscenza sperimentale di Dio”, con le molte cattive definizioni correnti. Di queste ultime, ecco due semplici esempi: “Nella cultura di massa, al livello minimo, esso è sinonimo di sentimenti confusi seppure gradevoli (…) Nostalgie, sdilinquimenti, compunzioni, l’inserimento più o meno facile, sempre recitato, in un’istituzione ecclesiastica: ecco ciò che il termine mistica può stenografare per i consumatori delle merci culturali di qualità ovviamente più triviali”. 


“Nella mezza cultura il termine è considerato elogiativo da un certo strato di consumatori: donne borghesi che alternano viaggi ad Assisi e letture di mistici a love affairs, omosessuali analoghi, frequentatori di sette superstiziose, seguaci di partiti di destra con tendenze sanguinarie. Nella stessa cultura andante il termine viene considerato un marchio di obbrobrio dai consumatori di ideologie legate ai sindacati o alle imprese neocapitalistiche”.
Lo stile del pamphlettista e del critico dei facili consumi e costumi culturali è qui piuttosto feroce. Mette in guardia contro le falsificazioni. Lo stato mistico non appartiene al mondo moderno, è appartenuto a un’antropologia spirituale di cui l’Occidente moderno si è amputato. Meglio non parlarne a vuoto. Un po’, purtroppo, anche Zolla lo ha fatto, da allora in poi. Nei suoi vanitosi epigoni del misticismo è rimasto l’aroma.

Di più su questi argomenti: