Il Mozart-Denkmal a Vienna (da Wikipedia)

Un Foglio internazionale

“Decolonizzare la musica classica”: un desiderio di distruzione

Si stabilisce che la musicologia sarebbe una scienza “bianca” e, per natura, fondata sul razzismo dei teorici che seleziona

“Se la musica serve a ‘lavarci dalla polvere del quotidiano’, come proclamava fieramente il batterista jazz Art Blakey, oggi sembra il luogo di attacchi ideologici in contraddizione con le sue funzioni estetiche, con la sua vocazione a circolare nella comunità sociale e ad arricchirla” scrive Jean Szlamowicz. “Le opere, poiché si condividono e si trasmettono, sono fondatrici di ciò che definisce una cultura, sostrato di riferimenti comuni e terreno dinamico delle cose dello spirito. Ma questa cultura, presumibilmente condivisa, è oggi considerata vergognosa”.

 

La rivista di musicologia canadese Intersections propone di ‘decolonizzare la pedagogia musicale’. Una scuola di musica newyorkese ritira dal suo programma ‘Golliwog’s Carewalk’ e ‘Le Petit Nègre’ di Claude Debussy per le loro presunte ‘connotazioni razziste e obsolete’. Alla Philharmonie de Paris, in occasione di un colloquio svoltosi nel 2017, si è fatto finta di chiedersi se ‘la musica è un vettore dell’ideologia coloniale’, celebrando allo stesso tempo ‘le rivendicazioni di decolonizzazione degli immaginari’ e invitando le arti a essere ‘strumenti di contestazione dei rapporti di dominazione’. Quanto al trombettista Ibrahim Maalouf, si lamenta di non trovare abbastanza ‘diversità etnica’ nell’orchestra sinfonica di Vienna. Fino ad arrivare ad alcuni studenti di master che, nella loro ignoranza abissale e nel loro disinteresse verso il jazz, si sono detti preoccupati del fatto che ‘alcuni bianchi’ si siano dedicati al genere, rendendosi colpevoli della famosa appropriazione culturale… All’Università del Texas del Nord, il musicologo Philip Ewell si propone di sottoporre a revisione la musicologia, perché derivante da un ‘quadro razziale bianco’ (white racial frame), e considera ‘la bianchezza come un potenziale problema’. Nella stessa università, il musicologo Timothy L. Jackson si è opposto a questa visione e ha visto i suoi colleghi organizzarsi contro di lui e impedire la pubblicazione della sua rivista. Come il resto della cultura, la musica non è più il luogo di un approccio critico, ma il terreno di una lotta dove una certa militanza vuole imporre un’interpretazione esclusiva della storia e applicarla al presente.

Con ogni evidenza, la pretesa di ‘decolonizzare’ non è un semplice disaccordo intellettuale: questa volontà di polverizzazione patrimoniale è una pulsione distruttiva. La particolarità della musica sta nel fatto che non argomenta. Nella potenza dell’immediato, essa parla all’intimo inarticolato della nostra memoria e dei nostri sensi. Non per questo è priva di intellegibilità, e necessita, per essere apprezzata, di riferimenti estetici e culturali. Le norme armoniche, melodiche e ritmiche incrociano molteplici criteri funzionali (religione, divertimento…) che definiscono dei generi, delle pratiche, delle modalità d’ascolto (solitarie o collettive, live o registrate, legate alla danza) e dei luoghi (sale concerti, ristoranti, festival, chiese, strade…). Come ogni fatto sociale, una tradizione musicale si sviluppa secondo delle norme strutturali che la definiscono. Facciamo dunque fatica ad accusare la musica occidentale di analizzarsi secondo le proprie caratteristiche storiche.

Eppure, troviamo un video del musicista Adam Neely, diplomato al Berklee College of Music, che considera la musicologia non come un fatto storico, ma come lo strumento della ‘supremazia bianca’, proclamando: ‘La musicologia è un po’ razzista’. Si noti la sinonimia tra bianco e razzista… Non si rimprovera al mbalax (genere musicale dell’etnia wolof, ndr) di essere senegalese né di valutarsi secondo i propri criteri: perché considerare etnocentrica soltanto la musica classica? Essendo la realtà testarda, soprattutto quando possiede il carattere irrefutabile del passato, non si potrà fare di Mozart altra cosa che un compositore austriaco: il fatto che la musicologia occidentale sia occidentale è tautologia, non uno scandalo morale. Questa nuova doxa è condivisa anche da Philip Ewell a partire dalle statistiche etniche del mondo universitario americano (‘music theory is white’). Confondendo le persone che la praticano con la disciplina stessa, considera questa composizione sociologica non come una constatazione, ma come un rimprovero. Stabilisce così che la musicologia sarebbe una scienza ‘bianca’ e, per natura, fondata sul razzismo dei teorici che seleziona. Questo argomento ricorrente possiede l’evidenza della sua assurdità: fondamentalmente, tutto ciò che è bianco è considerato come ‘scandalosamente’ bianco. Non gli verrà tuttavia in mente di rimproverare al rap di essere ‘nero’”.

Traduzione di Mauro Zanon da la Revue des Deux Mondes (19/9)

Di più su questi argomenti: