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Chi vuole studiare la storia delle idee legga Isaiah Berlin prima che sia tardi

Matteo Marchesini

Torna in libreria, grazie a Adelphi, il "Karl Marx", opera dello studioso britannico che, con chiarezza esemplare, sbroglia la matassa del pensiero marxista 

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Adelphi ha appena mandato in libreria il “Karl Marx” di Isaiah Berlin, curato e annotato da Henry Hardy. Si tratta di una biografia intellettuale uscita in prima edizione nel 1939, quando l’autore aveva trent’anni, e poi aggiornata fino al 1977. Per molti versi può essere accostata a “Stazione Finlandia” (1940) di Edmund Wilson. Certo, il libro di Wilson ha un altro respiro: descrive una vasta tradizione moderna che va da Michelet a Lenin, e offre lo spettacolo di una straordinaria fantasia saggistica. Berlin svolge un compito più modesto. Ma entrambi sanno riassumere le più oscure elucubrazioni teutoniche in un nitido linguaggio anglosassone, e collegare intelligentemente la storia delle idee alle vicende degli uomini che le hanno propugnate. In un secolo egemonizzato dagli ideologi che urlavano slogan o si perdevano nei contorcimenti dialettici, sir Isaiah ci ha raccontato con calma ciò che in parte già sapevamo, ma che nella sua prosa appare più perspicuo; e lo ha fatto unendo all’elegante sobrietà british una conoscenza eccezionale di quel mondo russo nel quale le idee dell’occidente sono divenute esperienze estreme.

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Adelphi ha appena mandato in libreria il “Karl Marx” di Isaiah Berlin, curato e annotato da Henry Hardy. Si tratta di una biografia intellettuale uscita in prima edizione nel 1939, quando l’autore aveva trent’anni, e poi aggiornata fino al 1977. Per molti versi può essere accostata a “Stazione Finlandia” (1940) di Edmund Wilson. Certo, il libro di Wilson ha un altro respiro: descrive una vasta tradizione moderna che va da Michelet a Lenin, e offre lo spettacolo di una straordinaria fantasia saggistica. Berlin svolge un compito più modesto. Ma entrambi sanno riassumere le più oscure elucubrazioni teutoniche in un nitido linguaggio anglosassone, e collegare intelligentemente la storia delle idee alle vicende degli uomini che le hanno propugnate. In un secolo egemonizzato dagli ideologi che urlavano slogan o si perdevano nei contorcimenti dialettici, sir Isaiah ci ha raccontato con calma ciò che in parte già sapevamo, ma che nella sua prosa appare più perspicuo; e lo ha fatto unendo all’elegante sobrietà british una conoscenza eccezionale di quel mondo russo nel quale le idee dell’occidente sono divenute esperienze estreme.

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Ecco ad esempio come Berlin illustra la tesi più importante del “Capitale”: “Esiste una sola classe sociale, quella operaia, che produce più di quanto consuma, e gli altri uomini si impadroniscono di questo margine di ricchezza semplicemente perché occupano una posizione strategica come possessori esclusivi dei mezzi di produzione, ossia delle risorse naturali, delle macchine, dei mezzi di trasporto, del credito finanziario”. Ed ecco il passaggio memorabile in cui ci viene mostrato Marx mentre compone: “Scriveva lentamente e con fatica, come accade talvolta ad alcuni pensatori rapidi e fecondi, i quali non riescono a seguire il ritmo delle proprie idee e sono impazienti di divulgare subito una nuova dottrina e di controbattere in anticipo ogni possibilità di obiezione”. Gli scritti marxiani sono spesso ampollosi e opachi, ma un’idea vi spicca a un tratto con tagliente chiarezza. Il filosofo si paragonava al pittore del “Capolavoro sconosciuto” di Balzac, che a furia di voler essere esatto riempì la tela con una massa informe di colori, da cui spuntava un dettaglio reso alla perfezione. Ma la difficoltà di Marx dipende anche dal fatto che la sua opera maggiore costituisce un inedito “amalgama di dottrina economica, storia, sociologia e propaganda”. Le componenti sono note: idealismo hegeliano, razionalismo francese e pensiero economico inglese. Il risultato però, osserva Berlin, non è sincretistico: Marx ottiene una sintesi originale. E tuttavia problematica, anche nei concetti cruciali.

Si veda il caso del lavoro. Da un certo punto di vista “nella visione cosmica di Marx, è ciò che per Dante era l’amore”: essenza umana e fonte di creatività; ma in alcune pagine il filosofo ne avverte il peso servile, forse ineliminabile. E che dire della libertà? Se il susseguirsi dei modi di produzione, come vuole il Marx maturo, è “un processo di storia naturale”, e agli uomini non resta che accelerarlo o rallentarlo un po’, cosa ne è del “libero sviluppo di ciascuno” cantato nel “Manifesto”? Queste ambiguità hanno nutrito per centocinquant’anni un esercito di interpreti e di casisti” paragonabile solo a quello che si dedica al commento dei testi religiosi. Lungo il Novecento, molti di questi casisti hanno cercato di giustificare la sottovalutazione marxiana del nazionalismo, e hanno provato ad adattare il suo pensiero a ciò che non aveva previsto: il ruolo decisivo delle classi medie (solo oggi in marxiana dissoluzione), il welfare state, i regimi fascisti. Marx immaginava che la rivoluzione dovesse avvenire in un paese industriale, dove le masse avevano già una forte coscienza del loro ruolo: invece in Germania prevalsero le destre, e la rivoluzione riuscì nell’arretrata Russia. Altra ironia: la sua opera “era destinata a confutare il principio che il corso della storia fosse determinato dalle idee, ma proprio l’intensità della sua influenza sulle cose umane ha attenuato l’efficacia delle sue tesi”.

Questa influenza è sconcertante soprattutto se si pensa che Marx non era né un capo carismatico né un “ingegno pubblicistico”. Alla “poesia” attivistica del suo avversario Bakunin opponeva una “prosa” da sala di lettura: quella del British Museum, in cui si chiuse per decenni senza badare alla vita circostante. Avrebbe potuto svolgere lo stesso lavoro “in esilio nel Madagascar, a condizione che gli fosse regolarmente fornita la sua scorta di libri, giornali e resoconti governativi”. Come si vede, Berlin non è sedotto dal suo oggetto di studio. Eppure la sua leggendaria capacità d’immedesimazione, ricordata da Hardy, sa rendere giustizia anche a coloro di cui non condivide le opinioni. A questo proposito il curatore riporta un aneddoto. Prima dell’uscita del libro, Berlin lo lesse ad alta voce alla moglie, che lo interrompeva di continuo chiedendo “questo è Marx o Isaiah?”; al che lui la rassicurava: “No, no – questo è solo Marx”. Ecco: è il suo indiretto libero saggistico, critico e fedele a un tempo, a fare di Berlin un interprete così prezioso. Chi vuole studiare la storia delle idee dovrebbe leggerlo subito, da ragazzo; e non quando ha ormai contratto con i gerghi confusi delle accademie un debito tale, che non è più disposto a imparare niente dalla sua limpidezza.

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