Contro il dogma della storia come iter sempre progressivo

Alfonso Berardinelli

Finalmente ci si ricorda che del progresso esiste anche un bicchiere mezzo vuoto

E’ un sollievo quando leggo qualcuno che non sia un bigotto del progresso e che manifesti dei dubbi sul dogma della storia come iter immancabilmente progressivo dai mali di oggi al bene di domani. Nell’ultimo numero della Lettura del Corriere, Claudio Magris interviene in apertura con un articolo intitolato “Le rovine del progresso”.


La prima associazione di idee che mi assale e mi sorprende è che la parola “rovine” potrebbe anche essere sostituita dalla parola “rifiuti”: nel senso che più il cosiddetto progresso accelera, più crescono i rifiuti. Proprio in questi giorni, noi residenti a Roma lo vediamo ogni volta che usciamo di casa. Cassonetti e strade ci offrono uno spettacolo davvero edificante: rifiuti dovunque, il che significa che il progresso va forte. Si dice che la pandemia ha allentato, per il momento, e noi esseri umani siamo avidi di futuro, usciamo e compriamo di più, consumiamo e buttiamo via. Si riprende a progredire, si guarda in avanti e si butta dietro le spalle il passato, il tempo già vissuto e superato, già masticato e poi sputato, del quale restano solo i rifiuti.


Non di rifiuti, ma più nobilmente di “rovine” parla l’articolo di Magris. Ricorda infatti quell’Angelo della Storia di cui parlò Walter Benjamin. Da quando nel 1962 fu pubblicato da Einaudi il volume Angelus Novus. Saggi e frammenti (curato, tradotto e introdotto impeccabilmente, se non genialmente, da Renato Solmi), da allora si è diffusa la passione o mania di citare Benjamin a proposito e a sproposito, capendolo e non capendolo. Nel frammento 9 delle sue “Tesi di filosofia della storia” si legge che l’Angelus Novus del quadro di Klee “ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede soltanto una catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi”. Una tempesta spinge l’angelo “irresistibilmente nel futuro a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale fino al cielo davanti a lui”.


Ottimo germanista, Magris conosce bene filosofia e storia delle idee e dopo due campioni dell’anti-progressismo come Leopardi e Nietzsche, innamorati della cultura greca, evoca il “pensiero negativo” di sinistra, da Horkheimer e Adorno a Ernst Bloch e lo stesso Benjamin. Precisa comunque: “La fede nel progresso è radicalmente laica, basata sulla fiducia nella dignità, nella libertà e nella ragione umana. E’ l’Illuminismo (...) che porta alla massima espressione l’idea di progresso e la sua realizzazione nell’incredibile processo riformatore che, in molti paesi europei, abolisce secolari ingiustizie, migliora le condizioni di tante categorie; muta il senso stesso dell’esercizio del potere, combatte pregiudizi e dogmatismi, rivoluziona la politica e l’economia”Questo sarebbe il bicchiere mezzo pieno del progresso. Quello mezzo vuoto è agghiacciante: ci ricorda che la rivoluzione francese ha portato con sé anche la ghigliottina e il Terrore e che Auschwitz, Hiroshima e mezzo secolo di stalinismo e di altri totalitarismi “comunisti” rappresentano il rovescio del progresso.


L’idea migliore, mi pare, per misurare empiricamente, onestamente i pro e i contro, è quella che considera e giudica, di volta in volta, ciò che si acquista e ciò che si perde nel corso della storia, rinunciando a filosofie del tutto progressiste o regressiste. Internet ci fa risparmiare tempo o ce lo fa perdere? Libera o cattura? Accresce la memoria o rende smemorati e mentalmente più inerti? Il mondo ipertecnologico sembra più immateriale e leggero; ma i rifiuti tecnologici, che sono materia, aumentano e la spazzatura “culturale”, pubblicitaria e da intrattenimento inquina i cervelli, per non parlare della psiche, che alcuni tradizionalisti si ostinano a chiamare anima.


Nelle conclusioni del suo articolo Magris cita tre altri esempi, più recenti, di scetticismo nei confronti dell’idea preconcetta di positività del progresso. Anzitutto Tito Perlini, triestino e suo amico, filosofo di cui anch’io all'università di Venezia ho conosciuto di persona la naturale modestia e la grande cultura tedesco-viennese: i suoi scritti sono stati raccolti in un volume imponente uscito qualche anno fa da Aragno: "Attraverso il nichilismo". Il secondo esempio è Enzensberger, autore dei poemi saggistici "Mausoleum" (1975) e "La fine del Titanic" (1978) sulle catastrofe sia storiche e tecniche che biografiche e morali del progresso. Infine Magris cita il poeta Juan Octavio Prenz (di cui non so niente) che a coloro che sognano o progettano l’eliminazione biotecnica della morte, oppone questa domanda indiscreta: “Per quale altra vita?”. 

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