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Addio a Paolo Isotta, amico scontroso e ironico della ditta fogliante

Giuliano Ferrara

Spavaldo teppista dell’arte suprema e censore brutale di ignoranza e stupidità in cui la faziosità era sentimentalismo

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Solo, ma nella sua casa con le porte di lacca cinese e la postazione dello scrivano sospesa sul grande ambiente librario e mondano, il suo orgoglio o la sua anima territoriale con la vista di Capri e la salsa alla genovese, Paolo Isotta è morto ieri di schianto, precisamente come aveva vissuto, insegnato, scritto, provocato, amato, odiato o disprezzato. Il critico musicale, poi musicista e sopra tutto scrittore, era un amico scontroso e ironico della ditta fogliante e frondista, almeno finché non diventò la casa del suo forse più intimo nemico, il grande musicologo Mario Bortolotto. Era uno di quei fascisti immaginari e vocazionali, nati fuori del proprio tempo, che hanno sfondato il muro intransigente eretto dalla gente perbene, e sono penetrati nell’establishment della cultura per vivificarlo, differenziarlo, vituperarlo, sbeffeggiarlo e subirne l’animosità e il rigetto impotente.
        

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Solo, ma nella sua casa con le porte di lacca cinese e la postazione dello scrivano sospesa sul grande ambiente librario e mondano, il suo orgoglio o la sua anima territoriale con la vista di Capri e la salsa alla genovese, Paolo Isotta è morto ieri di schianto, precisamente come aveva vissuto, insegnato, scritto, provocato, amato, odiato o disprezzato. Il critico musicale, poi musicista e sopra tutto scrittore, era un amico scontroso e ironico della ditta fogliante e frondista, almeno finché non diventò la casa del suo forse più intimo nemico, il grande musicologo Mario Bortolotto. Era uno di quei fascisti immaginari e vocazionali, nati fuori del proprio tempo, che hanno sfondato il muro intransigente eretto dalla gente perbene, e sono penetrati nell’establishment della cultura per vivificarlo, differenziarlo, vituperarlo, sbeffeggiarlo e subirne l’animosità e il rigetto impotente.
        

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Era la quintessenza dello spirito polemico il più intollerante. A chi non amava il “Rienzi” wagneriano rispondeva tranquillo: “Non sei all’altezza”. La sua non era una litigiosità d’ambiente, era una ambizione superbamente aggressiva, figlia di cultura, erudizione, talento e perspicacia poetica, in musica e altrove. La faziosità in Isotta era sentimentalismo, l’inimicizia il risvolto naturale del suo opposto, l’amicizia virile. Spesso confondeva le due, il suo veleno e il suo calore umano ne soffrivano allo stesso titolo. A un giovane scrittore wagneriano con cui aveva fatto baruffa, in una meravigliosa lettera al Foglio, proibì tassativamente di parlare della “morte di Isotta”, appellandosi tra l’altro alla religione di san Gennaro, e spiegò ai lettori che Isotta non esiste, esiste Isolde e solo Isolde, specie nell’accordo del Tristano e nel Liebestod. Amava la musica, era della più sensuale scuola napoletana, qualunque cosa questo voglia dire, adorava Virgilio e si dilettava a vivere con una generosa passione colta per gli animali, specie i bassotti che sono animali per modo di dire, diceva la sua devozione al sesso estremo, alla cocaina e alle “recchie”. Era la malizia incarnata, e Cesare De Michelis per la sua Marsilio intuì la serena grandezza del suo autobiografismo donandogli e donandoci il successo magistrale de “La virtù dell’elefante”, libro unico e capolavoro letterario destinato a lunga vita. 
       

Paolo Isotta ha inseminato l’esistenza dei suoi difetti, delle sue ire spesso sconclusionate, del suo cattivo carattere, del suo temperamento manesco, e per questo non poteva che essere caro, sebbene indisponente, agli amici ribaldi e insofferenti. Ma quando inviava i suoi testi più esplosivi, per avere un parere, e in genere nella comunicazione elettronica, si firmava Kurwenal, il servitore go between che annunciò baritonalmente a Tristan l’arrivo di Isolde, un mediatore di bellezza e d’amore. Spavaldo teppista dell’arte suprema, quella che per Dante s’ascolta e non si intende, Paolo Isotta era un cristiano di fede e superstizione, un censore brutale di ignoranza e stupidità, un fazioso inveterato inaccessibile a ogni pappa del cuore, un buonuomo di genio curioso degli altri, fino a sconfinare ogni volta nella passione e inevitabilmente nel dolore. 

  

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