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Viaggi paralleli

Stefano Pistolini

Negli articoli di Joan Didion si ritrova l’America di Joe Biden: quella dei sopravvissuti

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Un modesto strumento per riavvicinarsi all’America 2021 – la stessa che ci ha appena disgustato coi boogaloo a spasso per le stanze del Campidoglio, la ringhiante uscita di scena di Trump e i cupi annunci del suo divorzio da Melania (anche Shakespeare avrebbe tagliato questa scena), la stessa che ci ha poi lasciato attoniti con la ricomposizione degli “educati” nel giorno del giuramento – insomma l’antidoto a questa depressione è un libretto appena pubblicato negli Stati Uniti che raccoglie una dozzina di pezzi scritti da Joan Didion tra il 1968 e il 2000. “Let Me Tell You What I Mean” è in sostanza un “Didion portatile”, buono sia per i fan consolidati in cerca di rarità sia per i neofiti attratti da qualche luccicanza incontrata in una pagina dell’autrice, oggi 86enne.

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Un modesto strumento per riavvicinarsi all’America 2021 – la stessa che ci ha appena disgustato coi boogaloo a spasso per le stanze del Campidoglio, la ringhiante uscita di scena di Trump e i cupi annunci del suo divorzio da Melania (anche Shakespeare avrebbe tagliato questa scena), la stessa che ci ha poi lasciato attoniti con la ricomposizione degli “educati” nel giorno del giuramento – insomma l’antidoto a questa depressione è un libretto appena pubblicato negli Stati Uniti che raccoglie una dozzina di pezzi scritti da Joan Didion tra il 1968 e il 2000. “Let Me Tell You What I Mean” è in sostanza un “Didion portatile”, buono sia per i fan consolidati in cerca di rarità sia per i neofiti attratti da qualche luccicanza incontrata in una pagina dell’autrice, oggi 86enne.

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La connessione con l’America vagheggiata da Biden salta subito all’occhio, al punto da far sembrare le due figure l’uno il pendant dell’altra, baby boomers così tipici, divisi da appena otto anni d’età, geograficamente da angoli diversi (il Delaware blu collar lui, motto dello stato: Libertà e indipendenza; la California assurda di Sacramento lei, motto: “Eureka!”, ho trovato la fortuna!), armati della medesima resilienza e consapevolezza del compromesso senza cui è difficile vivere.
 E perché i due eventi, la nuova presidenza e questa antologia di vecchi articoli, si conciliano così magicamente? Perché entrambi sono effetto di una nostalgia che – parola di Didion – era tale già mezzo secolo fa, mentre decollava la sua carriera di (giornalista? scrittrice?) “osservatrice” del costume nazionale, nei tic e nei punti deboli, con particolare attenzione al diffuso stato d’ansia provocato nella middle class dall’assenza dell’armonia auspicata e puntualmente boicottata dalla realtà. Biden, con la sua tenace carriera di alti e bassi, ha incarnato e ora ripropone quello spirito, quell’impazienza e voglia di fare, quelle aspettative e quei ridimensionamenti che la scrittrice intercetta nelle sue esplorazioni “didioniste”. In fondo il neopresidente vuole ridare l’America agli americani, per com’erano abituati a vedersela attorno, imperfezioni incluse, e vuole ridare la serenità a chi l’ha perduta.

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E le righe di Didion sono una guida a quell’esperienza, a quell’atmosfera soffusa nel paese, torrida al sud, austera a nordest, effimera nella terra dov’è cresciuta. “La mia infanzia era pervasa dalla convinzione che fossimo sopravvissuti ai momenti migliori”, scrive lei della grande pulsazione americana dentro cui vale comunque la pena di vivere – pur imprecando per il capolavoro grossolanamente mancato – ma che oggi è difficile perfino evocare, nella stagione della grande pandemia. Nei dodici pezzi di Joan riaffiora la California di Ronald e Nancy Reagan in corsa per dare alla maggioranza dei connazionali quel che volevano, ovvero la coppia più in vista del vicinato incaricata di comandare nel nome di tutti, o il fantasma di William Hearst, immortalato nel suo maniero a San Luis Obispo, che Joan retrocede a “implausibile castello di sabbia”.

 

La celebre foto della Didion con l’aria spettinata di chi ha fatto bisboccia, scattata da Julian Wasser davanti a una Corvette mentre a Hollywood arriva il momento d’oro dell’anomala power couple col marito John G. Dunne, è la sublimazione chic della sua vocazione a buttarsi via artisticamente, nel gusto dolciastro del serializzarsi e del guadagnarci sopra. Il tutto mentre la Didion appunta, sospira, ironizza “dentro” questi scenari, riducendo le velleità intellettuali al livello di una ben pagata autrice di zibaldoni, già animati dallo spirito del Me Journalism. Oggi siamo consapevoli che l’America è stata anche una grande ipocrisia. Ma descriverla come fa Joan, o provare a salvarla come Joe, rappresentano trame affascinanti per il pubblico che non smette di seguirli. Del resto, missioni di questa portata hanno fatto della generazione del dopoguerra ciò che non smette di essere. Visto che siamo ancora qui a parlare di loro, con un’ammirazione che nemmeno proviamo a nascondere.

 

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