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Siamo riusciti a scampare al Grande Fratello di “1984”, non alla valanga di traduzioni orwelliane

Mariarosa Mancuso

Sono scaduti i diritti, a 70 anni dalla morte dello scrittore e siccome nelle librerie italiane “1984” si vende sempre benissimo, tutti gli editori si ficcano nel piatto ricco

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Bel sollievo, l’abbiamo scampata. Il 1984 non è stato un 1984 – come del resto aveva promesso lo spot pubblicitario della Apple girato da Ridley Scott, quando il Mac ancora si chiamava Macintosh. E anche dopo, a dispetto dei profeti di sventura e dell’aggettivo “orwelliano” sparso dappertutto – vale come un kafkiano 2.0 – ce la siamo cavata piuttosto bene. Il Grande Fratello è solo un programma televisivo, peraltro di successo decrescente (sono formule che riescono bene una volta o due, poi le persone smettono di essere “spiate” e si fanno trovare già in posa). Tutte le altre diavolerie accusate di entrare nella nostra testa e per manipolarla sono strumenti che volontariamente adoperiamo con gran diletto. L’abbiamo scampata. Non dalla valanga delle traduzioni orwelliane che stanno arrivando in libreria, “1984” prima di tutto. Qualcuna nella variante in lettere più vicina all’originale “Nineteen Eighty-Four”: “Millenovecentottantaquattro” nella versione di Tommaso Pincio per Sellerio e “Millenovecentoottantaquattro” con due “o” nella versione di Vincenzo Latronico per Bompiani. Poi è un gioco a incastro: chi reinventa la neolingua e chi la lascia in inglese, che risulta più immediato delle soluzioni scelte dai traduttori storici.

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Bel sollievo, l’abbiamo scampata. Il 1984 non è stato un 1984 – come del resto aveva promesso lo spot pubblicitario della Apple girato da Ridley Scott, quando il Mac ancora si chiamava Macintosh. E anche dopo, a dispetto dei profeti di sventura e dell’aggettivo “orwelliano” sparso dappertutto – vale come un kafkiano 2.0 – ce la siamo cavata piuttosto bene. Il Grande Fratello è solo un programma televisivo, peraltro di successo decrescente (sono formule che riescono bene una volta o due, poi le persone smettono di essere “spiate” e si fanno trovare già in posa). Tutte le altre diavolerie accusate di entrare nella nostra testa e per manipolarla sono strumenti che volontariamente adoperiamo con gran diletto. L’abbiamo scampata. Non dalla valanga delle traduzioni orwelliane che stanno arrivando in libreria, “1984” prima di tutto. Qualcuna nella variante in lettere più vicina all’originale “Nineteen Eighty-Four”: “Millenovecentottantaquattro” nella versione di Tommaso Pincio per Sellerio e “Millenovecentoottantaquattro” con due “o” nella versione di Vincenzo Latronico per Bompiani. Poi è un gioco a incastro: chi reinventa la neolingua e chi la lascia in inglese, che risulta più immediato delle soluzioni scelte dai traduttori storici.

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Vale lo stesso per il Grande Fratello – o Big Brother, sarebbe il fratello maggiore – che tutto sa e tutto ascolta e tutto punisce. Assieme al tremendissimo futuro immaginato da Orwell nel 1948, invertendo le ultime due cifre dell’anno in cui scriveva, arrivano numerose versioni di “La fattoria degli animali”: il paradiso dove tutti gli animali dovrebbero essere uguali, e si ribellano al padrone, ma poi finisce che i maiali sono più uguali degli altri (a volte i traduttori firmano la doppietta). Qui il divertimento sta nel rendere l’inno animaliero “Bestie d’Inghilterra”, e decidere se Palladineve rende l’idea meglio di Snowball. Completano l’offerta – sono scaduti i diritti, a 70 anni dalla morte dello scrittore e siccome nelle librerie italiane “1984” si vende sempre benissimo, tutti gli editori si ficcano nel piatto ricco – una manciata di testi sparsi.

 

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Eric Arthur Blair in arte George Orwell andò a combattere la guerra civile spagnola, e precipitosamente rientrò in Inghilterra quando nel governo repubblicano presero il potere gli stalinisti (racconta tutto in “Omaggio alla Catalogna”). Anche le “Memorie di un libraio” sono tutta esperienza: lo scrittore aveva lavorato in un negozio di libri usati, molto frequentato da “quella categoria di persone che pur essendo in grado di rendersi insopportabili ovunque riescono a farlo particolarmente bene in libreria”. Le nuove copertine italiane vanno dal geometrico al realismo cinematografico, dallo pseudo-Warhol all’astratto. Ancora lontane da un paio di memorabili copertine Penguin per “1984”: una copriva con censorie fasce nere sia il titolo sia il nome dell’autore, un’altra riproduceva l’autoritratto di Francis Bacon. “La fattoria degli animali” intanto passava da maialini neri e rosa artisticamente composti come in un quadro di Escher, a un unico sinistro maiale con una stella rossa sullo sfondo. Parlando di “1984”, resta la questione dell’incipit, con gli orologi che nella versione originale “were striking thirteen”. Battevano tredici colpi, che per lettori abituati a 12 ore am e 12 ore pm suona strano. Come se il tempo fosse sballato, o “fuor di sesto”. Come lo straniamento delle due lune in cielo nel romanzo “1Q84” di Haruki Murakami, così intitolato in omaggio a Orwell. Il dettaglio non sembra però aver stuzzicato la fantasia dei traduttori: o è l’una, o sono le tredici.

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